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CAPO IV.

Dante leggendo il libro della Consolazione di

Boezio, e quello dell' Amicizia di Tullio, in quellaTM parte, ove toccansi parole a consolazione di Lelio in morte dell' amico suo Scipione, trovato aveva meglio assai che nel matrimonio, alcun rimedio alle sue lagrime; trovato aveva in atto misericordioso la Filosofia. Per la qual cosa con più pazienza s'acconciò a sostenere l'aver perduta la sua Beatrice. Grato al conforto ricevuto da Severino Boezio singolarmente, non obbliò di collocarne lo Spirito beato nella sfera del Sole, dichiarando, che gl' insegnamenti di lui fanno conoscere la vanità e la fallacia del mondo.

Per vedere ogni ben dentro vi gode
L'anima santa, che 'l mondo fallace
Fa manifesto a chi di lei ben ode:
Lo corpo, ond' ella fu cacciata, giace
Giuso in Cieldauro, ed essa da martiro
E da esilio venne a questa pace.

Par. X. 124.

In picciol tempo, forse di trenta mesi, cominciò a gustare le dolcezze della filosofia: sentissi quindi

a levare insensibilmente dal pensiero del suo primo amore alla virtù del nuovo. Avendo così rivolto l' animo alle filosofiche materie, occupossi del Convivio, Trattato di filosofia morale, in cui prese egli insiemeinente a dimostrare, per via di comento, quanti semi di filosofica dottrina sparsi avess' egli nelle sue Canzoni.

Ora incomincian le dolenti note!

Inf. V. 25.

Fatalmente il nostro Dante, intanto che trovava si a Roma, venne prostrato dalla sommità del reggimento della sua patria. Il dì 27 gennajo 1302 fu condannato per sentenza di Messer Cante Gabrielli da Gubbio, Podestà di Firenze, in otto mila lire di multa, e non pagandola fra certo tempo, in devastazione e confiscazione di beni, ed anche pagando, in due anni d'esilio dalla Toscana. Tosto la sua casa fu atterrata, e le sue terre furono saccheggiate. La forma di dargli il bando fu nel far legge, dopo la venuta in Firenze di Carlo Valois Conte d' Angiò, fratello del Re di Francia, che il Podestà potesse e dovesse conoscere de' falli commessi per addietro nell' officio del Priorato. Erasi Dante opposto all' invocata venuta di detto Carlo. Ben poteva egli dire allora, come saggiamente considera nell' Elogio di lui il Fabroni, quello che il vecchio Nestore presso Ome

ro disse ai Principi greci: vi consiglio d'ascoltarmi, perch' io conosco altr' uomini, che vagliono e sanno le cose meglio di voi. Ma le molte e forti ragioni da lui addotte, per impedire questa chiamata promossa dal Papa, furono vane. Si fu anzi questo il vero motivo della sua condanna; ma sul vago fondamento dell' asserta pubblica voce, e senza menzione di fatto alcuno particolare, erangli stati apposti illeciti guadagni; sorta di delitto non verisimile in lui, che amò sempre le virtuose azioni, e così al vivo dipinse il castigo toccato a coloro, che ne furono macchiati, tuffandoli in un lago di bollente pece. Ma era assai frequente a que' tempi di turbolenze l' apporre falsi delitti, a sfogo di mal talento contro i nemici. Addi 10 di marzo dello stesso anno Dante fu condannato ad essere arso vivo, se venisse nelle forze del suo Comune. Vuolsi, che 'l maggiore istigatore della cacciata di lui fosse Papa Bonifazio VIII, che l'aveva per nimico a sua fazione. Boccaccio Adimari occupato avendo, a tale iniqua occasione, i suoi beni, sempre gli fu avversario acerrimo, che non fosse revocato nella patria. Eorse fu questi quel giovane cavaliere degli Adimari altiero e poco grazioso, il quale, cavalcando, andava sì con le gambe aperte, che teneva la via, se non era molto larga, onde chi passava conveniva o lasciasse suo cammino, o gli

forbisse le punte delle scarpe. Dante, a cui spiacevano que' suoi portamenti, da lui pregato a raccomandarlo per un delitto, del quale stava per incorrere la pena, gli diede anzi carico di quel suo tracotante procedere: disse, che meritava una seconda pena, perchè coll' obbligare così chi lo scóntrava a tornarsi indietro, usurpava la ragion del Comune; e conchiuse: or ecco io sono suo vicino, e per tal modo io lo vi tengo raccomandato. Il Cavaliere sentendosi poi doppiare e l'accusa e la pena, disse: quando che sia ne meriterò chi me n' è cagione. Franco Sacchetti attesta, che «< ciò non potè poi sgozzare nè elli, nè tutta la Casa degli Adimari; e per questo, essendo la principal cagione, da ivi a poco tempo fu per Bianco cacciato di Firenze, e poi morì in esilio, non sanza vergogna del suo Comune, nella città di Ravenna, » Forse dall' amara conseguenza di questo fatto trasse Dante lo insegnamento, praticato dappoi nel Poema, di parlar egli, quante volte aveva a trattar di virtù e di lodi altrui; e quando avea a dire i vizj e biasimare, di farlo dire agli Spiriti. Ma non già da privata vendetta trae la cagion prima delle molte sciagure sue uno frammento d' altra sua Epistola, che leggesi in questi termini. « Tutti i mali e tutti gl' inconvenienti miei dagl' infausti comizj del mio Priorato ebbono tagione e principio, Del qual Priorato, benchè

per prudenza io non fossi degno, nondimeno e per fede, e per età io non era indegno. » Fu realmente da taluni incolpato, ch' essendo de' Priori, favorisse piuttosto i Bianchi, che i Neri, anzichè serbarsi nell' ufficio della reggenza magistrato neutrale. Certo è, che quella parte di cittadini, che fu confinata a Serezzana, subito ritornò a Firenze; e l'altra, ch' era confinata a Castello della Pieve, si rimase di fuori. A questo rispondeva Dante, come intendiamo dal ricordato Lionardo, che quando quelli da Serezzana furono rivocati, esso era fuori dell' ufficio del Priorato, e che quindi a lui non dovevasi imputare: che di più la ritornata loro fu per l'infermità di Guido Cavalcanti, il quale ammalò a Serezzana per l'aere cattiva, e poco appresso morì. Ne si saprebbero indovinare i motivi, che indur potessero Dante ad abbandonare la parte Guelfa, per favorire i Ghibellini, nel mentre ch' egli e per parentele, e per rimunerazioni aveva tutti i titoli, onde, come privato, mantenersi fermo nella spiegata adesione alla Setta allora trionfante, e come Priore, non meno fermo nella giusta imparzialità. Convien dunque credergli, ch' ei non concorresse altrimenti alla tornata de' Bianchi ch'erano Ghibellini, dopo aver portato l' Editto, qual uno de' tre Priori, di rilegare a' confini i capi delle op poste fazioni, non escluso nè manco il dolcissimo,

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