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D'ira e di bile ghibellina il petto
Per l'itale vagò guaste contrade
Fuggendo il vincitor guelfo crudele,

Simile ad uom, che va di porta in porta
Accattando la vita. Il fato avverso

Stette contro il gran Vate, e contro il fato
Morello Malaspina. Egli all' illustre

Esul fu scudo: liberal l' accolse
L'amistà su le soglie, e il venerando
Ghibellino parea Giove nascoso
Nella casa di Pelope. Venute

Le Fanciulle di Pindo eran con esso,
L'itala Poesia bambina ancora
Seco traendo, che robusta e grande
Si fe' di tanto precettore al fianco:
Poichè un Nume gli avea fra le tempeste
Fatto quest' ozio. Risonò il Castello
Dei Cantici divini, e il nome ancora
Del sublime Cantor serba la torre.
Fama è, ch' ivi talor s' oda uno Spirto
Lamentoso aggirarsi, ed empia tutto
Di riverenza, e d'orror sacro il loco.
Quella del Vate è la magnanim' Ombra,
Che tratta dal desio del nido antico
Viene i silenzj a visitarne, e grata
Dell' Ospite pietoso alla memoria
De' nipoti nel cor dolce e segreto
L'amor trasfonde delle sante Muse.

Nel 1306, abitò in Padova nella contrada di san Lorenzo, e nell' anno dopo intervenne ad un congresso de' Ghibellini e de' Bianchi in san Gaudenzio di Mugello. Dimorò in Casentino presso il Conte Guido Salvatico, figliuolo del Conte Ruggeri, e nipote del celebre Conte Guido Guerra, di cui dice Jacopo Rusticucci:

Questi, l'orme di cui pestar mi vedi,
Tutto che nudo e dipelato vada,

Fu di grado maggior, che tu non credi.
Nepote fu della buona Gualdrada :
Guidoguerra ebbe nome, ed in sua vita,
Fece col senno assai, e con la spada.

Inf. XVI. 34.

Questo Conte Salvatico era Signore del Castello di Prato vecchio in Casentino, in cui nacque poi Cristofano Landino. Dimorò con quelli Della Faggiuola tra i monti Urbinati, ed in Verona presso i potenti Scaligeri. Pare a taluno, che Dante capitato in Verona nel 1304 abbia ivi dimorato di seguito circa sei anni; e che le altre sue visite sieno state poi non forse più lunghe di qualche mese per volta. Altri pretendono, ch'egli non si trasferisse a Verona, se non nel 1311, che a tal tempo Can Grande essere dovesse in età d'anni 19, ed avesse già dato a conoscere al mondo il virtuoso suo animo, onde potesse il Poeta dire di lui

Di quell' umile Italia fia salute,

Per cui morío la Vergine Camilla,
Eurialo, e Turno, e Niso di ferute.

Inf. I. 106.

Vedete colui, che va all' Inferno, e poi torna, quando gli aggrada, e quassù reca novelle di coloro, che laggiù sono, disse una donna veronese, mentre passava Dante davanti alla porta di lei. A quella rispose la vicina: tu non mentisci affatto, anzi dei tu dir vero, poichè ha egli il viso bruno per lo caldo di laggiù, ed ha la barba e i crespi e spessi capegli abbronzati dal fumo infernale. Alessandro Vellutello chiama questa una sciocca invenzione fabbricata dal cervello del Boccaccio. Parrebbe quindi da ributtarsi con quest' altre del Sacchetti, che non dissentiamo di riferire a mero oggetto d' amenità; ove altri ricusasse d' averne prova, che i primi Canti del Poema, avanti l'esilio dell' Autore, fossero divulgati, e corressero ben anco tra 'l popolo. « Quando ebbe desinato, esce di casa, ed avviasi per andare a fare la faccenda; e passando per porta san Pietro, battendo ferro un fabbro su la'ncudine, cantava il Dante, come si canta un cantare, e tramestava i versi suoi, smozzicando e appiccando, che Danparea a te ricever di quello grandissima ingiuria. Non dice altro, se non che s'accosta alla bottega del fabbro, là dove avea di molti ferri, con che facea

:

l'arte piglia Dante il martello, e gettalo per la via, piglia le tenaglie, e getta per la via, piglia le bilance, e getta per la via, e così gittò molti ferramenti. Il fabbro voltosi con un atto bestiale dice che diavol fate voi? siete voi impazzato ? Dice Dante, o tu che fai? Fo l' arte mia, dice il fabbro, e voi guastate le mie masserizie, gittandole per la via. Dice Dante se tu non vuogli che io guasti le cose tue, tu non guastar le mie. Disse il fabbro; o che vi guast' io? Disse Dante: tu canti il libro, e non lo dì, com' io lo feci; io non ho altr' arte, e tu me la guasti. Il fabbro gonfiato, non sapendo rispondere, raccoglie le cose, e torna al suo lavorio; e se volle cantare, cantò di Tristano e di Lancelotto, e lasciò stare il Dante. » Il detto Dante scontrò uno asinajo, il quale avea certe some di spazzatura innanzi; il quale asinajo andava dietro agli asini, cantando il libro di Dante, e quando avea cantato un pezzo, toccava l'asino e diceva: arri. Dante li diede una grande batacchiata su le spalle, dicendo: cotesto arri non vi miss' io». Nov. 114, 115. Per altro il Boccaccio particolareggia il fatto di Verona, affermando eziandio, che Dante, udendo dietro a sè quelle parole, e conoscendo, che da pura credenza delle donne venivano, quasi contento, ch' esse fossero in tale opinione, col sorriso del compiaci mento andò oltre. Benvenuto, dopo aver narrato

quo Dantes

pur egli in que'termini, soggiunge: De risit, licet raro vel numquam ridere soleret. Perchè negherassi fede in ciò anche al Benvenuto, al quale tutti la prestarono, quando disse: « dum semel portaretur quidam Pardus per civitatem Florentiæ, pueri currentes clamabant: Vide Lonzam; ut mihi narrabat suavissimus Boccatius de Certaldo?» Nè sembra ad ogni modo improbabile, che alcuna fra le vivaci veronesi Signore, erudita nella lettura della prima Cantica, possa per tratto d'arguzia aver trovata ragione dello essere Dante così abbronzato nell' aspetto, coll' osservare, ch' ei veniva, secondo suo poetico dire, dalle bolge infernali.

I celebri stranieri sventurati venivano accolti bensì con molto onore presso gli Scaligeri, ed albergati in camere, nelle quali erano dipinte storie acconce singolarmente a spiegare la incostanza della fortuna; ma con quale affabilità ed amicizia? L'uno de' due Principi veronesi richiese Dante tra molti Cortegiani del perchè i più d'essi avessero meglio gradevole un cotal Buffone sciocco e balordo, che lui sapientissimo: Dante, senza esitare gli rispose, che da parità di costumi e da somiglianza d' animo si generano le amicizie, e quindi quale ciascuno è, di tale compagnia si diletta. Abbiamo voluto dubitare, che non da Cangrande fatta gli fosse una tale inchiesta, in vista

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