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che troviamo aver Dante dappoi dedicata a lui Ja Cantica del Paradiso, e che quel Signore ebbe verso il Poeta

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Che del fare e del chieder tra lor due
Fia prima quel, che tra gli altri è più tardo.

Par. XVII. 73.

Già si sa, che Alboino poco dopo la sua elezione a Capitano del popolo, seguita nel 1304, morto essendo il fratello primogenito Bartolommeo, dalla Repubblica veronese creato Capitano nel 1301, fu costretto ad aversi a compagno nel Capitaniato Cangrande suo minor fratello; che dominarono insieme fino all' anno 1308, epoca in cui Cangrande fu dal popolo riconosciuto e giurato per assoluto Signore; e che Alboino finì di febbre etica la sua vita il dì 24 d' ottobre, l'anno 1311. Nè fu già, per essere decaduto dalla grazia del suo Augusto veronese, che Dante aderì all' amorevole invito di Guido Novello Polentano, Signore di Ravenna, principe, al dire del Boccaccio, coltivatore insieme e splendido protettore de' buoni studj. Dante, per quanto sostenga il contrario a decoro della sua Corte Scipione Maffei, trovavasi angustiato da povertà. Lo Scaligero, comunque bramasse con atti cortesi di mitigare all' Ospite illustre il desiderio della patria, non era però in grado di soccorrerlo; essendo in quel tempo co

stretto a difendersi dalle armi non solo de' Padovani, ma eziandio da quelle di Federigo Duca d' Austria eletto Re de' Romani. Nella stessa ricordata Epistola dedicatoria a Cangrande, Dante, dopo avere esposto le intenzioni del prologo in generale, si scusa di non aver avuto ozio da scendere a' particolari, e dichiara di dover per ora ommettere la spiegazione di cose utili alla Repubblica, perchè, bisognoso ancora, dee pensare in vece al provvedimento delle cose di prima necessità; rimanendo pure nella speranza, che la sua magnificenza sia per provvederlo degli agi occorrevoli, onde potersi occupare di così utile sposizione. Urget enim me rei familiaris angused spero.

stia,

E se 'l mondo sapesse 'l cuor ch' egli ebbe Mendicando sua vita a frusto a frusto, Assai lo loda, e più lo loderebbe.

Par. VI. 140.

Fosse pur anco stata fatta allo stesso Cangrande quella robusta risposta a cosi pungente provocazione: chi non la vorrebb' anzi sulle soglie incisa di molti fra i non molti moderni Mecenati? Ben disse Daniello Bartoli nell' Uomo di Lettere: « Che se le Corti divengano templi, in cui s' adorino le teste delle scimmie, onorandosi i buffoni acerbi, mentre se ne cacciano i Letterati;

che altro è questo, se non un riguardare come segni celesti uno scorpione, un' idra, un căne, un capro, un bue, e porsi sotto i piedi un Achille, un Orfeo, e tutto il coro de' Semidei?» Perciò il povero Dante, nella Canzone:

«Tre donne intorno al cor mi son venute, »

manifestò lo stato della sua anima altiera nella sventura. Amore abita nel suo cuore, di cui è sempre padrone: tre donne si presentano cercando in quello un asilo: i loro abiti sono laceri, il dolore è pinto sul loro volto e in tutta la loro persona: vedesi che di tutto abbisognauo, e che la nobiltà e la virtù loro sono inutili.

Ciascuna par dolente e sbigottita,
Come persona discacciata e stanca,
Cui tutta gente manca,

E cui vertute e nobiltà non vale.

Un tempo esse furono onorate, ma per quanto esse dicono, tutti oggi le sprezzano; esse vengono a rifuggirsi presso un amico. Amore le interroga: l' una dà a conoscere sè stessa, e le sue sorelle: è dessa la Dirittura, e le altre due sono la Generosità e la Temperanza, sbandite e perseguitate dagli uomini, e ridotte ad una vita povera, errante ed infelice. Amore le ascolta, e le accoglie. Quindi ebbe a predirgli Cacciaguida:

Tu proverai sì come sa di sale

Lo pane altrui, e com'è duro calle,

Lo scendere e 'l salir per l' altrui scale.

Par. XVII. 58.

Dante visse per alcun tempo nel monistero dell' Ordine Camaldolense di santa Croce di Fonte Avellana, luogo solitario ed orrido, situato nel territorio di Gubbio. Abitò il Castello di Colmollaro presso il fiume Saonda, discosto più di sei miglia dalla città di Gubbio, ivi cortesemente accolto da Messer Bosone Novello, figliuolo di Bosone di Guido d' Alberigo, dell' antica famiglia de' Rafaelli di Gubbio. Visitò il castello di Monteaccanico della Casa Ubaldini di Mugello. Si trattenne pel corso d' un anno intero nel castello di Tolmino, luogo allora di sicurezza de' Patriarchi d' Aquileja. Ancora si trova colà un gran sasso sopra 'l fiume Tolmino, ov' egli gir soleva a comporre, chiamato perciò la sedia di Dante. Vuolsi, che molte descrizioni dell' Inferno abbiano, somiglianza co' luoghi alpestri di quel contorno. Nel vigesimo Canto dell' Inferno vedesi menzione del Lago di Garda, dell' Alpi trentine, e del Tirolo. Nel duodecimo vuolsi paragonata la scesa d' un burrato ad una vasta congerie di grandi macigni, che vedesi presso il Villaggio Marco sotto Lizzana, un'ora vicino di Roveredo, chiamata da'

pacsani Slavino di Marco, rimasta per la caduta d'un gran monte seguita probabilmente l'anno 883. Da altri vuolsi, che Dante ivi parli in vece della rovina, che si ritrova di là da Roveredo, due miglia e mezzo in circa, detta da' paesani il Cengio rosso, e dove ora è il castello della Pietra, perchè il Cengio è un monte altissimo, parte di cui è rovinata, e parte resta ancora, come appunto pare, che Dante supponga. Vuolsi per ciò e per altri indizj, che egli visitasse Val Pulicella, e Val Lagarina nel territorio di Trento. Troppo ci dilungheremmo dal nostro proposito, seguir volendo Alighiero peregrinante. «Nam quum Auctor iste, dice Benvenuto, in viridiori aetate vacasset philosophiæ naturali et morali in Flo rentia, Bononia, et Padua, in matura ætate jam exul, dedit se sacræ Theologiæ Parisius. Ubi adeo alte emicuit, quod ab aliis vocabatur poeta, ab aliis philosophus, ab aliis theologus.» Boccaccio nella Genealogia degli Dei così scrive di Dante: « Sempre ripieno di dottrine fisiche e teologiche diede opera agli studj, e finora il con fessa la Giulia Parigi, dove spessissime volte entrò nello studio a sostener conclusioni sopra tutte le scienze contra tutti, che seco voleano disputare, o fargli opposizioni. » Jacopo Filippo da Bergamo, Cronic. lib. 13 sotto l'anno 1313, disse pure « Dante se ne andò alla città di Parisi per poter

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