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Pur Virgilio si trasse a lei, pregando
Che ne mostrasse la miglior salita;
E quella non rispose al suo dimando;
Ma di nostro paese e della vita

C'inchiese; e 'l dolce duca incominciava:
Mantova..... e l'ombra, tutta in sè romita,
Surse ver lui del luogo ove pria stava
Dicendo: O Mantovano, io son Sordello
Della tua terra; e l'un l'altro abbracciava.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,

Nave senza nocchiero, in gran tempesta,
Non donna di province, ma bordello!
Quell' anima gentil fu cosi presta,

Sol per lo dolce suon della sua terra,
Di fare al cittadin suo quivi festa;
Ed ora in te non stanno senza guerra
Li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
Di quei ch' un muro e una fossa serra.
Burg. VI 61.

Giudicato universalmente degno delle insegne e del nome di Poeta, il nostro Alighiero venne da molti Principi chiamato all' onore di tal dignità. Ma egli non seppe rinunciare alla speranza di poter essere coronato Poeta dalla pentita sua patria. Potè ben egli dire nella Volgare Eloquenza, che nel suo ramingo vivere, visitate avendo molte contrade d' Italia, e coltovi il fiore della comune loquela, per la dolcezza di questa

gloria, posto avevasi dopo le spalle il suo esilio medesimo. Potè ben egli in una delle morali Canzoni conchiudere dicendo:

L'esilio che m'è dato, onor mi tegno:
Cader tra buoni è pur di lode degno.

Alla fine l' innocente depredato e perseguitato dalla minaccia perpetua delle catene e del fuoco, per ottener pace una volta, scende ad esclamare:

Onde s'io ebbi colpa,

Più lune ha volto il Sol, poichè fu spenta;
Se colpa muore, perchè l' uom si penta,

Pare però a noi, ch' oggi quel Virtuoso vadasi così disdicendo:

L'animo mio, per disdegnoso gusto,
Ingiusto fece me, contra me, giusto.

Inf. XIII. 70.

Ahi piaciuto fosse, così egli nel Convivio, al Dispensatore dell' universo, che la cagione della mia scusa mai non fosse stata; che nè altri contro a me avria fallato, nè io sofferto avrei pena ingiustamente pena, dico, d' esilio, e di povertà; poichè fu piacere de' Cittadini della bellissima e famosissima figlia di Roma, Fiorenza, di gittarmi fuori del suo dolce seno, nel quale nato e nodrita fui fino al colmo della mia vita; e nel quale,

con buona pace di quella, disidero con tutto il cuore di riposare l'animo stanco, e terininare il tempo che m' è dato. Per le parti quasi tutte, alle quali questa lingua si stende, peregrino, quasi mendicando, sono andato, mostrando contro a mia voglia la piaga della fortuna, che suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata. Veramente io sono stato legno sanza vela, e sanza governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco, che vapora la dolorosa povertà: e sono apparito agli occhi a molti, che forse per alcuna fama in altra forma m'aveano immaginato; nel cospetto de' quali, non solamente mia persona invilío, ma di minor pregio si fece ogni opera, si già fatta, come quella che fosse a fare. »

Se mai continga, che 'l poema saero,

Al quale ha posto mano e cielo e terra,
Sì che m'ha fatto per più anni macro,
Vinca la crudeltà, che fuor mi serra

Del bello ovile, ov' io dormi agnello
Nimico a lupi, che gli danno guerra;
Con altra voce omai, con altro vello
Ritornerò poeta, ed in sul fonte

Del mio battesmo prenderò 'I cappello.

Par. XXV. J.

Deliberato pur sempre di non voler ricevere lo

nore della corona poetica, se non in quel luogo, dove aveva ricevute l'acque del battesimo, ricusò e disdisse a tutti è tanto, che s' interpose a quest' ultimo ed onestissimo suo disegno la morte. Trovavasi egli presso quel Guido Novello da Polenta figliuolo di Ostasio, che l'anno 1275, cacciati i Traversarj e i loro seguaci da Ravenna, se n' era fatto Signore. Essendo in guerra la Repubblica di Venezia con Guido; questi mandò Dante suo ospite alla Repubblica imbasciadore, per trattare di pace. Dante chiese più volte pubblica udienza, ma indarno. Dolente del nessuno frutto di tale suo viaggio in pro dell' Amico e Mecenate, tornossen' egli a Ravenna, dove, affrettato forse ancor dal rammarico, l' ultimo suổ dì, che alle tante sue fatiche doveva por fine, lo aspettava. Dante Alighieri, ardente cittadino, valoroso guerriero, esempio e maestro di purissimo amore, esule venerando, profondo teologo, sommo filosofo, poeta divino, di cui la fama durerà quanto il mondo lontana, l'anno 1321, il 14 di settembre, giorno di santa Croce, dell' età d'anni 56 e cinque mesi, volò a risiedere in cielo per sempre accanto alla sua Beatrice. « Pieno di gloria immortale, scrive il Giovio negli Elogi, mentre che egli considerava la felicità della patria celeste desiderata con tanto affetto dai devoti mortali, e da lui con tanto ardore ed ornato di parole, di sen

tenze, e di dottrina cantata, prima ch' egli aves se in capo o nella barba alcun pelo canuto, d'una grave infermità si morì, così pieno di spirito insino al fine, che, nel sentirsi venir meno, compose sei versi da scrivere sul suo sepolcro. »

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