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era di famosa beltà; e fu già molto donna 10) di questo primo amico mio 11): e il nome di questa donna 12) era Giovanna; salvo che per la sua beltà 13) (secondo che altri crede) imposto l'era nome Primavera; e così era chiamata 14). Ed appresso lei guardando, vidi venire la mirabile Beatrice. Queste donne andarono 15) presso di me, così l'una appresso l'altra; e parve che Amore mi parlasse nel cuore 16), e dicesse: Quella prima è nominata Primavera, solo per questa venuta d'oggi; chè io mossi lo imponitore 17) del nome a chiamarla cósi Primavera, cioè prima verrà lo di, che Beatrice si mostrerà dopo l'immaginazione del suo fedele. E se anco.voglio 18) considerare il primo nome suo, tanto è a dire quanto Primavera 19); perocchè il suo nome Giovanna è da quel Giovanni, il quale precedette la verace luce, cendo: Ego vox clamantis in deserto; parate viam Domini 20). Ed anche mi parve 21) che mi dicesse, dopo queste parole, altre cose 22). E chi volesse considerare sottilmente, quella Beatrice chiamerebbe Amore, per molta simiglianza 23) che ha meco. Onde io poi ripensando, proposi di scrivere in rima 24) al mio primo amico 25) (tacendomi certe parole le quali pareano da tacere) credendo io che ancora lo suo cuore mirasse la beltà di questa Primavera gentile; e dissi questo Sonetto.

SONETTO XII.

Io mi sentii svegliar dentro 26) dal core
Uno spirto 27) amoroso, che dormía;
E poi vidi venir da lungi Amore
Allegro si, che appena il conoscía 28),
Dicendo: Or pensa pur di farmi onore;
E 'n ciascuna parola sua 29) ridía:

E, poco stando 30) meco il mio Signore 31),
Guardando in quella parte ond' ei 32) venía,
Io vidi monna Vanna e monna Bice 33)

Venire in ver lo loco 34) là ov'io era,
L'una appresso dell' altra maraviglia:

E si, come la mente mi ridice,

Amor mi disse: questa è Primavera 35),

E quella ha nome Amor 36), si mi somiglia. †

di

+ Questo Sonetto ha molte parti; la prima delle quali è 37), come io mi sentii svegliare il tremore usato nel cuore, e come parve che Amore m'apparisse allegro 38) nel mio cuore da lunga 39) parte; nella seconda dico come parve, che Amore mi dicesse nel mio cuore, e qual mi parea; la terza dice come, poichè questo fu alquanto stato meco cotale 40), vidi e udii certe cose. La seconda parte comincia quivi: Dicendo: Or pensa ecc.

La terza: E poco stando ecc. La terza parte si divide in due ; nella prima dico quello che io vidi; nella seconda dico quello che io udii, e comincia quivi: Amor mi disse.

Note al S. XXIV.

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1) Nell' EP. e nel CC. manca - vana. le altre sue Rime « Guido, vorrei che tu e 2) Sedendom' in Cod. M.

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3) essendo io pensoso in alcun luogo

EP.

e CC.

4) venire

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sentii tutti i testi hanno

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mi

l'al

Avanti ed io, meno l'ediz. S. da noi seguíta, parendoci che tra lezione tenga sospeso il discorso. * 5) Tanto così dopo cuore, come se avanti fosse, manca nell' EP. e nel CC. * 6) vinse 7) presi, cioè t'innamorai nota 29) pag. 6. *

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S., venne

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· EP. e CC.

8) lo core così lieto - EP. 9) gentilissima

EP. e CC.

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Vedi la

40) Vale a dire: ebbe assai stretta amicizia; come disse ugualmente il Sacchetti: essendo io molto del detto messer Piero (cioè Gambacorti da Pisa. — Vedi nota del Poggiali, Testi di Lingua, vol. I, pag. 346); nel qual senso non trovasi in Vocabolario. La sola EP. legge male a proposito:-e fu già molte volte donna ecc.

11) Cioè Guido Cavalcanti. Vedi la nota 42) pag. 7, e l'Append. N.o X. * 12) V. Append. N.° XVIII*

13) Così gli EM. con S., e beltade l' EP. ; il Biscioni - biltà. *

14) Di questa, come amica del Cavalcanti, parla Dante nel Sonetto che leggesi fra

Lapo ed io » al v. 9: « E monna Vanna, e monna Bice poi»; il qual Sonetto, comechè scritto vivente Beatrice, opina il canon. Dionisi appartenere alla presente opera, benchè non inseritovi. A coloro poi che asseriscono, non avere il Poeta mai chiamata la donna sua con tal nome ne' suoi versi, fuorchè una volta per cenno nel Parad. Č. VII, v. 13, vaglia a provare il contrario e l'ora citato Sonetto, e quello qui riferito N. XII.* 15) Queste andaro - EP. e CC. 16) nel cuore manca nell' EP. e nel CC.

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Note al Sonetto XII.

26) a lo core EP. e CC. 27) Lezione del testo S.; tutti gli altri men dolcemente Un spirito ecc. 28) conoscia per conoscea, come più solto ridia per ridea; desinenza che s' incontra in altri antichi Poeti. Jacopo da Lentino: quando vi vedía. Frà Jacopone : che 'l Deo d' Amor facia. PF.

29) Così leggiamo colle RA. e con S., non dando retto senso la volgata : E ciascuna ecc. L'EP. ha la variante: - E a ciascuna parola sua ridea "" con questa nota: « E ovvio in alcuni codici il trovare conservate le desinenze regolari, quantunque per la rima dovessero variarsi, ciò rimettendosi al lettore come noi voi per nui vui, e qui ridea per ridia ». Vedi la nostra nota 46) pag. 24.*

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33) Vedi la nota precedente 14). Il sig. Fraticelli, notando che questi due nomi sono accorciamenti di madonna Giovanna e di madonna Beatrice, opportunamente soggiugne (Ragion. pag. CCLXXII) sulle traccie del Dionisi, che «se Beatrice, la donna di Dante, fosse un' allegoría, dovrebbe esser pure Giovanna, la donna del Cavalcanti (è quella di Lapo, noi soggiungiamo, indicata nel v. 10 del Sonetto mentovato alla nota surriferita) ; ma nessuno giammai sospettò, non che narrasse, simil cosa improbabile. Ecco dunque un nuovo argomento che Beatrice fosse una femmina vera e reale ». 34) inverso il loco dove io era

e CC.

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EP.

35) Nome della donna del Cavalcanti, la

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§ XXV. Dichiara come sia lecito ai Poeti Volgari parlar d'Amore, considerandolo quale persona animata; e quanto si convenga ad essi il rimare in materia amorosa.

Potrebbe qui dubitar persona degna di 1) dichiararle 2) ogni du

bitazione, e dubitar potrebbe di ciò ch'io dico d'Amore, come se fosse una cosa per sè, e non solamente 3) sustanzia intelligente, ma siccome fosse sustanzia corporale; la qual cosa, secondo la verità, è falsa; chè Amore non è per sè, siccome sustanzia, ma è uno accidente in sustanzia. E che io dica di lui come se fosse corpo, ancora come se fosse uomo, appare per tre cose che io dico di lui. Dico che 'l vidi 4) venire; onde conciossiacosachè il venire dica moto locale (e localmente mobile per sè, secondo il Filosofo, sia solamente corpo), appare che io ponga Amore esser corpo. Dico anche di lui, ch' egli ridea, ed anche che parlava le quali cose pajono essere proprie dell' uomo, e specialmente essere visibile; e però appare 5), che io ponga lui essere uomo. A cotal cosa dichiarare, secondo 6) che è buono al presente, prima è da intendere, che anticamente non erano dicitori d'Amore 7) in lingua volgare, anzi erano dicitori d'Amore certi poeti in lingua latina; tra noi, dico; avvegna forse che tra altra gente avvenisse; ed avvegna ancora che, siccome in Grecia, non volgari, ma litterati poeti queste cose trattavano. E non è molto numero d'anni passato 8), che apparirono prima 9) questi poeti volgari; chè 10) dire per rima in volgare tanto è, quanto dire per versi in latino, secondo alcuna proporzione. E segno che sia piccolo tempo, è che, se volemo guardare 11) in lingua d'Oco, e in lingua di St 12) (XIX), noi non troviamo 13) cose dette anzi il presente tempo 14) per centocinquanta anni. E la cagione, perchè alquanti grossi 15) ebber fama di saper dire, è, che quasi furono i primi 16) che dicessero in lingna di St. Ed il primo che cominciò a dire come poeta volgare, si mosse però, che volle 17) fare intendere le sue parole a

donna, alla quale era malagevole ad intendere i versi latini. E questo è contro a coloro, che rimano sopra altra materia che amorosa; conciossiacosachè cotal modo di parlare fosse dal principio trovato per dire d' Amore 18). Onde, conciossiacosachè a' poeti sia conceduta maggior licenzia di parlare, che a' prosaici dittatori 19); e questi dicitori 20) per rima non sieno altro che poeti volgari; degno e ragionevole è, che a loro sia maggiore licenzia largita di parlare, che agli altri parlatori volgari. Onde, se alcuna figura o colore rettorico è conceduto alli poeti, conceduto è a' rimatori. Dunque 21) se noi vedemo, che i poeti hanno parlato delle cose inanimate, siccome avessero senso o ragione, e fattole parlare insieme; e non solamente cose vere, ma cose non vere (cioè che detto hanno di cose, le quali non sono, che parlano; e detto che molti accidenti parlano, come se fossono sustanzie ed uomini); degno è lo dicitore per rima fare lo somigliante 22), non senza ragione alcuna, ma con ragione, la quale poesia sia possibile di aprire 23) per prosa. Che li poeti abbiano così parlato, come detto è, appare per Virgilio, il quale dice che Juno, cioè una Dea nemica dei Trojani, parlò ad Eolo, signore de'venti, qui nel primo dell'Eneide 24): Eole, namque tibi etc. ( v. 65 ); e che questo signore le rispondesse quivi (vv. 76, 77): Tuus, o regina, quid optes - Explorare labor, mihi jussa capessere fas est. Per questo medesimo poeta parla la cosa che non è animata alle cose animate, nel terzo dello Eneida, quivi: Dardanidae duri etc. (v. 94). Per Lucano parla la cosa animata alla cosa inanimata, quivi: Multum, Roma, tamen debes civilibus armis (Phars. I, 44). Per Orazio parla l' uomo alla sua scienza 25) medesima, siccome ad altra persona; e non solamente sono parole d' Orazio, ma dicele quasi medio 26) del buono Omero quivi nella sua Poetria 27): Dic mihi, Musa, virum etc. (vv. 141, 142). Per Ovidio parla Amore, come se fosse persona umana, nel principio del libro che ha nome Rimedio d' Amore, quivi: Bella mihi, video, bella parantur, ait. (v. 2). E per questo puote essere manifesto a chi dubita in alcuna parte di questo mio libello 28). Ed acciocchè non ne pigli alcuna baldanza persona grossa 29), dico che nè i poeti parlano 30) così senza ragione; nè quelli che rimano, deono parlare così, non avendo alcuno ragionamento in loro di quello che dicono; perocchè gran vergogna sarebbe a colui che rimasse cose sotto vesta di figura o di colore rettorico, e poi 31) domandato non sapesse denudare 32) le sue parole da cotal vesta, in guisa che avessero verace intendimento. E questo mio primo amico 33) ed io ne sapemo 34) bene di quelli, che così rimano stoltamente.

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stanza, intelligenza. Sopprimendo il primo di questi sostantivi noi otteniamo una lezione più giusta di quella che abbiano le altre edizioni >>.- A noi ciò non pare, essendo anzi manifesto l' error di penna dell' amanuense, e più erronea la proposta correzione, troppo contraria alla consueta precisione del dire di Dante.' 4) di lungi venire EP. 5) pare S. e Cod. M.

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6) Nell' EP. manca secondo, ed è posto fra parentesi l' inciso con questa chiosa : « a presente, gemello dell'- à présent francese, rimarchevole per l' articolo indeterminato, e da aggiungersi al Vocabolario ». 7) Qui l' ediz. del Biscioni, dopo dicitori d' Amore, aggiunge certi poeti ecc. Noi seguiamo i Codd. B. ed F. e la stampa Sermartelli. EM. - Così difatti legge anche 1' EP. e il CC., ove per altro manca la parola lingua, e nel seguente membretto è tralasciata la ripetizione - dicitori d' A

more.

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8) Adottiamo cogli EM. questa lezione segnata fra le varianti del Biscioni, sembrandoci più retta della volgata - passati.*

9) prima (la prima volta) aggiunto dagli EM. coll'appoggio del Cod. B., mancandone la volgata. Anche l'EP. ha questo avverbio, e così il CC. *

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10) La lezione comune è: ( chè dire per rima in volgare tanto è, quanto dire per versi in latino) secondo alcuna proporzione è segno, che sia piccol tempo; e se volemo ecc. Gli EM. variano solo col porre punto fermo dopo latino, disgiungendo il membretto - Secondo alcuna proporzione, ch' evidentemente fa parte dello stesso periodo e vuol dire in certo qual modo; mentre Dante non volle già paragonare assolutamente la rima volgare al verso latino; chè il confronto per più riguardi non reggerebbe e nè anche intese bene il discorso chi pose qui il segno del parentesi. Noi dunque stiamo coll' EP., che trasformando in è verbo la disgiuntiva e dopo - piccolo tempo, e aggiungendovi - che, toglie ogni confusione.*

11) cercare - EP. e CC

42) L' EP. sottopone al Si questa nota: «Nel nostro codice isi qui e appresso; forse dal latino id sic »>.

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43) troveremo EP. e CC.

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14) Così S. ed EP. Nelle altre stampe manca la preposiz. per. Questa cosa è pure attestata da Leonardo Aretino nella sua Vita di Dante; ed anche il Crescimbeni prova, indipendentemente dall' autorevole testimonianza dell' Allighieri, che non prima della metà del secolo XII (1450 ) cominciarono a scriversi rime in lingua volgare (Stor. della volg. Poes.).

15) Per alquanti grossi, cioè persone

idiote, vuol qui l'Autore designare quegli inetti e incolti verseggiatori, che (come dice più sotto) rimano & sotto veste di figura o colore rettorico, non avendo alcun ragionamento di quello che dicono ». Altrove pure usa la stessa voce in eguale significato chiamando (Purg. C. XI, v. 93) etati grosse i tempi d' ignoranza : « O vanagloria delle umane posse, - Com' poco il verde in su la cima dura, - Se non è giunta dall'etati grosse ». Cioè, che (come nota con espressivo laconismo il Tasso) continuano grossolanamente; facendo col loro infelice confronto spiccare la gloria dell'età precedenti, finchè non succeda epoca ancor migliore che le offuschi. * 16) L'EP. dopo i primi, pone dissero, e il CC. che dicessero; aggiunta

da noi adottata. *

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che

17) volle dare ad intendere a donna ecc. l' EP. e il CC. omettendosi nella prima - le sue parole.

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18) Perciò forse Dante mise sotto allegoria d' Amore le lodi della Filosofia nelle sue Canzoni, e teneva forse ancora questa opinione, che nou sia da rimare sopra altra materia che amorosa, quando cominciò in versi latini il suo Poema. Fu gran ventura della nostra poesia, ch' egli poi_mutasse parere. EM. Qui soggiunge il Fraticelli: « Dal passo del Boccaccio (Giorn. VII, nov. 3), in cui si dice che frate Rinaldo cominciò a fare delle Canzoni, de' Sonetti e delle Ballate, si rileva che l'oggetto di chi scriveva tali poesie volgari, era quello di entrare nella grazia di qualche donna ».'

19) Cioè scrittori in prosa. Prosa, scrittura sciolta, vale a dire nou legata a metro, secondo definisce la Crusca, in contrario di quanto vorrebbe far intendere il Biagioli, comentando il v. 118 del C. XXVI Purg. « Versi d'Amore e Prose di Romanzi », come osservano gli Editori Padovani della Div. Com. *

20) Dicitori e Dire, lo stesso che Poeti e Poetare. Vedi il Convito, Trat. II, Cap. XII in principio. « Rampollo umil de' dicitori antichi » disse di sè il Boccaccio, alludendo alle sue poesie.*

21) La lezione comune è: Onde, se noi vedemo che li poeti hanno parlato alle cose inanimate come se avessero senso e ragione ecc. Il Dunque è del testo S. e dell'EP.; questa ha dicemo invece di vedemo, udimo, il CC. L' uno e l'altra poi legalle gono delle cose, assai meglio che cose - della volgata.

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