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25) Egualmente rivolge Dante il discor so al proprio ingegno nel C. II dell' Inf. v. 7 : « Muse o alto ingegno, or m' ajutate ».

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26) « Eccoli medio, cioè interprete; giacchè Orazio quivi traduce ciò che dice Omero nel principio dell' Odissea ». Dion. (Aned. V, pag. 139). Significato da aggiungersi al Vocabolario. Gli EM. sostituirono qui la variante del Cod. B. quasi in emulo modo del buon Omero, notando tuttavia che il Cod. F. si conforma a tutte le stampe. Non però (soggiungiamo noi) all' EP. e al CC. ove si legge: quasi recitando le parole del buono Omero. Il Cod. M. riunisce le due differenti lezioni in questa: quasi recitando lo modo del buon Omero. *

27) Qui propriamente è l'Arte Poetica d'Orazio ; ma generalmente intendevano gli antichi per Poetria qualunque componimento poetico.

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28) Per comprender qui il concetto dell'Autore bisogna combinarlo con ciò che intese dire nel periodo finale del §. XII.*

29) Ignorante, di grossolano intelletto. Vedi la nota 15) pag. 58.*

30) parlavano - EP. in passato, riferendosi agli antichi autori sopraccitati; e pare in fatti che Dante li chiami poeti, a differenza dei moderni, che nomina rimatori, o dicitori in rima. *

31) Quest' avverbio è nell' EP. *

sanno

32) dinodare il Cod. B. Abbiamo conservato la volgata lezione per mantenere il contrapposto delle parole. EM. - dinudare S. e l'EP. Qui è ben chiaro che Dante parla di quegl' insulsi poeti che non nascondere sotto i vacui loro versi utili concepimenti, in somma che non usano un linguaggio allegorico, com'egli fece nelle sue Rime, e segnatamente poi nel suo maggior Poema. «Questa cotale figura in rettorica è molto laudabile, ed anche necessaria, cioè quando le parole sono a una persona, e l' intenzione ad un' altra ». ( Convito, Trat. II, Cap. 10).'

33) Si è già detto altrove qual fosse questo primo amico di Dante. V. nota 42) pag. 7, e Append. N.o X. * 34) Cioè, ne conosciamo.*

§. XXVI. Cresciuta in fama la beltà di BEATRICE, fanno tutti a prova per veder lei; DANTE spiega in un Sonetto quanto onesto e maraviglioso piacere ne procedeva in altrui.

Questa gentilissima donna, di cui detto è 1) nelle precedenti parole, venne in tanta grazia delle genti, che quando passava per via, le persone correvano per vedere lei 2). Onde mirabile letizia me ne giugnea e quando ella fosse presso d' alcuno, tanta onestà venía 3) nel cuore di quello, ch' egli non ardiva di levare gli occhi, nè di rispondere al suo saluto; e di questo molti, siccome esperti, mi potrebbono testimoniare a chi nol credesse. Ella coronata e vestita d'umiltà s'andava, nulla gloria mostrando di ciò ch'ella vedeva ed udiva. Dicevano molti, poichè passata era: Questa non è femmina, anzi e 4) uno dei bellissimi Angeli del cielo. Ed altri dicevano : Questa è una maraviglia; che benedetto sia il Signore, che si mirabilmente 5) sa operare 6)! Io dico, ch'ella si mostrava si gentile e si piena di tutti i piaceri 7), che quelli che la miravano, comprendevano in loro una dolcezza onesta e soave tanto, che ridire non la 8) sapeano; nè alcuno era il quale 9) potesse mirar lei, che nel principio non gli convenisse sospirare. Queste e più mirabili cose procedeano da lei mirabilmente 10) e virtuosamente. Ond' io, pensando a ciò, volendo ripigliare lo stile 11)

della sua loda, proposi di dire parole, nelle quali dessi ad intendere delle sue mirabili ed eccellenti operazioni; acciocchè non pur coloro che la poteano sensibilmente 12) vedere, ma gli altri sapessono 13) di lei quello, che per le parole ne posso fare intendere; ed allora dissi questo Sonetto.

SONETTO XIII.

Tanto gentile 14) e tanto onesta pare
La donna mia, quand'ella altrui saluta,
Che ogni lingua divien tremando muta,
E gli occhi non l'ardiscon di guardare!
Essa sen va, sentendosi laudare,

Benignamente d'umiltà vestuta 15);
E par che sia una cosa venuta

Di cielo in terra a miracol mostrare.
Mostrasi si piacente a chi la mira,

Che da per gli occhi una dolcezza al core,
Che 'ntender non la può chi non la prova.
E par che dalla sua labbia 16) si muova
Uno spirto 17) soave e pien d'Amore 18),
Che va dicendo all' anima: sospira! †

+ Questo Sonetto non si divide, perciocchè per sè medesimo è assai chiaro 19).

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§. XXVII. Aggiunge in un altro Sonetto, che la beltà di BEATRICE, lunge dal far onta alla bellezza delle altre, queste ricevevano onore dalľ andare con lei.

Dico che questa mia donna venne in tanta grazia, che non sola

mente ella era onorata e lodata, ma per lei erano onorate e lodate molte. Onde io veggendo ciò, e volendo manifestare a chi ciò non vedea, proposi anche di dire parole, nelle quali ciò fosse significato; e dissi quest' altro Sonetto, che comincia Vede perfettamente ecc., lo quale narra di lei, come la sua virtude adoperava nelle altre, siccome appare nella sua divisione * 1).

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SONETTO XIV.

Vede perfettamente ogni salute

Chi la mia donna tra le donne vede;
Quelle che van con lei, sono 2) tenute
Di bella grazia a Dio render mercede.

E sua beltate 3) è di tanta virtute,

Che nulla invidia all' altre ne procede 4);
Anzi le face andar seco vestute

Di gentilezza, d'amore e di fede.
La vista sua face 5) ogni cosa umíle,
E non fa sola sè parer piacente,
Ma ciascuna 6) per lei 7) riceve onore.

Ed è negli atti suoi tanto gentile,
Che nessun la si può recare a mente,
Che non sospiri in dolcezza d' Amore. †

+ Questo Sonetto ha tre parti. Nella prima dico tra che genti 8) questa

donna parea plù mirabile: nella seconda dico siccom'era graziosa 9) la sua compagnia nella terza dico quelle cose, ch'ella 10) virtuosamente operava in altrui. La seconda parte comincia: Quelle che van ecc.; la terza: E sua beltate ecc. Questa ultima parte si divide in tre nella prima dico quello che operava nelle donne, cioè per loro medesime; nella seconda dico ciò che operava in loro per altrui 11): nella terza dico, che non solamente nelle donne operáva, ma in tutte le persone; e non solamente nella sua presenza, ma ricordandosi di lei, mirabilmente operava. La seconda comincia: La vista; la terza: Ed è negli atti.

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§. XXVIII. Ma pensando DANTE non essere sufficienti le lodi dette di lei nelli due Sonetti ultimi, mette mano ad una Canzone, che meglio dichiari il potere in lui della virtù di Beatrice.

Appresso

Appresso ciò cominciai a pensare un giorno sopra quello, che detto avea della mia donna, cioè in questi due Sonetti precedenti; e veggen

do nel mio pensiero, che io non avea detto di quello che al presente tempo adoperava 1) in me, parvemi 2) difettivamente avere parlato; e però proposi di dire parole, nelle quali io dicessi come 3) mi parea essere disposto alla sua operazione, e come operava in me la sua virtù; e non credendo ciò potere narrare in brevità di Sonetto, cominciai 4) allora una Canzone, la quale comincia:

CANZONE III.

Si lungamente m' ha tenuto Amore,

E costumato 5) alla sua signoria,

Che si 6) com' egli m' era forte 7) in pria,

Così mi sta soave ora nel core.

Però quando mi toglie 8) si il valore,
Che gli spiriti par che fuggan via,
Allor sente la frale anima mia
Tanta dolcezza, che 'l viso ne smuore.
Poi prende Amore in me tanta virtute,
Che fa li miei sospiri 9) gir parlando;
Ed escon fuor chiamando

La donna mia, per darmi più salute.
Questo m' avviene ovunque 10) ella mi vede;
E si è cosa umil, che 11) nol si crede.

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