Convienmi di parlar 13), traendo guai. Se non a cor gentil che 'n donna sia; Che se n'è ita 17) in ciel subitamente, Lo giunse 20) di chiamar tanta salute, Di sospirare e di morir di pianto; Quando il pensiero nella mente grave Quando l'immaginar mi tien 30) ben fiso, Ch'i' mi riscuoto per dolor ch'io sento; Che dalle genti vergogna mi parte 31): Mi strugge 32) il core, ovunque 33) sol mi trovo, Che la mia donna andò nel secol novo 35), E però, donne mie, per ch' io volesse 36), Non vi saprei dir bene 37) quel ch'io sono; La quale è si invilita, Che ogni uom par che 38) mi dica: Io t'abbandono ; Vedendo la mia labbia 39) tramortita. Ma qual ch' io sia, la mia donna 40) se'l vede, Ed io ne spero ancor da lei mercede. Pietosa mia Canzone 41), or va piangendo, cioè lamentandosi e piangendo ; e indirizza il suo discorso a donne di cor gentile. RZ. 11) Intendi: Gli occhi, che per la compassione del cuore si dolevano, hanno nel lagrimare sofferto pena così grande, che omai sono restati abbattuti. Ora se io voglio sfogare il dolore, che appoco appoco mi conduce alla morte, non posso più piangere (perchè gli occhi sono a questo impotenti), ma conviemmi parlare, traendo lamenti compassionevoli. PF. 12) Così gli EM. e l' EP. Le altre stampesfogare il dolore. * 13) Convenemi parlar - EP. e CC. 14) Così RA., S., EM., EP. - perch' el mi ricorda, la volgata. 18) La stessa frase in l'alto cielo, usò Dante nella Canzone I.a, st. 3, v. 1, pag. 35. * -« Ita per andata. Parla della di lei morte, e dice non esser ella stata tolta di questo mondo per qualità di gelo nè di calore, come accade generalmente nelle altre donne; ma che la di lei benignitate fe' meravigliar l'eterno Sire, il quale desiderò di chiamare a sè tanta salute, perchè vedea che questo mondo non era deguo di si gentil cosa ». RZ. 19) Perciocchè la luce, lo splendore. PF. - de la sua umanitate il CC. * 20) Si che fu preso da un dolce deside rio. PF. 25) « Ma vien pianta e sospirata da chi sa qual' ella fu in vita ». RZ. — Man' ha, legge PF., non indicando però con qual testo. A noi sembra ottima la lezione comune Ma vien, cui seguiamo. 26) E d'ogni consolazione, conforto. PF. 27) Questa lezione è dei Codd. B., F., e del Codice Trivulziano delle Rime di Dante segnato D.; ma quella del Biscioni e d' altri testi è Donanmi: nella divisione in prosa ha per altro Dannomi ecc. EM. E del pari in ambedue luoghi l' EP. Lo Zotti commenta questo passo così: « E egli afflitto quando pensa a quella che gli avea tolto il cuore, e gli fa desiderar di morire: quindi si tramuta il color del suo viso talmente che " per vergogna si parte dalle genti, e solo piangendo e chiamandola per nome si sente confortare >>. 28) pensando, considerando, la morte l' EP. e il CC. in quarto caso, come si è veduto altrove, nota 11) pag. 38, Canzone I. Anche qui la volgata alla morte. 29) Vienemene · EP. e CC. 39) Per labbia in significato di faccia, volto, veggasi la nota 16) pag. 60. 40) il si vede - EP. 41) Parla alla sua Canzone, designandole a quali donne vuole che se ne vada, e che con elle si stia. RZ. 42) A cui le tue sorelle (le precedenti Canzoni)- Erano usate di portar letizia; poichè non parlavano della morte di Beatrice, ma delle lodi di lei vivente. PF. 43) Vatten' disconsolata Cod. M. e Cod. Mortara. Dopo questo verso, che in tutte l'edizioni e nei codici da noi citati è l'ultimo della presente Canzone, altri versi seguono in quella del Sermartelli, che qui riportiamo uno de' quali è con poca diversità il penultimo della stanza I., non essendo il terzo che la ripetizione esalta dell' ultimo di detta stanza. E poichè non vedesi ragione di tale aggiunta, pare doversi attribuire al copista, il quale si è già osservato aver presi parecchi altri arbitrii: « Di: Beatrice, più che l' altre bella « N'è ita a pie d' Iddio immantenente «E ha lasciato Amor meco dolente ». §. XXXIII. Scrive ancora un Sonetto in servigio d'un parente di lei, il quale glielo aveva chiesto per altra donna che dicea morta, tacendogli di BEATRICE. Poichè detta fu questa Canzone, si venne a me uno, il quale, secon do li gradi dell' amistà, è 1) amico a me immediatamente dopo il primo; e questi 2) fu tanto distretto di consanguinità con questa gloriosa 3), che nullo più presso l'era 4). E poichè fu meco a ragionare, mi pregò ch'io gli dovessi dire alcuna cosa per una donna che s'era morta; e simulava sue parole, acciocchè paresse che dicesse d' un' altra, la quale morta era cortamente 5): ond' io, accorgendomi che questi dicea 6) solo per quella benedetta, dissi di fare ciò che mi domandava il suo prego 7). Onde poi, pensando a ciò, proposi di fare un Sonetto, nel quale io mi lamentassi alquanto; e di darlo a questo mio amico, acciocchè paresse che per lui l'avessi fatto; e dissi allora questo Sonetto, che comincia cosi: Venite a intender. † Questo Sonetto ha due parti 8). Nella prima chiamo li fedeli d' Amore, che m'intendano 9): nella seconda narro della mia misera condizione. La seconda comincia: Li quali sconsolati. SONETTO XV. Venite a intender li sospiri miei, Voi udirete lor chiamar 14) sovente 10) Così RA., S., EP., meglio della volgata : Li qua' disconsolati ecc. 11) Leggendo - s'e', invece di se, lezion comune, adottiamo la variante proposta dal giudizioso autore della seguente nota: «E s' ei (i sospiri) non fossero, che col loro irrompere mi alleggerissero l'angoscia, io morrei di dolore ». PF. * 12) Così col Cod. M., per evitare lo scoutro aspro delle due rr della volgata - sarebber rei. * 13) Che sfogherei lo cor ecc. - EP. e CC.; e prima il Biscioni - Ch' i' sfogherei il cor ecc., mettendo in nota la variante - Ch' af fogherieno. Da quella sua lezione non vedono gli EM. come si possa trarre un senso buono ; ma non pensano così gli Editori del testo pesarese, i quali anzi vi trovano l'essenza del concetto, e chiosano: « Dice « il Poeta: I miei sospiri sconsolati vanno « via: e sc non fosser, morrei di dolore. « Prestano adunque i sospiri al Poeta quell'uf- 15)«E dispregiare talor questa vita » - S. 16) Priva del di lei saluto. PF. Anche qui salute per salutazione, l'atto del salutare. V. nota 14) a pag. 17. §. XXXIV. Per meglio servire all'inchiesta, e continuare lo sfogo del proprio dolore, aggiunge al Sonetto due stanze d'una Canzone. Poichè detto ebbi questo Sonetto, pensandomi chi questi era, a cui lo intendea 1) di mandare quasi come per lui fatto, vidi che povero mi parea lo servigio e nudo a così distretta persona di questa gloriosa 2). E però, anzi ch' io gli dessi il soprascritto Sonetto, dissi due stanze d'una Canzone; l'una per costui veracemente, e l'altra per me; avvegnachè 3) paja l' una e l'altra per una persona detta, a chi non guarda sottilmente: ma chi sottilmente le mira, vede che diverse persone parlano, acciocchè 4) l'una non chiama sua donna costei, e l'altra sì, come appare manifestamente. Questa Canzone e questo Sonetto gli diedi, dicendo io a lui, che per lui solo fatto l'avea. † Dante, Vita Nuova. 10 |