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l'autore, dato che tali variazioni sono contenute come in una cornice tra l'ultimo

sonetto:

Però ch'i' ò temenza di fallare
s'andasse più innanzi maggiormente

E voglio umil pregar la cortesia

di voi che m'abbia in ciò per iscusato

ch'i' pur mostrato v'ò di mio savere.....

ed i primi, in cui l'autore si dispone a trattare e si scusa se vi si conterrà al

cuna cosa

contra onore

la qual per vizio sia del dicitore...

Siamo dunque dinanzi a l'introduzione ed al commiato di una vera trattazione. La stessa mano trascrisse tutti questi sonetti con ogni cura ed il menante appare dotato di una diligenza, che dovrebbe essere esclusa assolutamente quando si ammettesse che il sonetto d'invocazione a la morte fosse stato indebitamente intercluso a far parte di questo trattato. Pur l'altra ipotesi, che il compositore del trattato si appropriasse un sonetto del Cavalcanti per unirlo ai suoi, sarebbe ben strana, poi che egli mostra qualità veramente ottime di poeta anche in molti degli altri sonetti, e non verisimilmente sarebbe quindi andato a mendicare un sonetto di altro autore a complemento dei suoi.

Si potrebbe ammettere invece che l'attribuzione al Cavalcanti del sonetto, che fu disperso dal trattato, sia un errore degli altri codici, che lo contengono, cioè Pf. Ca. La. Lb. Lc. M'f. UBb. M'c. Berg. Cors. Nap. Pa. Ra. Re. C. Cb. Ma. Di questi non hanno valore originale che i primi due, perchè Bart, (M'c. UBb. Berg. Cors. Nap.) con Lc. Pa. La. Lb. sono discendenti dal gruppo di Ca; Bart ha relazioni di origine con Ra; Ma discende da Lb; Cb non ha valore di fonte e . M'f. Rc, più uniti fra di loro, pure hanno affinità con le discendenze degli altri gruppi e di Ca. Restano quindi in campo Pf. Ca. ed il Vat. 3793 (d) che lo porta adesposto.

Le condizioni di Pƒ ci attestano che questo sonetto andava sperduto qua e là, tanto che il menante di Pf lo mise fra altre rime adespote che furono riconosciute del Petrarca dal postillatore più recente, il quale pure specificò con la rubrica essere questo sonetto di Guido. Il trascrittore primo quindi merita poco la nostra fiducia per questo, oltre che per i mutamenti continui ed arbitrari nella lezione; chè il sonetto non può riportarsi nè al Petrarca nè al tempo del Petrarca e per le ragioni estetiche che stanno nella sua essenza e per l'incompatibilità fra questa ipotesi ed il trovarsi esso in una raccolta non certo posteriore al 1300 o meglio ancora anteriore di qualche anno, (1) quale è V ́d.

(1) Ciò dimostra con uno studio preciso ed intelligente della grafia il Salvadori (op. citata), al quale rimando il lettore anche per alcune parti della discussione, ch'egli trattò mirabilmente e che sarebbe noioso ed inutile ch'io ripetessi. Di questo codice s'occuparono: il Fantuzzi: No

L'altro codice importante, che dà il nome del Cavalcanti, Ca, è codice di grande autorità, nè alcun dubbio venne mai ai ricopiatori posteriori, nè al Bembo o Brevio ricordati nel Bartoliniano, nè a Lorenzo de' Medici, ammiratore così studioso dell'opera del Cavalcanti. Se non il Magnifico, certo il Bembo (1) conobbe anche il codice vaticano, onde si dovrebbe credere che egli o non si accorse che i sessantuno sonetti formavano un tutto solo o non trovò necessario distinguere l'uno dagli altri. Pur volendo mettere in dubbio l'autorità non piccola di Ca, si dovrebbe cercare conferma al dubbio nel valore estetico ed artistico del compo. nimento, il quale al contrario ne dà una completa smentita.

L'età di Guido va dal Guinicelli, che segna il passaggio da la prima forma toscana a la forma rinnovata dello stil novo, a Cino da Pistoia, anello di congiunzione fra la psicologia quasi esterna nell'ideale dei primi poeti nuovi e la psicologia intimamente realistica del Petrarca. Cino rappresenta già il drama intimo psicologico.

con

In questo sonetto, pur così tragico, il poeta non istudia veramente il suo dolore, ma lo osserva come riflesso in uno specchio: il suo sguardo non scruta nell'anima, non vi si sprofonda, ma inalza l'anima a l'altezza degli occhi per poterla ben vedere; onde viene la conseguenza che quest'anima dolorosa si mantiene nel contatto con tutte le cose esterne e non si racchiude, nel momento della commozione, in sè stessa. La realtà psicologica quindi non aveva ancora pervaso la poesia quando il sonetto fu scritto, si che l'esame estetico non valida che l'attestazione di Vd, che lo porta nelle sue rime, trascritte certo non oltre l'ultima produzione poetica di Guido. Più indietro d'altra parte non si può riportarlo, chè, se pure il Guinicelli è maestro ai poeti novi per la teorica amorosa e per la ingenua semplicità dell'arte sua, nè egli nè i contemporanei suoi arrivarono mai ad una simile espressione tragica di vero dolore. Si può vedere anche che Ca (2) non è veramente origine ai gruppi affini M'f. C. Rc. La. Lb. Ma. Lc. Giunt. Cb. Pa, come non è origine a la tradizione Bart-Ra: ma ha origini non dissimili del tutto, sebbene le varianti che stringono insieme questi gruppi attestino dei generatori lievemente dissimili da Ca. E poichè Ca non è nè pur molto diverso da Vd potremmo anche ammettere, nei vari generatori dei gruppi secondari, non discendenze dirette da Ca, ma da fonti esterne a Ca, parallele a Vd, che è senza alcun dubbio il più puro: onde si avrebbe anche in codici di relazione con Vd l'attribuzione del sonetto al Cavalcanti. Senza insistere più oltre mi pare si possa stabilire che criticamente non è possibile

tizie degli scrittori bolognesi: t. II pag. 149 e VIII pag. 308 Grion: Die Vaticanische Liederhandschrift N.r 3793 in Boehmer, Romanische Studien - Halle, 1871, I. pag. 61-113. Lo pubblicarono D'Ancona e Comparetti: Bologna, Romagnoli Collez. di op. ined. o rare da n. 43 a 47. Il Grion disse che il Bembo l'aveva avuto da suo padre, che nel 1478-80 veniva ambasciatore a Firenze nel tempo in cui si componeva Le ed in cui Angelo Colocci raccoglieva quanto si trova in Vat. 4818. Questa opinione non è stimata sicura da Vittorio Cian (op. cit.). Secondo il Grion (Propugnatore, Vol. IV, P. I. pp. 105 e sgg.) ne sarebbe una copia anche il Vat. 4640. II Trucchi lo disse composto fra 1265-75. Il Visconte Colomb de Batines lo riportò a la fine del sec. XIII od a' primissimi del XIV.

(1) Cian: op. citata.

(2) Vedi la classificazione dei mss.

togliere al Cavalcanti il sonetto:

Morte gentil remedio de' cattivi il quale in Va fa parte di una serie di sonetti, che formano un tutto solo, il quale non può essere opera di scrittore mediocre per le sue non scarse qualità poetiche. Ammettiamo però ancora per un istante che il trattato non sia opera del Cavalcanti: ossia che possa essere opera di altro poeta, che viva a Firenze (1) fra l'arte del Guinicelli e quella di Cino ed abbia alte qualità poetiche.

Dovendo escludere Dante, perchè questo trattato non può essere nè contemporaneo nè antecedente nè posteriore a la Vita Nova », non restano che o l'Orlandi o l'Alfani o Lapo Gianni. L'Orlandi ha una maniera tutta diversa di poetare e non si sarebbe rivolto al Cavalcanti chiedendo:

Onde si move e donde nasce amore?

se egli stesso fosse stato autore di un trattato di ben servire. Come avrebbe egli, trattatista amoroso, detto al poeta più giovane:

chi ' serve dee saver di sua natura:

io ne domando voi, Guido, di lui:
odo che molto usate in la sua corte.

nelle quali parole non è la minima ironia? (2) E Gianni Alfani pure :

poi fa si ch'entri nella mente a Guido

perch'egli è sol colui che vede amore (3).

Di Lapo Gianni non abbiamo alcun sonetto che porti il suo nome e, sebbene piccole simiglianze sieno a suo favore (), sembra strano ch' egli non

(1) La forma fiorentina o almeno toscana è in tutto il trattato e nella grafia.

(2) Parve a l'Ercole che così fosse: io non la veggo.

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non mi donar di gelosia errore...

con il concetto portato dal Sonetto X di 'd. Infine nella canz.: tate:

Tuo convenente non vo' più difendere...

Amor nuova ed antica vani

il che potrebbe riferirsi al ritorno ostinato ad Amore, desiderato dal poeta del trattato fino a che egli, stanco dei dolori da amore apportati, lo caccia e lo sfida a mazza e scudo. In questa canzone però amore è rappresentato con varie imagini sovrapponentisi, ben contrarie a la maniera poetica del trattatista d'amore.

avesse altri sonetti, se non questa produzione molteplice ed isolata. Ně si può dire che ciò provenne dal fatto ch'egli eccelleva per ballate e canzoni e queste sole vennero riprodotte nei codici, chè così avrebbe dovuto avvenire pur del Cavalcanti, il quale toccò il suo massimo valore nelle ballate per forza di poesia e nella canzone filosofica per potenza dialettica e del quale alcuni codici riportano bensi rime soltanto delle più stimate, ma molti altri anche le meno valorose, fra cui molti sonetti. Esaminiamo quindi, esclusi gli altri, le ragioni che possono essere in favore del Cavalcanti, del quale la tendenza a trattare questioni filosofiche d'amore è provata da varie (1) testimonianze oltre che da la celebre canzone e dai versi citati dell'Orlandi e dell'Alfani.

Nella storia dello stil novo vi è un lento passare da la prima e fredda convenzione d'amore al sentimento potente e soave dei poeti rinnovati. Questo passaggio si forma attraverso una trattazione filosofica e scolastica del sentimento d'amore. I primi poeti avevano detto che cosa l'amore fosse: il Guinicelli aveva detto dove esso si manifestava; Dante e Cino cantano invece il loro amore vigorosamente il Cavalcanti, fra questi, lo trattò più freddamente prima e lo sentì fortemente, egli pure, più tardi, come appare da l'opera sua se si move da la canzone filosofica e si giunge a le ballate degli ultimi anni: in lui è un continuo mutare fra l'espressione filosofica e la espressione del sentimento veramente sentito. Ciò premesso, osserviamo i sonetti.

Nel primo l'Ercole trova un confronto:

I' prego quel nel cui cospetto vene

con il dantesco :

nel cui cospetto vene il dir presente

(Vita Nova, III).

e ne trae la conclusione che si tratti di un imitatore, che abbia rubacchiato qua e là versi ed espressioni di poeti famosi della scuola nuova. E' un argomento che non regge, poi che fra le imitazioni ve ne sarebbero alcune relative a versi dell'Inferno dantesco (2) e ad un sonetto certo non giovanile del Cavalcanti (3); quindi

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Filippo Villani: Cron. VIII, 4-2. singolare filosofo per que' tempi era sommamente erudito nelle arti liberali.

...

Leonardo d'Arezzo: Vita di Dante.

un de' migliori loici che avesse il mondo et ottimo filosofo naturale. Boccaccio: Dec. VII, 9, e Commento a la Commedia, Lez. XI. in ogni genere di speculazione esercitato, acutissimo dialettico, filosofo egregio e non poco esercitato nelle arti liberali. Landino: Comm. a la D. C.

.....

in rhetoricis studiis delectatus, eandem artem ad rythmorum vulgarium compositionem

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l'imitatore sarebbe dei tempi posteriori al principio del 1300, il che sarebbe incompatibile con l'età del codice vaticano. L'argomento anzi si ritorce, non potendosi credere che le imitazioni, che sarebbero quindi a carico di Dante e di Guido, sieno state tratte se non da un poeta che Dante molto apprezzasse come Guido era veramente, unico fra i poeti che lo precedettero.

Sonetto II.

Se unqua fu neun che di servire
acconcio fosse ben lo suo volere
a ciaschedun secondo 'l su' volere,

si son io un di que' che v'à 'I disire;

e ch'amerei innanzi di morire

che di no dir, faciendone spiacere
di cosa, in ch'io potesse mantenere
l'amico a me senza farlo partire.

le quali parole appare tosto dover esser poste a confronto con quelle del Boccaccio su Guido: » ... et a chiedere a lingua sapeva onorare chiunque nell'animo capeva che il valesse (1) ».

Sonetto III.

Perfetto onore, quanto al mi parere,
non puote avere chi non è soffrente.....

che si può raffrontare con la stessa espressione del Cavalcanti (2) :

se la soffrenza lo servente aiuta

può di leggier conoscer nostro stile...

Qui parrebbe primieramente apparire questo sentimento della sofferenza amorosa propria del perfetto onore. Questo sonetto, che è a rime interne, diede occasione a l'Ercole di osservare che mai Guido portava simili metri nei sonetti. Nè pure gli altri del suo tempo ne fecero uso mai; un esempio isolato è in un sonetto del Guinicelli, che ha le rime interne nelle terzine (3); il che riporta quest'uso ai tempi antecedenti un poco ai giorni del fiorire completo della scuola dello stil novo, ai tempi cioè della giovinezza di Guido Cavalcanti. Del resto se

(1) Decamerone: VI, 9.

(2) Sonetto a Dante: « Se vedi amore etc. ».

(3) Vedi: Salvadori, op. cit. pag. 78. È il sonetto: « Si sono angoscioso e pien di doglia » Casini: Poeti bolognesi e romagnoli 1881, pag. 36.

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