La generosa stirpe: anzi coverte Fien di stragi l' Europa e l'altra riva Dell' atlantico mar, fresca nutrice Di pura civiltà, sempre che spinga Contrarie in campo le fraterne schiere Di pepe o di cannella o d' altro aroma Fatal cagione, o di melate canne, O cagion qual si sia ch' ad auro torni. Valor vero e virtù, modestia e fede E di giustizia amor, sempre in qualunque Pubblico stato, alieni in tutto e lungi Da' comuni negozi, ovvero in tutto Sfortunati saranno, afflitti e vinti; Perchè dié lor natura, in ogni tempo Starsene in fondo. Ardir protervo e frode, Con mediocrità, regneran sempre, A galleggiar sortiti. Imperio e forze, Quanto più vogli o cumulate o sparse, Abuserà chiunque avralle, e sotto Qualunque nome. Questa legge in pria Scrisser natura e il fato in adamante; E co' fulmini suoi Volta nè Davy Lei non cancellerà, non Anglia tutta Con le macchine sue, nè con un Gange Di politici scritti il secol novo.
Sempre il buono in tristezza, il vile in festa Sempre e il ribaldo: incontro all' alme eccelse In arme tutti congiurati i mondi
Fieno in perpetuo: al vero onor seguaci Calunnia, odio e livor: cibo de' forti
Il debole, cultor de' ricchi e servo
Il digiuno mendico, in ogni forma Di comun reggimento, o presso o lungi Sien l'eclittica o i poli, eternamente Sarà, se al gener nostro il proprio albergo E la face del di non vengon meno.
Queste lievi reliquie e questi segni Delle passate età, forza è che impressi
Porti quella che sorge età dell' oro: Perchè mille discordi e repugnanti L'umana compagnia principii e parti Ha per natura; e por quegli odii in pace Non valser gl' intelletti e le possanze Degli uomini giammai, dal di che nacque L'inclita schiatta, e non varrà, quantunque Saggio sia ne possente, al secol nostro Palto alcuno o giornal. Ma nelle cose Più gravi, intera, e non veduta innanzi, Fia la mortal felicità. Più molli
Di giorno in giorno diverran le vesti O di lana o di seta. I rozzi panni Lasciando a prova agricoltori e fabbri, Chiuderanno in coton la scabra pelle, E di castoro copriran le schiene. Meglio fatti al bisogno, o più leggiadri Certamente a veder, tappeti e coltri, Seggiole, canapė, sgabelli e mense, Letti, ed ogni altro arnese, adorneranno Di lor menstrua beltà gli appartamenti; E nove forme di paiuoli, e nove Pentole ammirerà l' arsa cucina. Da Parigi a Calais, di quivi a Londra, Da Londra a Liverpool, rapido tanto Sarà, quant' altri immaginar non osa, Il cammino, anzi il volo: e sotto l'ampie Vie del Tamigi fia dischiuso il varco, Opra ardita, immortal, ch'esser dischiuso Dovea, già son molt' anni. Illuminate Meglio ch' or son, benchè sicure al pari, Nottetempo saran le vie men trile Delle città sovrane, e talor forse Di suddita città le vie maggiori. Tali dolcezze e si beata sorte Alla prole vegnente il ciel destina.
Fortunati color che mentre io scrivo
Miagolanti in su le braccia accoglie
La levatrice! a cui veder s' aspetta Quei sospirati di, quando per lunghi Studi fia noto, e imprenderà col latte Dalla cara nutrice ogni fanciullo, Quanto peso di sal, quanto di carni, E quante moggia di farina inghiotta Il patrio borgo in ciascun mese; e quanti In ciascun anno partoriti e morti
Scriva il vecchio prior: quando, per opra Di possente vapore, a milioni
Impresse in un secondo, il piano e il poggio, E credo anco del mar gl' immensi tratti, Come d'aeree gru stuol che repente Alle late campagne il giorno involi, Copriran le gazzette, animo e vita Dell' universo, e di savere a questa Ed alle età venture unica fonte!
Quale un fanciullo, con assidua cura, Di fogliolini e di fuscelli, in forma O di tempio o di torre o di palazzo, Un edificio innalza; e come prima Fornito il mira, ad atterrarlo è volto, Perchè gli stessi a lui fuscelli e fogli Per novo lavorio son di mestieri; Cosi natura ogni opra sua, quantunque D'alto artificio a contemplar, non prima Vede perfetta, ch' a disfarla imprende, Le parti sciolte dispensando altrove. E indarno a preservar se stesso ed altro Dal gioco reo, la cui ragion gli è chiusa Eternamente, il mortal seme accorre Mille virtudi oprando in mille guise Con dotta man: che, d' ogni sforzo in onta, La natura crudel, fanciullo invitto, Il suo capriccio adempie, e senza posa Distruggendo e formando si trastulla. Indi varia, infinita una famiglia Di mali immedicabili e di pene
Preme il fragil mortale, a perir fatto Irreparabilmente: indi una forza Ostil, distruggitrice, e dentro il fere E di fuor da ogni lato, assidua, intenta Dal di che nasce; e l'affatica e stanca, Essa indefatigata; insin ch'ei giace Alfin dall' empia madre oppresso e spento. Queste, o spirto gentil, miserie estreme Dello stato mortal; vecchiezza e morte, Ch' han principio d' allor che il labbro infante Preme il tenero sen che vita instilla; Emendar, mi cred' io, non può la lieta Nonadecima età più che potesse
La decima o la nona, e non potranno Più di questa giammai l'età future. Però, se nominar lice talvolta
Con proprio nome il ver, non altro in somma Fuor che infelice, in qualsivoglia tempo,
E non pur ne' civili ordini e modi, Ma della vita in tutte l'altre parti, Per essenza insanabile, e per legge Universal che terra e cielo abbraccia, Ogni nato sarà. Ma novo e quasi Divin consiglio ritrovȧr gli eccelsi Spirti del secol mio: che, non potendo Felice in terra far persona alcuna, L'uomo obbliando, a ricercar si diero Una comun felicitade; e quella Trovata agevolmente, essi di molti Tristi e miseri tutti, un popol fanno Lieto e felice; e tal portento, ancora Da pamphlets, da riviste e da gazzette Non dichiarato, il civil gregge ammira.
Oh menti, oh senno, oh sovrumano acume Dell' età ch'or si volge! E che sicuro Filosofar, che sapienza, o Gino, In più sublimi ancora e più riposti Subbietti insegna ai secoli futuri
Il mio secolo e tuo! Con che costanza Quel che ieri scherni, prosteso adora Oggi, e domani abbatterà, per girne Raccozzando i rottami, e per riporlo Tra il fumo degl' incensi il di vegnente! Quanto estimar si dee, che fede inspira Del secol che si volge, anzi dell'anno, Il concorde sentir! con quanta cura Convienci a quel dell' anno, al qual difforme Fia quel dell' altro appresso, il sentir nostro Comparando, fuggir che mai d' un punto Non sien diversi! E di che tratto innanzi, Se al moderno si opponga il tempo antico, Filosofando il saper nostro è scorso!
Un già de' tuoi, lodato Gino; un franco Di poetar maestro, anzi di tutte Scienze ed arti e facoltadi umane, E menti che fur mai, sono e saranno, Dottore, emendator, lascia, mi disse, I propri affetti tuoi. Di lor non cura Questa virile età, volta ai severi Economici studi, e intenta il ciglio Nelle pubbliche cose. Il proprio petto Esplorar che ti val? Materia al canto Non cercar dentro te. Canta i bisogni Del secol nostro, e la matura speme. Memorande sentenze! ond' io solenni Le risa alzai quando sonava il nome Della speranza al mio profano orecchio Quasi comica voce, o come un suono Di lingua che dal latte si scompagni. Or torno addietro, ed al passato un corso Contrario imprendo, per non dubbi esempi Chiaro oggimai ch' al secol proprio vuolsi Non contraddir, non repugnar, se lode Cerchi e fama appo lui, ma fedelmente Adulando ubbidir: cosi per breve Ed agiato cammin vassi alle stelle.
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