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DIALOGO

DI MALAMBRUNO E DI FARFARELLO.

Malambruno. Spiriti d'abisso, Farfarello, Ciriatto, Baconero, Astarotte, Alichino, e comunque siete chiamati; io vi scongiuro nel nome di Belzebù, e vi comando per la virtù dell'arte mia, che può sgangherare la luna, e inchiodare il sole a mezzo il cielo: venga uno di voi con libero comando del vostro principe e piena potestà di usare tutte le forze dell'inferno in mio servigio.

Farfarello. Eccomi.

Malambruno. Chi sei?

Farfarello. Farfarello, a' tuoi comandi.

Malambruno. Rechi il mandato di Belzebù?

Farfarello. Si recolo; e posso fare in tuo servigio tutto quello che potrebbe il Re proprio, e più che non potrebbero tutte l'altre creature insieme.

Malambruno. Sta bene. Tu m' hai da contentare d'un desiderio.

Farfarello. Sarai servito. Che vuoi? nobiltà maggiore di quella degli Atridi?

Malambruno. No.

Farfarello. Più ricchezze di quelle che si troveranno nella città di Manoa (8) quando sarà scoperta?

Malambruno. No.

Farfarello. Un impero grande come quello che dicono che Carlo quinto si sognasse una notte?

Malumbruno. No.

Farfarello. Recare alle tue voglie una donna più salvatica di Penelope?

Malambruno. No. Ti par egli che a cotesto ci bisognasse il diavolo?

sei?

Farfarello. Onori e buona fortuná così ribaldo come

Malambruno. Piuttosto mi bisognerebbe il diavolo se volessi il contrario.

Farfarello. In fine, che mi comandi?

Malambruno. Fammi felice per un momento di

tempo.

Farfarello. Non posso.

Malambruno. Come non puoi?

Farfarello. Ti giuro in coscienza che non posso. Malambruno. In coscienza di demonio da bene. Farfarello. Si certo. Fa conto che vi sia de' diavoli da bene come v'è degli uomini.

Malambruno. Ma tu fa conto che io t'appicco qui par la coda a una di queste travi, se tu non mi ubbidisci subito senza più parole.

Farfarello. Tu mi puoi meglio ammazzare, che non io contentarti di quello che tu domandi.

Malambruno. Dunque ritorna tu col mal anno, е venga Belzebù in persona.

Farfarello. Se anco viene Belzebù con tutta la Giudecca e tutte le Bolge, non potrà farti felice nè te nè altri della tua specie, più che abbia potuto io.

Malambruno. Nè anche per un momento solo?

Farfarello. Tanto è possibile per un momento, anzi per la metà di un momento, e per la millesima parte; quanto per tutta la vita.

Malambruno. Ma non potendo farmi felice in nessuna maniera, ti basta l'animo almeno di liberarmi dall' infelicità?

Farfarello. Se tu puoi fare di non amarti suprema

mente.

Malambruno. Cotesto lo potrò dopo morto.

Farfarello. Ma in vita non lo può nessun animale: perchè la vostra natura vi comporterebbe prima qualunque altra cosa, che questa.

Malambruno. Così è.

Farfarello. Dunque, amandoti necessariamente del maggiore amore che tu sei capace, necessariamente desideri il più che puoi la felicità propria; e non potendo mai di gran lunga essere soddisfatto di questo tuo desiderio, che è sommo, resta che tu non possi fuggire per nessun verso di non essere infe

lice.

Malambruno. Nè anco nei tempi che io proverò qualche diletto; perchè nessun diletto mi farà nè felice nè pago.

Farfarello. Nessuno veramente.

Malambruno. E però, non uguagliando il desiderio naturale della felicità che mi sta fisso nell'animo, non sarà vero diletto; e in quel tempo medesimo che esso è per durare, io non lascerò di essere infelice.

Farfarello. Non lascerai: perchè negli uomini e negli altri viventi la privazione della felicità, quantunque senza dolore e senza sciagura alcuna, e anche nel tempo di quelli che voi chiamate piaceri, importa infelicità espressa.

Malambruno. Tanto che dalla nascita insino alla morte, l'infelicità nostra non può cessare per ispazio, non che altro, di un solo istante.

Farfarello. Si: cessa, sempre che dormite senza so

gnare, o che vi coglie uno sfinimento o altro che v'interrompa l'uso dei sensi.

Malambruno. Ma non mai però mentre sentiamo la nostra propria vita.

Farfarello. Non mai.

Malambruno. Di modo che, assolutamente parlando, il non vivere è sempre meglio del vivere.

Farfarello. Se la privazione dell'infelicità è semplicemente meglio dell'infelicità.

Malambruno. Dunque?

Farfarello. Dunque se ti pare di darmi l'anima prima del tempo, io sono qui pronto per portarmela.

DIALOGO

DELLA NATURA E DI UN' ANIMA.

Natura. Va, figliuola mia prediletta, che tale sarai tenuta e chiamata per lungo ordine di secoli. Vivi, e sii grande e infelice.

Anima. Che male ho io commesso prima di vivere, che tu mi condanni a cotesta pena?

Natura. Che pena, figliuola mia?

Anima. Non mi prescrivi tu di essere infelice? Natura. Ma in quanto che io voglio che tu sii grande, e non si può questo senza quello. Oltre che tu sei destinata a vivificare un corpo umano; e tutti gli uomini per necessità nascono e vivono infelici.

Anima. Ma in contrario saria di ragione che tu provvedessi in modo, che eglino fossero felici per necessità; o non potendo far questo, ti si converrebbe astenere da porli al mondo.

Natura. Nè l'una nè l'altra cosa è in potestà mia, che sono sottoposta al fato; il quale ordina altrimenti, qualunque se ne sia la cagione; che nè tu nè io non la possiamo intendere. Ora, come tu sei stata creata e disposta a informare una persona umana, già qualsivoglia forza, nè mia nè d'altri, non è potente a scamparti dall'infelicità comune degli uomini. Ma oltre di questa, te ne bisognerà sostenere una propria, e maggiore assai, per l'eccellenza della quale io t'ho fornita.

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