L'uom della villa, ignaro
D'ogni virtù che da saper deriva, Fin la donzella timidetta e schiva, Che già di morte al nome Senti rizzar le chiome,
Osa alla tomba, alle funeree bende Fermar lo sguardo di costanza pieno, Osa ferro e veleno
Meditar lungamente, E nell' indotta mente
La gentilezza del morir comprende. Tanto alla morte inclina
D'amor la disciplina. Anco sovente, A tal venuto il gran travaglio interno Che sostener nol può forza mortale, O cede il corpo frale
Ai terribili moti, e in questa forma Pel fraterno poter Morte prevale; O cosi sprona Amor là nel profondo, Che da se stessi il villanello ignaro, La tenera donzella
Con la man violenta
Pongon le membra giovanili in terra. Ride ai lor casi il mondo,
A cui pace e vecchiezza il ciel consenta.
Ai fervidi, ai felici,
Agli animosi ingegni
L'uno o l'altro di voi conceda il fato, Dolci signori, amici
All' umana famiglia,
Al cui poter nessun poter somiglia Nell'immenso universo, e non l'avanza, Se non quella del fato, altra possanza. E tu, cui già dal cominciar degli anni Sempre onorata invoco,
Bella Morte, pietosa
Tu sola al mondo dei terreni affanni, Se celebrata mai
Fosti da me, s' al tuo divino stato L'onte del volgo ingrato Ricompensar tentai,
Non tardar più, l'inchina A disusati preghi,
Chiudi alla luce omai
Questi occhi tristi, o dell' età reina. Me certo troverai, qual si sia l' ora Che tu le penne al mio pregar dispieghi, Erta la fronte, armato,
E renitente al fato,
La man che flagellando si colora
Nel mio sangue innocente
Non ricolmar di lode,
Non benedir, com' usa
Per antica viltà l' umana gente;
Ogni vana speranza onde consola
Se coi fanciulli il mondo,
Ogni conforto stolto
Gittar da me; null' altro in alcun tempo
Sperar, se non te sola;
Solo aspettar sereno
Quel di, ch' io pieghi addormentato il volto
Nel tuo virgineo seno.
Or poserai per sempre,
Stanco mio cor. Peri l'inganno estremo, Ch' eterno io mi credei. Peri. Ben sento, In noi di cari inganni,
Non che la speme, il desiderio è spento. Posa per sempre. Assai
Palpitasti. Non val cosa nessuna
I moli tuoi, nè di sospiri è degna
La terra. Amaro e noia
La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T'acqueta omai. Dispera
L'ultima volta. Al gener nostro il fato
Non donò che il morire. Omai disprezza
Te, la natura, il brutto
Poter che, ascoso, a comun danno impera, E l'infinita vanità del tutto.
Torna dinanzi al mio pensier talora Il tuo sembiante, Aspasia. O fuggitivo Per abitati lochi a me lampeggia In altri volti; o per deserti campi, Al di sereno, alle tacenti stelle, Da soave armonia quasi ridesta, Nell' alma a sgomentarsi ancor vicina Quella superba vision risorge.
Quanto adorata, o numi, e quale un giorno Mia delizia ed erinni! E mai non sento Mover profumo di fiorita piaggia,
Nè di fiori olezzar vie cittadine,
Ch'io non ti vegga ancor qual eri il giorno Che ne' vezzosi appartamenti accolta, Tutti odorati de' novelli fiori
Di primavera, del color vestita
Della bruna viola, a me si offerse
L'angelica tua forma, inchino il fianco Sovra nitide pelli, e circonfusa D'arcana voluttà; quando tu, dotta Allettatrice, fervidi sonanti
Baci scoccavi nelle curve labbra De' tuoi bambini, il niveo collo intanto Porgendo, e lor di tue cagioni ignari Con la man leggiadrissima stringevi Al seno ascoso e desiato. Apparve Novo ciel, nova terra, e quasi un raggio Divino al pensier mio. Cosi nel fianco
Non punto inerme a viva forza impresse Il tuo braccio lo stral, che poscia fitto Ululando portai finch' a quel giorno Si fu due volte ricondotto il sole.
Raggio divino al mio pensiero apparve, Donna, la tua beltà. Simile effetto Fan la bellezza e i musicali accordi, Ch'alto mistero d'ignorati Elisi Paion sovente rivelar. Vagheggia Il piagato mortal quindi la figlia Della sua mente, l'amorosa idea, Che gran parte d'Olimpo in se racchiude, Tutta al volto ai costumi alla favella Pari alla donna che il rapito amante Vagheggiare ed amar confuso estima. Or questa egli non già, ma quella, ancora Nei corporali amplessi, inchina ed ama. Alfin l'errore e gli scambiati oggetti Conoscendo, s' adira; e spesso incolpa La donna a torto. A quella eccelsa imago Sorge di rado il femminile ingegno; E ciò che inspira ai generosi amanti La sua stessa beltà, donna non pensa, Nè comprender potria. Non cape in quelle Anguste fronti ugual concetto. E male Al vivo sfolgorar di quegli sguardi Spera l'uomo ingannato, e mal richiede Sensi profondi, sconosciuti, e molto Più che virili, in chi dell' uomo al tutto Da natura è minor. Che se più molli E più tenui le membra, essa la mente Men capace e men forte anco riceve.
Nè tu finor giammai quel che tu stessa Inspirasti alcun tempo al mio pensiero, Polesti, Aspasia, immaginar. Non sai Che smisurato amor, che affanni intensi, Che indicibili moti e che deliri Movesti in me; nè verrà tempo alcuno
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