Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Nella tempesta che m'incalza e preme Unico porto.

Peccai; convien che lavi il fallo mio In abbondevol pianto,

Ma in mezzo del dolor s'innalzi a Dio
Festoso il canto.

D'ogni profano inutile contento
Che il cieco mondo apprezza,
La lacrima del vero pentimento
Ha più dolcezza!

Nel nome tuo, Signor, feci a me guerra!..
E tu si grande sei,

Che quanto avea di ben per me la terra
Io ti cedei!...

È più dolce del sospiro
Che una madre esalerȧ,
Nell'istante benedetto
Che il suo nato bacerà,
Quell'affetto che si spande
Dall'essenza più gentil,
Dello spirito che anela
Farsi agli angeli simil. -

Ah! di lui ripieno, o cara,
Il mio cor per te sarà!
Prendi un bacio; - egli suggella
Santo patto d'amistȧ.

ISABELLA ROSSI,

DA FIRENZE.

-

LA NANNA.

NEL seno maternc
Riposa cor mio!
Ti salvi di Dio
La somma pietà!

La Vergin ti guardi
Membrandosi il figlio,
E piova dal ciglio
Benigno fulgor! -
Ti cuoprin con l'ali
Gli spirti celesti,
Di cui tu rivesti
L'imago quaggiù!

Nel grembo materno, Bell' angel, riposa, Qual boccio di rosa Cui l'aura cullò!...

Oh dormi, leggiadro Bambino diletto! Vicina al tuo letto Vegliando starò.

Poi, quando ti desti, Baciarti prometto, E porgerti il petto Ricolmo d'umor.

L'AMICIZIA.

È più puro della brina Che lucente irrora i fior, Più soave del sorriso

Che fa bello un primo amor;

A GUALTIERO.

Dolce com' arpa angelica
Suona d'amor parola, -
Tu la dicesti, e rapida

Di sfera in sfera vola,

Mista agli eterni cantici

Dell' Increato Amor.

« Ama!» è l'accento mistico Che l'universo unisce, Ove ogni santo palpito Principia e in un finisce. « Ama! è la voce altissima Che suona in ogni cor.

Quando la terra allegrasi,
Quando sfavilla il sole,
O la rugiada tepida
Bagna de' fior l'ajuole,

« Ama!» sussurra l'aura
Con placido alitar. —

« Ama! » un arcano brivido
Dice, se in ciel stellato
Splende la luna, e tremulo
Qual guardo innamorato,
Vibra il suo raggio candido
Nel sottoposto mar. -

Ama, Gualtiero! infondesi
Novella vita al cuore
Quando risponde all'anima
Santa armonia d'amore...
Vieni, rinnuova i fervidi
Giuri d'eterna fè. -

Io gli ricambio; - emanino
Dall'alme nostre uniti, —
Più degl' incensi arabici
Saranno a Dio graditi,
Poichè suggellan l'ordine
Che alla natura Ei diè.

CINZICA DE SISMONDI.

CANTICA.

....Tutti fuggivano; in tanta trepidazione sola una donna della famiglia Sismondi chiamata Cinzica, invece di seguire i fuggiaschi, passò sola fra i musulmani, destò i consoli nel loro palazzo, fece suonare la campana d'allarme....

(SISMONDI, Rep. it., cap. v.)

I.

Una brezza leggera increspa l'onda Del limpid' Arno, ed i Pisani ostelli Chiudon gente tranquilla.-Alta è la notte: Non risplende la luna, ed il riposo Dell'intiera natura invita al sonno Fino il superbo che l'altera mente Pasce nei sogni della gloria, e il mesto Che perde le speranze, e l'amoroso Che palpita ad un nome, ed il ribaldo Che cova nel pensier sangue e rapina. Ecco di remi un agitar lontano!... Sirompeil fiotto.-Un murmure sommesso, Indistinto s' appressa, e le galere Carche d'armati rimontando il fiume Portan gli audaci Mori a Pisa in seno. Musa ritto alla prua stringe l'acciaro Con altero cipiglio, e d'un sorriso Che la strage promette incuora i suoi. Lunge è la forte gioventù Pisana Ita a salvar dagli infedeli artigli L'avvilita Calabria, a cui la tema Toglie il valor per liberar se stessa.De' miseri abbattuti il pianto invano Non udirono i prodi, ed alle spose, Alle case paterne un santo addio Dier, volgendo le antenne al lido estremo, Ove d'Italia il suol diletto ha fine. Cosi, deserta dei suoi figli, stava Quasi inerme al periglio ed all' offesa, La città valorosa, e Musa astuto Librò le proprie forze e l'altrui sceme :Piomba inatteso, ed un tremendo grido Di minaccia e di morte alza la turba Degli Arabi seguaci. - Il fuoco avvolge Già con torbide spire i primi tetti Che si specchian nell'Arno, e sopra il ponSi lanciano i feroci. - Allor si sente Un ululo, un compianto, un lamentio Di persone fuggenti: il fero evento Si dipinge più tetro entro la mente Degli atterriti cittadin: si crede

[te

Un flagello di Dio : non si domanda
Chi reca
il lutto e la ruina; in fronte
Porta ognun lo spavento. « È di sotterra
La falange dei demoni venuta. »
Urla un vecchio tremante, e si ripete
Il folle detto fra gl' imbelli, a cui
Sprona il piede il timor, manca l'ardire.-
Non invocan soccorso, e niuno il senno
Implora de' più saggi, e niun rammenta
Il valor de' più forti, e sol lo scampo
Ripongon nella fuga... Ecco fra tanti
Ciechi spirti smarriti, ecco una donna,
Cinzica de' Sismondi, appar sublime
Quasi celeste vision!-lampeggia
L'ispirato suo sguardo: accesa il volto
Di vivido color mostra qual arda
Alma virile in delicato petto.
Impavida si avanza: oppon la destra
Agli urti di chi fugge, e di chi preme :
Rompe la calca, e la leggiadra testa
Non piega in faccia agli assalenti. Un forte
Assoluto voler par che la spinga,

Par che miri una mèta, e non vacilla
Nel desio di toccarla. Il labbro ha chiuso,
Ma sembra che favelli. - Al sen raccoglie
Con moto di pudor la sciolta veste
Che indossò nel tumulto, e franco il piede
Pon su lubrica via molle di sangue.
Secura di se stessa impone un misto
Di rispetto e stupore, e va fra i mille
Quasi regina che comanda e passa.
Parte della città non ode ancora
Il romor della zuffa. - Ancora i Mori
Non varcarono il ponte, e nel palagio
Dormon securi i consoli. - Lo scampo
Della patria e de' suoi vede la donna
Starsi fra quelle mura, e là si è volta.
II.

a Cittadini, lasciate le piume,
« Accorrete: la patria vi appella!
« Sulla riva sinistra del fiume

« Stan la morte, l'incendio, il terror.-
a Maledetto chi sorge più tardo,

« Chi non vola e non rompe l'indugio,
« Chi da vile cercando un rifugio
«Non affronta il comune destin!

« Che diranno i fratelli lontani

• Quando sappian che Pisa è caduta

[merged small][merged small][ocr errors][merged small]

• Opponete co' petti un confin!
« Una donna vi desta, v'incita,
E mill' altre v' imploran col pianto!...
« Se tardate, la schiatta abborrita
a Nel servaggio l'afflitte trarrà. »
Cosi parla la forte Sismondi,-
Una voce, poi dieci, poi cento,
Fan risposta al magnanimo accento,
Pisa, Pisa! salvarti, o morir! »
Come romba di scosso terreno,
Come roco muggir d' oragano,
Come tuono che segue il baleno
Scoppia l'ira d'un santo furor.-
Son discesi dagli alti palagi,
Sono usciti dai bassi abituri,
E di brandi, di lance e di scuri
Splende il taglio già pronto a ferir.

Lento tocco di mesta campana,
Ripetuto dall'eco dei colli,
Chiama i figli che in parte lontana
Non udrebber dell' armi il fragor. -
Niuno è sordo all'appello de' duci,
E nell'ora di tanto periglio
Solo un voto, ed un solo consiglio
Spinge tutti allo stesso sentier.-

Per la patria che il braccio gli chiede,
Benchè nuovo allo scontro dell'armi,
Or guerriero ciascuno si crede,
E maggior di se stesso si fa. -
Ah! di patria col nome possente
Trasmutati si sono in eroi!...
Fuggi, Musa, t'invola co' tuoi! -
Senti l'urlo di morte forier!...

III.

Son rotte le schiere, battuti i nemici. Venite, Pisani, le spade vittrici Posate in omaggio di Cinzica al piè! [de,

Fu tromba di guerra ch' esalta ed accenFu scudo, fu torre che copre e difende, La donna che a scampo l' Eterno ci die.

Giuditta novella, sfidando la morte Ci tolse all'obbrobrio d'infami ritorte, Sottrasse all'eccidio la cara città.

Votiva una pietra l'Eccelsa rammenti Che in petto a futuri, se fiacchi, se spenti, Riaccenda quel fuoco che pari non ha! IV.

Donne, cantiam di Cinzica
Che nel notturno orrore
Surse qual stella fulgida
Guida a smarrite prore,

E con sua luce vivida

Le nubi in ciel fugò!

Non come rosa, o mammola, Ma come querce annosa Stette di fronte al turbine, Ne si mostrò pensosa, Quando per torci ai barbari Vita ed onor rischio.

Madri! donzelle! un palpito
D'alto sentir vi scuota!
Sol per l'amore, e timide
Nate non siete... e vuota
Fia la missione altissima
Se vi avvilite il cuor.-

Come un profumo emanasi
Dai fior che i sensi avviva,
Tal nella donna un mistico
Poter s'asconde ; e viva
Prova onorata è Cinzica,
Del femminil valor!

A. SCACERNI PROSPERI,

DA FERRARA.

ELEGIA

NELL' INAUGURAZione del busto DEL MARCHESE GUIDO VILLA GIA PRESIDENTE DELL'OSPITALE DE SANTI GIACOMO ED ANNA IN FERRARA.

QUANDO disciolta dal terreno ammanto Libera ergesti il volo al tuo Fattore, Anima bella, e noi lasciasti in pianto;

E in te, cinta di lutto e di squallore, Piangea la patria inconsolabilmente De' suoi figli il più caro ed il migliore :

Tanta doglia mi punse e si cocente Che cor non ebbi allo spettacol tetro Di tua funebre pompa esser presente. Ne te vid' io sul lugubre ferétro Trarre alla tomba, nè suonarti intorno Di morte intesi il lamentevol metro (: Sola col mio dolor quel tristo giorno Co' caldi voti e co' sespir frequenti Io ti seguia nell'immortal soggiorno. Quando a onorarti poi concordi e intenI patrj cigni sulla cetra eburna [ti (2)

(1) La pompa funebre era preceduta dalla

banda militare,

(2) Poco dopo la morte di questo illustre saggetto si adunarono gli accademici Ariostei: il dolore per la recente sua perdita e le lodi di lui formarono l'argomento della maggior parte de loro componimenti.

Mesti temprano cantici e concenti,

La mia a trattar negletta e taciturna M'accinsi io pure, e sparger volli anch'io De' fior di Pindo la tua gelid' urna;

Ma fioco il canto usci dal labbro mio, E l'inutile plettro invan tentai, Chè in me il dolor potea più che il desio :

Quello prevalse allor, questo frenai; E l'ardua troppo al debole mio ingegno, La temeraria impresa abbandonai;

Che troppo lungi da tant'alto segno Vidi dover restar mie basse rime, E temei che tu pur le avessi a sdegno: Tu, a cui, sedente sull'eterne cime, Laude non dee salir minor del vero Ed ineguali al tuo merto sublime.

Vorre' il silenzio mio serbare austero; Ma quel desio che in me s' accese allora, Or più che allora infiamma il mio pensiero.

Ma più del labbro e il cor ch'oggi te onoChè viva il cor la rimembranza serba [ra, Di tue virtudi, e serberalla ognora.

Come la falce in prato i fiori e l'erba, Cosi abbatte il superbo, e in cieca fossa Morte il rovescia più di lui superba;

Ma scende invan la sua fatal percossa Sull' uom giusto ed umíle; ei regna, ei vive, Benchè soggiacer sembri alla sua possa.

Sempre risonerà su queste rive, Guido, il tuo nome, e già la patria storia I tuoi fasti alla tarda età descrive.

Ve' fra il plauso comun, cinta di gloria Tua effigie sculta in quel marmoreo busto Ergersi ad eternar la tua memoria;

E s'erge nell'albergo ampio e vetusto, Che in sen gli egri e mendici accoglie e cuE per te andrà di nuova luce onusto. [ra, Colme de' doni tuoi senza misura, Ah! è ben dover che questo sia concesso, Amato pegno a quelle sacre mura.

T'era gradito il lor recinto, e spesso Di tua bontà spargendo i varj effetti, Quivi ti stavi a quegli afflitti appresso; E aggirandoti intorno ai duri letti Conforto d'incredibile dolcezza Lor porgevi or coll' opre ed or co' detti. Si specchi in te chi gl'infelici sprezza Sol perchè più benigna ebbe fortuna, E il fasto lo circonda e l'alterezza.

Tu pur grande nascesti e in nobil cuna; Ma de' miseri a te la schiera umile Spregevole non parve, nè importuna :

E mai nessun di loro avesti a vile, Chè a tutti aprivi quel tuo cor pietoso,

Non so se più benefico o gentile.

La desolata vedova, lo sposo, In te gli orfani figli il padre amante Trovaro, e al lungo lagrimar riposo.

Oh quante volte penetrasti e quante, Guidato da pietà, squallido tetto Quasi angel sceso dalle spere sante!

E a chi nato fra gli agi, e poi negletto Dalla volubil sorte, assai più rea Ch'era a tacerla da vergogna astretto, Ampio e occulto soccorso ognor porgea La generosa tua provida mano! E' la baciava, e di piacer piangea. Umiltà si bell' opre ascose invano; Le fer palesi mille lingue e mille Da questo patrio suolo al più lontano.

Quest'altro è ben che arder cittadie ville E côrre armato in campo infausti allori Di pianto aspersi e di sanguigne stille:

Te non fêr chiaro si fatali onori,
Spirto gentil, chè sol t'era dovuto
Quello maggior di conquistare i cori.

Tu sparger vedi sul tuo cener muto
Lagrime vere e non mentite lodi,
Del comune dolor mesto tributo.

E mentre sciolto da' terrestri nodi,
Di tue bell' opre il meritato frutto
In seno a Dio lieto raccogli e godi,

Ve' per te rinnovarsi il nostro lutto, E tua effigie onorando, il primo affanno Sopito appena ridestarsi tutto;

Ma sebben ci rammenti il nostro danno, Cara e sacra ella sia sempre fra noi, Ei padri ai figli ognor l'additeranno Le tue virtù narrando e i pregi tuoi.

ROSA TADDEI,

DA NAPOLI.

ALLA CONTESSA FARINI,

DOLENTE PER LA MORTE DEL PADRE.

VERSI tu vuoi pel padre Che ti rapi la morte Da me, che un egual sorte Fa degna di pietà. Non ha parole un core Straziato dai martiri, Ed altro che sospiri E lagrime non ha.

Per noi non ha natura Più immagini giulive;

Che per metà sol vive Chi perde il genitor.

Ma almen tu baciar puoi
La terra ov'è sepolto;
E a me, infelice! è tolto
Questo conforto ancor.

Io che i miei giorni erranti
Trar deggio ognor nel duolo,
Più non vedrò quel suolo
Ch'ultimo asil gli die.
Ne poserò morendo
In tomba a lui daccanto,
Più degna assai di pianto,
Più misera di te.

A NOVELLO PARROCCO.

EPISTOLA.

Dalle sponde del Mela, ov'io m' assido, A te per sangue ed amistà congiunto (1), Spesso torna il pensiero, e al patrio nido.

E nel mirar la cima a che sei giunto Inno di laude intono al Re del cielo, Chet' ha benigno alla grand' opra assunto.

Oh te beato! in misterioso velo
Nel vigneto d'Engaddi il pie' riponi,
Ove ecceder non può caldo nè gelo.

E là ricolmo degli eletti doni,
Che non han pregio che adeguar li possa,
A Dio t'innalzi, e col tuo Dio ragioni.

Con quel Dio che vesti di carne e d'ossa L'increato suo spirto, e amante volle Solima far del proprio sangue rossa, [le, Con quel Dio che i redenti a gloria estolE sugli altari vi fa dir con Lui: Ecco l'agnel che le peccata tolle.' Parmi udirlo con te parlar di nui, E confortarti a quella cura istessa Che fu la meta degli affetti sui.

Oh in qual atto d'amore ei ti s' appressa! Oh di qual viva luce ti riveste! Oh qual parte di grazia è a te concessa! Per man ti prende, ed in sentiero agreste T'addita pascolanti pecorelle Sparse per le colline e le foreste.

Di fango maculata avean la pelle; Ma guidandole al fonte cristallino Tornar le fe' qual pria candide e belle.

Per indrizzarle tutte ad un cammino Uopo ei non ha d'adoperar vincastro; Basta la voce del labbro divino.

(1) L'epistola è scritta a nome di un congiunto del buon sacerdote.

Ma vespertino appare il lucid' astro Che richiama all'ovil lo sparso armento, E fa noto al pastore il suo disastro.

Ahi le contò sull' alba, ed eran cento; Una fra quella greggia, una ne manca, Nè al suo presepe può tornar contento. Si guarda addietro, innanzi, a destra,

a manca,

Col noto suono a ritornar la esorta;
Ma invan la voce, invan le ciglia stanca.
Dolente al pecoril la greggia scorta,
E chiusa appena n' ha la sbarra, ei riede
Ove lo zel di carità lo porta.

Di qua, di là volge e rivolge il piede,
La richiama più volte, e via si caccia
Su per balze e dirupi, infin che vede

Sparsi fiocchi di lana, orrida traccia Che fra i dumi lasciò quella smarrita, Cui corre incontro con aperte braccia. Teme la pecorella sbigottita, Meritato castigo al proprio errore, Sotto i colpi di lui lasciar la vita;

Ma quel pastor tutto dolcezza e amore Pietosamente la raccoglie in seno, E d'ogni tema le conforta il core:

Chè se accorto a vederla era egli meno, Dalle sue tane il lupo ingordo uscia, E di lei facea pasto al ventre osceno

Così tu pur dovrai veloce e pia Stender la mano alle accecate genti Che avran perduta di virtù la via,

E col suon di soavi e miti accenti Umile e fido imitator di Cristo Pungere i cori, e illuminar le menti.

Non atterrir colla minaccia il tristo, Non disperarlo di perdon, se vuoi Far di quell' alma il prezioso acquisto.

Segui l'esempio di chi offri per noi Al lupo, invece dell'agnella, il petto Onde ridurla negli ovili suoi :

Sarai d'onor, di riverenza obbietto All'uom che t'oda e volga in te le ciglia; Del popolo l'amor, di Dio lo eletto, Presidio e gioja della tua famiglia.

[merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small]
« ÖncekiDevam »