Veglian sopra la scossa muraglia Al chiaror delle fioche lucerne, Della luna par sangue la faccia ; Chi è costei che solleva cruenta, Boccheggiante, sul pugno una testa? Ogni turba a lei vola, s'arresta, Tace, agghiaccia alla vista fatal : È caduto che più vi sgomenta? Nel cimento qual ferro preval? : Chi è costei? del deriso Istraello Lode al Nume che veglia, che regge Tutti un segno ne strinse, una legge, Arse tutti l'istessa virtù. Cinque forti al novel condottiero, Minacciando, giuraron battaglia; Ei non teme, discende, si scaglia, De' fuggenti perseguita il vol : Parla al sole l'eletto guerriero E la luce prolunga del sol! Fulminato il crudel Madianita, Che non osan le lance di Giuda? È trionfo la guerra più cruda; Smisurato l'orribil gigante Ogni ardire sgomenta, ogni possa ; Ma già scaglia l'ardita percossa, Già lo coglie l'ignoto pastor : Son più diri nel diro sembiante Gli atti estremi, l'estremo furor.Di Betulia chi regge la figlia Sola, intatta nel campo deliro? Tronco immane l' indomito Assiro Senza moto, senz' ira restò. De' nemici la fronte, le ciglia Già l'eterna vendetta segnò. Allungata una mano di foco, Nel profano vegliar delle notti, Ecco annunzia a' potenti corrotti La ruina ch' estrema sarà : Ne' covili d'inospito loco Altri bruto co' bruti vivrà. Ma pietoso, ma provido a' figli Circoncisi, d'Abramo alla terra, Ogni rischio trionfa, ogni guerra, Della pace prolungane i di : Nella gioia, gran Dio, ne' perigli Il tuo popol t'adori così. ALLE DONNE SICILIANE. Le tue belle corone, o patria mia! Vivon di quanti meditar nascosi Vivono ancor gli altissimi portenti Fra palme, e spade, e riversati busti. In noi l'ardire de' Sicani eroi, Se l'infingarda etade I petti nostri al paragon non chiama Dell'ira e delle spade, Oh ne' caldi pensier, nell' opre oneste Si riconforti l'alma! Assai più giova di tenzoni e d'armi La bell'arte de' carmi, Che il sorriso di pace e gli ozj brama, D'ogni affetto maestra e d'ogni legge. Cure invilito e ne' piacer bugiardi, Come il rossor, se pur l' infiamma, è tardi. Oh quel vanto perchè più non s'agogna Perchè l'umili cure e l'ozio indegno Se qui di senno e di virtù colonna, Al divino Alighier l'arpa divina? Deh, mel credete, ch'io favello il vero : Sorgete, o care, e della patria stanza Sulle gote vermiglie e sul bel crine E tutti spegne dell' etade il gelo Sin che si scavi all'ultima percossa Deh men crudeli di quaggiù le spine Il bell' oprar ne renda, Ben nate cittadine, E del loco natio l'amor v'accenda! Più sicure dovizie agl' intelletti Non piovono dal cielo, Ne soave lusinga o dolce incanto È qui verace, ove sol dura il pianto. Sicilia in noi riscossa Rintegrerà l'indomito ardimento, E le rapia l'alme più calde, i primi Senz' ira, senza onor, senza cimento Derelitto, sgomento, Per le case dolenti e per la via. Quanti del sogno che più ride al mondo Quando s'aflanna irrequieto il core, O sfortunati nostri, Su voi, pietoso qual fratel più sente, Guati la croce e le glebe e le pietre E di pari virtù, di pari affetto Pel suol che vi nutria si dolcemente, Drizzando a voi la mente, Quanti amati lasciaste alle sventure, Suonin sugli empj, e alle natie contrade A. VERONESE MANTOVANI, DA TREVISO. LA RIMEMBRANZA DEL GIURAMENTO. PRATICEL di fiori adorno, Sai perchè ritorno a te? Qui il mio ben giurommi un giorno Puro amor, eterna fe. Gli occhi azzurri in me fissande Dolcemente sospirò, E poi disse: il ciel sa quando, Quest' erbette e questi fiori Di ripetervi godro; Ah! ma senza il caro amante IN MORTE DI MARIETTA BIZZARRO TARMA. Chi è colei che assisa in grembo Di quel nembo Fa di sè leggiadra mostra, Lei che il cielo indora e innostra ? Sciolte son le chiome bionde, E di nebbia azzurra intesta Vaga vesta Or la scopre, or la nasconde. Sovra un trono inargentato, Move il zefiro sul prato. Chi è colei che dolce siede Sulla sede Di quel nembo che l'accoglie, E in rugiada si discioglie ? D'ogni grazia eletta fonte; Lasciò fosco il piano e il monte. Ah! che ognor senza riposo Il suo sposo Sparge lacrime e lamenti; E amorosa Odi lui che ancor t'adora, Ah! discendi, lo consola, Poi rivola Al soggiorno dell' aurora. I DUE CONTADINELLI. È Giacinto un fanciulletto Bel di core, bel d'aspetto; Ha l'età di quindici anni, Sembra amore senza vanni; Mai non dice una bugia, L'ingannar non sa che sia, La figura ha di Narciso, L'innocenza nel sorriso. Vivo, bruno, ricciutello; Che gentil contadinello! É Nanetta una fanciulla, Biondo ha il crine, azzurri i lumi Fresca, bella, ricciutella; Or zampogne, or ghirlandelle : Il lor voto, il lor desio Deh! rispetti Amor pietoso Quell'etade e quel riposo! Vegga il mondo in coppia tale L'innocenza pastorale. LE DUE GOBBE. NOVELLETTA. In un borgo qui vicino Questi un giorno avea bevuto Che s'alzava in mezzo a un prato ; Ma facendosi coraggio, Ed ai diavoli un inchino, 11 pregaro di suonare, Preser dunque certa sega, La tua gobba, Gobbo, ov'è? Ma incontrando un suo compare, Si fermò seco a parlare Del gran noce, della strega, Gobbo anch'egli era egualmente, Era il ballo incominciato. Stava ognuno per partire, Z. DA LIVORNO. MEDITAZIONI POETICHE DEL SIGNOR LAMARTINE. L'ISOLAMENTO. I. Al tramontar del di sulla montagna Talor m'assido ove la quercia ombreggia ; Mobil quadro al un piè sta la campagna, Sovr' essa a caso il guardo mio passeggia. II. Qui il fiume dalle pure onde freinenti Serpeggia e in un lontan bujo declina, Stende il lago colà l'acque dormenti Dove s'alza la stella matuttina. III. Sopra la vetta del selvoso monte Il crepuscolo i raggi ultimi aduna, Fa i lembi biancheggiar dell' orizzonte Salendo in ciel la vaporosa luna. IV. Dalla gotica torre, ecco, slanciato Devoto suon, sembra che l'aere inonde; Sacri accordi del giorno or tramontato Al movente fragor quel suon confonde! V. O dolci quadri! muta a voi dinante Riman quest' alma d'ogni incanto priva; Guardo la terra come un' ombra errante; Dei vivi il sol gli estinti, ahi! non ravviva. VI. Di collina in collina il guardo aggiro, Dove il sol nasce e dove in mar si getta, Tutto quant'è lo immenso spazio miro... Ma.... la felicità dove m'aspetta ?... VII. Città, palazzi, rustiche dimore, Vani oggetti, allettar me non potete; Fiumi, rupi, selvaggio, amico orrore, Egli vi manca... ohime! deserti siete! VIII. Nasca o tramonti il viator del cielo È per me sempre indifferente oggetto; Splenda in aere sereno o in tetro velo [to! Che importa il sol!.. nulla dai giorni aspet IX. Se lo seguissi in sua carriera, io penso Che sol bujo, deserti incontrerei, Non ha quant' ei rischiara i desir miei, E nulla chieggo a l'universo immenso! X. Ma forse di sua sfera oltre il confine, Se alla terra il mio fral lasciar potessi, E dove splende il vero sol giungessi,... Quel che sognai m' apparirebbe alfine! XI. È la quel fonte, se il desio non erra, Dove inebriarmi io da gran tempo aspiro; Vi sci tu, primo d'ogni cor sospiro, Bene ideal che non hai nome in terra. XII. Potessi a te sul carro dell' Aurora Slanciarmi, o vago di mie brame oggetto: Sulla terra d'esilio io resto ancora! Se nulla meco ha di comun,.. che aspetto? XIII. Quando cadon le foglie alla vallea Il vespertino venticel le toglie: Io lor somiglio; il vento, ecco sorgea, Seco mi porti com' aride foglie. IL GOLFO DI BAIA. Vedi come il flutto placido Sulla lieve navicella Qual freschezza, oh Dio! respirasi, Sopra il mar quai canti s'alzano! Mal fidandosi alle stelle Mentre lieta la vivace [na; Ma già l'ombra più densa i mari imbru- Santa madre di libere genti, |