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Veglian sopra la scossa muraglia
Assetati, derisi, languenti,
Per la notte levando lamenti,
I guerrier dell' oppressa città;
E paventan che nova battaglia
Degli Assirj trionfo sarà.

Al chiaror delle fioche lucerne,
Scarmigliate ne' crudi perigli,
Pe' mariti pregando, pe' figli,
Stan le donne dinanzi all' altar.
Altre all'orlo dell' arse cisterne
Forsennate sen vanno a spirar.

Della luna par sangue la faccia ;
Piangon gli astri coperti d'un velo;
Da lontano rimbomban pel cielo
Cupi tuoni che han l'eco ne' cor:
De' celesti a chi va la minaccia,
La nuov' alba a chi reca dolor? [te,
S'ode un grido che appella: accorre-
Demolite, varcate le porte;
Non servaggio v' attende, non morte,
De' prodigi vedrete il maggior ;
Per le tende, pei valli vedrete
Negli Assirj diffuso il terror.

Chi è costei che solleva cruenta, Boccheggiante, sul pugno una testa? Ogni turba a lei vola, s'arresta, Tace, agghiaccia alla vista fatal : È caduto che più vi sgomenta? Nel cimento qual ferro preval?

:

Chi è costei? del deriso Istraello
È salvezza inchinate Giuditta :
Fra' nemici, fra l'armi l'invitta,
Sola, inerme, sollecita uscì.
Ferve il popol; del canto novello
Al trionfo ella il guida così: -

Lode al Nume che veglia, che regge
La sua plebe, e gli estrani confonde :
Dalla terra profana, dall' onde
Guido salve le prime tribù:

Tutti un segno ne strinse, una legge, Arse tutti l'istessa virtù.

Cinque forti al novel condottiero, Minacciando, giuraron battaglia; Ei non teme, discende, si scaglia, De' fuggenti perseguita il vol : Parla al sole l'eletto guerriero E la luce prolunga del sol!

Fulminato il crudel Madianita, Che non osan le lance di Giuda?

È trionfo la guerra più cruda;
De' trionfi s'accresce la fè.
Chi dell' armi alla prova t'irrita,
Istrael, chi presume con te?

Smisurato l'orribil gigante Ogni ardire sgomenta, ogni possa ; Ma già scaglia l'ardita percossa, Già lo coglie l'ignoto pastor : Son più diri nel diro sembiante Gli atti estremi, l'estremo furor.Di Betulia chi regge la figlia Sola, intatta nel campo deliro? Tronco immane l' indomito Assiro Senza moto, senz' ira restò. De' nemici la fronte, le ciglia Già l'eterna vendetta segnò.

Allungata una mano di foco, Nel profano vegliar delle notti, Ecco annunzia a' potenti corrotti La ruina ch' estrema sarà : Ne' covili d'inospito loco Altri bruto co' bruti vivrà.

Ma pietoso, ma provido a' figli Circoncisi, d'Abramo alla terra, Ogni rischio trionfa, ogni guerra, Della pace prolungane i di : Nella gioia, gran Dio, ne' perigli Il tuo popol t'adori così.

ALLE DONNE SICILIANE.
No, benchè il tempo muta
La fortuna de' regni e delle genti,
Non han foglia perduta

Le tue belle corone, o patria mia!
I sensi e le parole

Vivon di quanti meditar nascosi
Negli ozj generosi :

Vivono ancor gli altissimi portenti
De' gagliardi vetusti,
Vincitor ne' cimenti,

Fra palme, e spade, e riversati busti.
Deh! si lieto per noi rifulga il sole,
Deh! come il cor desia,

In noi l'ardire de' Sicani eroi,
L'antica tempra si rifonda in noi.

Se l'infingarda etade

I petti nostri al paragon non chiama Dell'ira e delle spade,

Oh ne' caldi pensier, nell' opre oneste Si riconforti l'alma!

Assai più giova di tenzoni e d'armi

La bell'arte de' carmi,

Che il sorriso di pace e gli ozj brama,
E ne lusinga e regge
A magnanima fama,

D'ogni affetto maestra e d'ogni legge.
Vile chi sdegna degli eroi la palma :
Saprà, nelle funeste

Cure invilito e ne' piacer bugiardi,

Come il rossor, se pur l' infiamma, è tardi.
E da quest' almo suolo
Arditamente d'animosa donna
Aprivan gl'inni il volo.

Oh quel vanto perchè più non s'agogna
Nel libero pensiero?

Perchè l'umili cure e l'ozio indegno
Tolgon foco all'ingegno,

Se qui di senno e di virtù colonna,
Qui preparava Nina,
Disdegnando la gonna,

Al divino Alighier l'arpa divina?

Deh, mel credete, ch'io favello il vero :
Il celarsi è vergogna.

Sorgete, o care, e della patria stanza
Con voi sorga l'ardire e la speranza.
Giovinezza non dura

Sulle gote vermiglie e sul bel crine
Per letizie o per cura,

E tutti spegne dell' etade il gelo
Quanti fiorian diletti,

Sin che si scavi all'ultima percossa
Un' obliata fossa.

Deh men crudeli di quaggiù le spine

Il bell' oprar ne renda,

Ben nate cittadine,

E del loco natio l'amor v'accenda!

Più sicure dovizie agl' intelletti

Non piovono dal cielo,

Ne soave lusinga o dolce incanto

È qui verace, ove sol dura il pianto.

Sicilia in noi riscossa

Rintegrerà l'indomito ardimento,
Le leggi sue, la possa. -
Ahi smisurato divampava intorno
Il morbo furibondo,

E le rapia l'alme più calde, i primi
Esemplari sublimi!

Senz' ira, senza onor, senza cimento
Un popol si moria

Derelitto, sgomento,

Per le case dolenti e per la via.

Quanti del sogno che più ride al mondo
Eran sul primo giorno,

Quando s'aflanna irrequieto il core,
Ne' dolci voti e nel desio d'onore!

O sfortunati nostri,

Su voi, pietoso qual fratel più sente,
Deplorando si prostri :

Guati la croce e le glebe e le pietre
Su pel funereo loco,

E di pari virtù, di pari affetto
Arda il commosso petto. -

Pel suol che vi nutria si dolcemente,
E in che durano pure,

Drizzando a voi la mente,

Quanti amati lasciaste alle sventure,
Voi lassù redivivi Angeli invoco :
Le divine faretre

Suonin sugli empj, e alle natie contrade
Torni de' prischi eroi torni l'etade.

A. VERONESE MANTOVANI,

DA TREVISO.

LA RIMEMBRANZA DEL GIURAMENTO.

PRATICEL di fiori adorno,

Sai perchè ritorno a te?

Qui il mio ben giurommi un giorno Puro amor, eterna fe.

Gli occhi azzurri in me fissande Dolcemente sospirò,

E poi disse: il ciel sa quando,
Dori mia, ti rivedrò.

Quest' erbette e questi fiori
Riveder ti piaccia ognor,
Rammentando, o cara Dori,
Che qui nacque il nostro amor.
Cari detti, ad ogni istante

Di ripetervi godro;

Ah! ma senza il caro amante
Infelice ognor sarò.

IN MORTE

DI MARIETTA BIZZARRO TARMA.

Chi è colei che assisa in grembo

Di quel nembo

Fa di sè leggiadra mostra,
E al sereno delle ciglia
Rassomiglia

Lei che il cielo indora e innostra ?
Ha di luce il vago aspetto,
Neve il petto,

Sciolte son le chiome bionde,

E di nebbia azzurra intesta

Vaga vesta

Or la scopre, or la nasconde.
Men leggiadra all'aria bruna
Sta la luna

Sovra un trono inargentato,
E men lieve e men gentile
In aprile

Move il zefiro sul prato.

Chi è colei che dolce siede Sulla sede

Di quel nembo che l'accoglie,
Che superbo di tal dono
Scorda il tuono,

E in rugiada si discioglie ?
Amaritte... ah! la ravviso
Al bel viso

D'ogni grazia eletta fonte;
Amaritte, che qual raggio
Spento in maggio

Lasciò fosco il piano e il monte.

Ah! che ognor senza riposo

Il suo sposo

Sparge lacrime e lamenti;
Ella il sente e bagna intanto
Col suo pianto
L'ale placide dei venti.
Amaritte, che pietosa

E amorosa

Odi lui che ancor t'adora, Ah! discendi, lo consola, Poi rivola

Al soggiorno dell' aurora.

I DUE CONTADINELLI.

È Giacinto un fanciulletto Bel di core, bel d'aspetto; Ha l'età di quindici anni, Sembra amore senza vanni; Mai non dice una bugia, L'ingannar non sa che sia, La figura ha di Narciso, L'innocenza nel sorriso. Vivo, bruno, ricciutello; Che gentil contadinello!

É Nanetta una fanciulla,
Che vantò sin dalla culla
Semplicissimi costumi,

Biondo ha il crine, azzurri i lumi
E un bocchin fra due pozzette
Che vuol baci e li promette:
Tredici anni ha scorsi appena,
E di vezzi è tutta piena,

Fresca, bella, ricciutella;
Che gentil contadinella!
Il tugurio hanno vicino;
Ambi sorgon col mattino
Conducendo le agnelette
Sull' erbose collinette;
Ora tescono fiscelle,

Or zampogne, or ghirlandelle :

Il lor voto, il lor desio
È la selva, il colle, il rio.

Deh! rispetti Amor pietoso Quell'etade e quel riposo! Vegga il mondo in coppia tale L'innocenza pastorale.

LE DUE GOBBE.

NOVELLETTA.

In un borgo qui vicino
V'era un Gobbo ciabattino,
Spiritoso, di buon cuore,
E discreto suonatore
D'una logora chitarra
Adornata alla bizzarra,
Con un fiocco alla metà
Che balzava or qua or là:
E ogni passo che movea,
La chitarra seco avea.

Questi un giorno avea bevuto
Oltre il solito, e perduto
S'era in strada solitaria
Che imbruniva appunto l'aria,
Ne scorgea capanna alcuna,
Ché annebbiata era la luna.
Vide un noce smisurato

Che s'alzava in mezzo a un prato ;
Presso a quello si fermò,
S'adagiò, s' addormento.
Ma fu breve il suo dormire,
Poichè intese giù venire
Per il noce, come storni,
Streghe e diavoli coi corni,
E balzando sull' erbetta
Cominciar senza etichetta
Una certa contraddanza,
Che fra loro era in usanza.
Il buon Gobbo si sveglio,
Per la tema traballo;

Ma facendosi coraggio,
Come suole a tempo il saggio,
Con un'aria assai modesta
Inoltrossi a quella festa.
Fe' alle streghe un risolino,

Ed ai diavoli un inchino,
Che risposero al saluto:
Gobbo caro, ben venuto.

11 pregaro di suonare,
E le streghe di ballare.
Egli allora compiacente
Fece tutto prontamente,
Alternando ad occhi bassi
Ora il suono ed ora i passi.
Già l'aurora biancheggiava,
Ogni gallo l'annunziava,
Ora appunto destinata
A discioglier la brigata.
Stava il Gobbo per partire,
E una strega prese a dire :
Galantuom, vogliam pagarti :
Di' che brami pria che parti.
Ed il Gobbo: Mia signora,
Questa gobba m'addolora,
Poichè sento tutto il di
Gobbo qui e Gobbo li.
Non vuoi altro? ellà rispose;
Ehi compagne morbinose,
Liberiamo il tapinello
Dalla gobba e dal zimbello.

Preser dunque certa sega,
Non so fatta in qual bottega,
Sega mistica incantata
Che di burro era formata,
Ed in men ch'io non lo dico
Gli levaro quell' intrico
Senza sangue, senza duolo,
E balzò la gobba al suolo.
Lo sgobbato ciabattino
Lieto prese il suo cammino
Ver la rozza abitazione,
Ed intanto le persone
Ripetevano ve'! ve'!

La tua gobba, Gobbo, ov'è?

Ma incontrando un suo compare,

Si fermò seco a parlare

Del gran noce, della strega,
Della gobba, della sega;
E perchè per accidente

Gobbo anch'egli era egualmente,
S'invoglio di far lo stesso,
Come lui sgobharsi anch'esso.
Insegnar si fece il noce
E di notte andò veloce
Per ballare nella festa
Delle streghe, e la molesta
Gobba sua gittar al suolo
E restar un bel figliuolo.
Quando al noce fu arrivato,

Era il ballo incominciato.
Egli entrando prontamente
Cominciò da impertinente
A far mille gesti strani
Con le gambe e con le mani,
Ora i diavoli pigliando
Per la coda, ed or alzando
Alle streghe il guardinfante
Da incivile e da birbante.
Ma l'aurora biancheggio
Ed il ballo terminò.

Stava ognuno per partire,
Ed il Gobbo prese a dire :
Ho per voi tanto ballato,
Fate almen ch' io sia sgobbato.
Gli risposer con dispetto:
Taci, Gobbo maledetto,
Che non merta alcun favore
Un sguajato danzatore.
Su, compagne, immantinente
Si castighi l'insolente.
Tutte allor gli furo addosso
Come cagne intorno a un osso.
Ei pietà gridava invano;
Lo distesero sul piano,
E la gobba in pria segata,
Che sull'erba era restata,
Dell'altr' uom più fortunato,
Gli attaccår dall' altro lato.
Egli a casa sen tornò
Con due gobbe; altro non so.
Lettor mio, se arguto sei,
La moral intender dei.

Z. DA LIVORNO.

MEDITAZIONI POETICHE

DEL SIGNOR LAMARTINE.

L'ISOLAMENTO. I.

Al tramontar del di sulla montagna Talor m'assido ove la quercia ombreggia ; Mobil quadro al un piè sta la campagna, Sovr' essa a caso il guardo mio passeggia. II.

Qui il fiume dalle pure onde freinenti Serpeggia e in un lontan bujo declina,

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Stende il lago colà l'acque dormenti Dove s'alza la stella matuttina.

III.

Sopra la vetta del selvoso monte Il crepuscolo i raggi ultimi aduna, Fa i lembi biancheggiar dell' orizzonte Salendo in ciel la vaporosa luna.

IV.

Dalla gotica torre, ecco, slanciato Devoto suon, sembra che l'aere inonde; Sacri accordi del giorno or tramontato Al movente fragor quel suon confonde! V.

O dolci quadri! muta a voi dinante Riman quest' alma d'ogni incanto priva; Guardo la terra come un' ombra errante; Dei vivi il sol gli estinti, ahi! non ravviva.

VI.

Di collina in collina il guardo aggiro, Dove il sol nasce e dove in mar si getta, Tutto quant'è lo immenso spazio miro... Ma.... la felicità dove m'aspetta ?...

VII.

Città, palazzi, rustiche dimore, Vani oggetti, allettar me non potete; Fiumi, rupi, selvaggio, amico orrore, Egli vi manca... ohime! deserti siete!

VIII.

Nasca o tramonti il viator del cielo È

per me sempre indifferente oggetto; Splenda in aere sereno o in tetro velo [to! Che importa il sol!.. nulla dai giorni aspet

IX.

Se lo seguissi in sua carriera, io penso Che sol bujo, deserti incontrerei, Non ha quant' ei rischiara i desir miei, E nulla chieggo a l'universo immenso!

X.

Ma forse di sua sfera oltre il confine, Se alla terra il mio fral lasciar potessi, E dove splende il vero sol giungessi,... Quel che sognai m' apparirebbe alfine! XI.

È la quel fonte, se il desio non erra, Dove inebriarmi io da gran tempo aspiro; Vi sci tu, primo d'ogni cor sospiro, Bene ideal che non hai nome in terra.

XII.

Potessi a te sul carro dell' Aurora Slanciarmi, o vago di mie brame oggetto: Sulla terra d'esilio io resto ancora! Se nulla meco ha di comun,.. che aspetto?

XIII.

Quando cadon le foglie alla vallea Il vespertino venticel le toglie: Io lor somiglio; il vento, ecco sorgea, Seco mi porti com' aride foglie.

IL GOLFO DI BAIA.

Vedi come il flutto placido
Sulle sponde a morir viene,
Vedi il zefiro volubile
Con un soffio lene, lene
L'onda cerula increspar!

Sulla lieve navicella
Ch'io con man secura guido,
Del solingo golfo il lido
Meco vieni a costeggiar.

Qual freschezza, oh Dio! respirasi,
Già di Teti ascoso in grembo
Cede Febo a Delia il ciel!
Empie l'aere e il mar d' un nembo
Di fragranze ai fior rapite
Della sera il venticel!

Sopra il mar quai canti s'alzano!
Quali s'alzan sulle sponde!
Eco udi gli accenti armonici,
Li prolunga, li confonde.

Mal fidandosi alle stelle
Sta le vele ripiegando,
E saluta, ei pur cantando,
La capanna il pescator.

Mentre lieta la vivace
Gioventù gli sta d'intorno,
E saluta il suo ritorno
Con altissimo clamor.

[na;

Ma già l'ombra più densa i mari imbru-
Sparisce il lido; rumor non s'ascolta;
È l'ora ove alla tacita laguna
Siede in riva, pensosa, in se raccolta
Melanconia! guardando le rovine
Sul deserto pendio delle colline.

Santa madre di libere genti,
Patria antica d'eccelse virtù,
Un vil giogo or sopporti indolente:
Il tuo impero, gli eroi non son più;
Ma più grande fra' tuoi monumenti

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