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Del mal sovente

Svanisce e perdesi

Nel ben presente.

Or che, Amarillide,

Lá fiamma mia

Depose il rigido
Tenor di pria,

Non temo i turbini
Di avversa sorte,
Nè il più terribile
Furor di morte.

Me faccian vivere

I numi amici

Con Amarillide

I di felici;

Ne altro mai chiedere

Da lor voglio,
Ne a compier restami
Altro desio,

Che in pelto accogliere Idee non soglio D'insaziabile

Fasto ed orgoglio;

Ne brama pungemi D'oro e di gemme Che mandan l'indiche

Eoe maremme.

Abbiasi Venere
Il vago Adone,
Abbiasi Cinzia
Endimione,

Ne al frigio Paride
Elena invidio,
Famosa origine
Del grand' eccidio :
Per mille celebri
Bellezze e mille
Pera s'io cedere
Voglia Amarille!

Dolci qual nettare
Solo per lei
I carmi scorrono
Dai labbri miei.
Soavi zefiri,
Aurette liete

Che intorno l'aere

Lievi muovete,
Le mie di giubilo
Voci ascoltate,
E i vostri tremuli
Moti arrestate.

Tacete, o garruli
Canori augelli;
Tacete, o queruli

Vaghi ruscelli :

Chè i carmi scorrono

Dai labbri miei,
Dolci qual nettare,

Che beon gli Dei.

Del mio non trovasi

Più lieto core
Entro il vastissimo
Regno di Amore :
E così l'animo
M'empie il contento,
Che omai non restavi
Luogo al tormento.
Oh giorni fausti
Che amando io spesi!
Oh ardor benefico
Ond' io mi accesi!
O amabilissima
Cara Amarille,
Dalle cui tremule
Vaghe pupille

Tanta discendere
Mi sento in petto
Dolcezza ch' empiemi
D'almo diletto,

Soave ed unica
Cagion tu sei
De' felicissimi
Contenti miei.

Per te a conoscere
La vita imparo,
Per te m'è il vivere
Giocondo e caro.

E voi, fide anime
Che Amor seguite,
E gl'invidiabili
Miei casi udite,

Or che Amarillide,
La fiamma mia,
Depose il rigido
Tenor di pria,

Il crin cingetemi
Di mirti e rose,
Leggiadri giovani
Donne amorose;

E in me di Venere
L'alto favore
Rispettin gl'invidi
Servi di Amore :
E sia di esempio
A ogni alma amante,
Che tutto vincere

Può amor costante

A DORI

IL POETA INVITA LA SUA AMICA A BERE.

Non so qual giubilo

E qual contento
Oggi per l'animo

Scorrer mi sento.

Qualunque, o Doride,

La cagion sia

Di questa insolita

Letizia mia,

Secondar gl'ilari

Moti voglio,

Che in cor m' infondono
La gioia e il brio.

Vo' che oggi, o Doride,

Insiem si bea:
Il vin gli spirti
Egli ricrea;

Il vin le torbide
Menti rischiara,
E l'apollineo
Estro prepara.

Or tu sollecita

Vanne, Lisetta,
E pronta recami
Bottiglia eletta.

Ve' di non prendere
Cipro o sciampagna,
Bordo, canarie,
O vin di Spagna,

Quel che vien d'Affrica

Non mi disseta,
Ne quel di Persia,

Ne quel di Creta ;
Beva l'ungarico
E il borgognone
Chi tanto pregio
In lor ripone:

Non cede agli esteri
Liquor squisiti
Il vin che spremesi
Da tosche viti.

Va dunque, e sceglimi
O carmignano,
Ovver l'egregio
Montepulciano.

Ma... ferma... ascoltami,
Prendi... ti affretta,
Si l'eleatico

Prendi, Lisetta :

--

Quel vin cui cedere

Il vanto dee
Lo stesso nettare,

Che in ciel si bee.
Lungi ogni ruvido
Genio severo,

E ogni misantropo
Censor austero :

Lungi ogni torbida
Cagion di noia,
Si lasci il libero
Corso alla gioia.
Dopo terribile
Fiero conflitto
Bevea il macedone
Guerriero invitto;

Allor che in animo
Gravi volgea
Cure lo stoico
Caton, bevea.

Il ber, le immagini
Più vive e pronte
Destò di Pindaro,
Di Anacreonte.

E tutti bebbero

I grandi eroi;
E poscia bevere
Non dovrem noi?

Ma volgi, o Doride,
Volgi le ciglia,
Lisetta appressasi
Colla bottiglia.

Tieni, o dolcissimo
Don di Lico,

lo già coll' avido Desir ti beo.

Il nappo or colmami, Gentil donzella, Che far vo' brindisi A Dori bella.

Vivano, o Doride, Quelle pupille,

Che in sen mi accendono
Dolci faville.

Viva quest'ottimo
Divin liquore,
Che lieto m'eccita
Estro di amore.

E viva l'aere,
L'umor, la luce
Che questo amabile
Liquor produce;

Poichè dell' acino Per entro i seni

Di vegetabile

Umor ripieni

Il sole penetra Nel suo passaggio, E prigion lasciavi L'immerso raggio. Senti lo spirito, Il vigor grande, E il soavissimo Odor che spande ?

Oh saggio, oh provvido Nobil pensiero

Di chi fin d'Elide

Portò primiero
Quelle propagini
Nel suol toscano;
Che tal producono
Liquor sovrano,
Opra degnissima
Di prose e carmi,
Opra da incidersi

In bronzi e in marmi!
Che se il peonio
Etrusco vate,
Che tante annovera
Uve pregiate,

Lo squisitissimo
Liquor bevea

Che fra noi genera
La vite elea,
Quai ditirambici
Elogi avrebbe
Dato a quest' ottimo
Divin giulebbe!
Qual come a principe
D'ogni liquore,
Concesso avrebbegli
Regale onore!

Dunque il nettareo
Liquor si bea,
Che il core e l'animo
Conforta e bea.

Tu questo, o Doride,
Nappo ricevi,

Le labbra immergivi,
Tutto tel bevi.

Se teco vivere,
E ber mi lice,

Chi di me, o Doride,
Chi più felice?

L'INVERNO

A FILLE.

VEDI Come alte e cariche
Ai monti son le nevi,
Lunghe le notti e rigide,
I giorni freddi e brevi!
Stride Aquilone e sibila,
Le vie ricopre il gelo:
Ah! non esporti, o Fillide,
Al crudo aperto cielo.

Conserva illese e floride
Le tue bellezze ognora;
A te, mia Fille, serbati,
Serbati a chi ti adora.

Entro ben chiusa camera,
Ov' arda sempre il foco,
Con quei che scieglier piaceti
Stattene in festa e in gioco.

O che ami assisa in circolo
Udir gli altrui racconti,
Ed i graziosi equivoci,
E i motti arguti e pronti;

Ovver proporre a esprimersi Difficili parole,

O indovinel che ambiguo
Senso nasconder suole;

O vogli far la chioccia
Che i polli suoi difende
Contra il falcon che insidiala
Fin che pur un ne prende;

O d'un che altrui dia regola
Far che con volto e mani
Tutti in un tempo imitino
I segni e i moti strani;

O avendo in man la spazzola Ed una benda agli occhi, Indovinar dal sibilo

Chi sia colui che tocchi.

Bello anche fia se apprestisi Talor cena impensata, Quanto men ricca e lauta, Tanto più sana e grata :

Ma la bottiglia in ozio
Qui mai restar non dee;
Chè ogni pensier dall'animo
Fugge di quei che bee.

Spesso udirai far brindisi
Ciascuno alla sua diva,
Ma sopra tutte, o Fillide,
Faransi a te gli evviva.

L'ore cosi dell' orrida Fredda stagion dell'anno Render potrai piacevoli, Lungi da noia e affanno.

Se me de' tuoi nel numero Compagno aver vorrai, Assiduo indivisibile Al fianco tuo mi avrai. Qual compagnia più amabile Unqua bramar potrei, Fillide mia carissima, Di quella ove tu sei?

Ché tutti insiem nè d'Affrica
I più cocenti ardori,
Ne della Zembla asprissima
Io curerei gli orrori;

Non della Libia inospita
I deserti arenosi,
Non dell'immenso oceano
I flutti tempestosi.

Se bramerai ch'io reciti
E favole e novelle,
Jn mente ne ho moltissime
E curiose e belle:

Ognor loquace o tacito
A tuo piacer mi avrai,
Tu al labbro mio dai regola,
Come al mio cor la dài.

E piova e tuoni e fulmini,
E infurii e frema il vento,
Teco sarò sempr'ilare,
Sempre sarò contento:

Ché se otterrò bench' infima Parte nel tuo bel core, Altra a sperar non restami Felicità maggiore.

LA PRIMAVERA

A NICE.

SENTI, O bella amabil Nice, Come lieve e lusinghiera Spira l'aura annunziatrice Della nuova Primavera :

Odi i garruli augelletti Sul mattin liberamente Svolazzando lascivetti Salutar il di nascente.

Ve' che il Sol su la montagna Già le nevi e il gel discioglie! Ve' che il bosco e la campagna Si coprì di verdi spoglie!

Già con queruli belati Dall' ovile escon le agnelle Saltellando per li prati,

E carpendo erbe novelle.
Riedi a noi cinta di fiori,
O ridente Primavera,
O nutrice degli amori,
O di Vener messaggera:

Per te in ciel, nel suol, nell'onde, O dell'anno età felice, Si dispiega e si diffonde La virtù propagatrice. Ed i semi che coperti Sotto freddo acuto gelo Non potean languidi e inerti Svilupparsi in foglie o in stelo, Or non più pigri, ozïosi, Dal terren rompendo fuori, Rigermoglian vigorosi

A produr le frondi e i fiori :

Lascia il chiuso tuo soggiorno,
E depon le spoglie gravi
Del ridente aperto giorno
Per spirar l'aure soavi:

E di vaghe e pellegrine
Vesti adorna in cocchio aurato
Va nell'ore vespertine
Co' tuoi fidi a fronte e a lato

A goder la dolce auretta
Che da Fiesole respira (1),
Ove al tosco duce eretta
Trionfal mole si ammira;

Simigliante a quelle stesse
Che già il popol di Quirino
Là sul Tebro a Tito eresse,
A Severo e a Costantino.

Gira intorno le pupille,
Mira sparsi i fior, l'erbette,
E i verdi alberi e le ville
Su le vaghe collinette.

O per fresca ombrosa via
Va talor dalle Cascine (2)
All'amena prateria.

(1) Si allude al concorso che suol essere nelle sere di primavera e di state fuori di Porta San Gallo, luogo delizioso che giace dirimpetto a Fiesole e dove sorge un arco trionfale di ricca e maestosa architettura, eretto alla memoria di Francesco I imperatore.

(2) Le Cascine, luogo distante un miglio dalla città di Firenze, a ponente, lungo il corso dell' Arno, amenissimo per vaste praterie e delizioso bosco, dove, nei giorni festivi di primavera, suole concorrere il popolo a ricrearsi.

Cui fa sponda Arno e confine :

Su gli arenosi campi.

Qui di comodi boschetti Cinta intorno è la pianura; Quivi son pascoli eletti Di perenne ampia verdura. Qui vedrai per ogni lato Mandre errar pingui e satolle; Onde suole il delicato Burro farsi e il cacio molle : Qui di ninfe e di garzoni Suol venir allegra schiera, Quando spirano i favoni Della nuova primavera ;

Ed insiem han per costume Tesser canti, e alle giulive Voci lor del vicin fiume Eco fan le opposte rive.

Qua pei prati e là si spande, E sul suolo ognun si assetta; E le rustiche vivande Imbandir fa sull' erbetta.

Tu frattanto andrai mirando Lo spettacolo festoso Lentamente passeggiando Pel sentiero delizioso :

Ed a si giocondo aspetto Sentirai un certo moto, Che ti andrà serpendo in petto Con piacer soave ignoto.

Sentirai, se attorno miri,
Di letizia empierti il core;
Ti parrà che tutto spiri
Sensi teneri di amore.
Dunque, o Nice mia vezzosa,
Se ad amar tutto richiama,
L'alma altera disdegnosa
Ammolisci, o Nice, ed ama:

Se non ami ora che il cielo
E la terra inspira amore,
Hai un animo di gelo;
Più che selce hai duro il core.

LA STATE

A FILLE.

COME potrem, mia Fillide,

Dell' affannosa State
Passar tranquilli ed ilari
L'ore importune ingrate?

Non altrimenti l'aere
Par che s' infochi e avvampi,
Qual della adusta Libia

Sé stesse appena reggono
Le affaticate membra,
E ogni più lieve spoglia
Grave tuttor rassembra.

Gli oggetti un di piacevoli,
Che dièr diletto e gioia,
Altro omai più non rendono
Che increscimento e noia :
E dell' aurata cetera
Al grato suono intanto
Talor l'inerzia scuotere
Cerco, ma invan, col canto.
Troppo cocenti e fervidi
Vibra i suoi raggi il Sole,
Ed escon pigre e languide
Dai labbri le parole.

Pur, Fille mia, non credere,
Che la stagione estiva
A due bei cor che si amano
Di ogni piacer sia priva.

Qualunque mal sovrastaci,
Poichè soffrir si deve,
Se non si può distogliere,
Rendasi almen più lieve.
Nell' ore in cui più fervono
I meridiani ardori,
E del calor risentonsi
Le noie ancor maggiori,

Stattene al placid' ozio
Di fresca stanza, in cui
Il caldo aer non penetri,
Nè il Sol co' raggi sui;

E dalle spalle al gomito
Lino sottil ti scenda,
Nè il ritondetto braccio
Tutto a coprir si stenda;

Intorno a' fianchi cingiti
Un candido guarnello,
Che lasci ognor visibile
Il piè leggiadro e snello:
Spiega il gentil ventaglio
Di vaghi fregi adorno,
Che lievemente l'aere
Agiti a te d'intorno.

Pronta a' tuoi cenni Egeride
Ad or ad or t' infonda
Mista a gustoso ed acido
Succo la gelid' onda;

E con bevanda amabile
Dall' ostinata arsura

Le sitibonde fauci

Refrigerar procura.

Ne allor tu vogli ammettere

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