Del mal sovente Svanisce e perdesi Nel ben presente. Or che, Amarillide, Lá fiamma mia Depose il rigido Non temo i turbini Me faccian vivere I numi amici Con Amarillide I di felici; Ne altro mai chiedere Da lor voglio, Che in pelto accogliere Idee non soglio D'insaziabile Fasto ed orgoglio; Ne brama pungemi D'oro e di gemme Che mandan l'indiche Eoe maremme. Abbiasi Venere Ne al frigio Paride Dolci qual nettare Che intorno l'aere Lievi muovete, Tacete, o garruli Vaghi ruscelli : Chè i carmi scorrono Dai labbri miei, Che beon gli Dei. Del mio non trovasi Più lieto core Tanta discendere Soave ed unica Per te a conoscere E voi, fide anime Or che Amarillide, Il crin cingetemi E in me di Venere Può amor costante A DORI IL POETA INVITA LA SUA AMICA A BERE. Non so qual giubilo E qual contento Scorrer mi sento. Qualunque, o Doride, La cagion sia Di questa insolita Letizia mia, Secondar gl'ilari Moti voglio, Che in cor m' infondono Vo' che oggi, o Doride, Insiem si bea: Il vin le torbide Or tu sollecita Vanne, Lisetta, Ve' di non prendere Quel che vien d'Affrica Non mi disseta, Ne quel di Creta ; Non cede agli esteri Va dunque, e sceglimi Ma... ferma... ascoltami, Prendi, Lisetta : -- Quel vin cui cedere Il vanto dee Che in ciel si bee. E ogni misantropo Lungi ogni torbida Allor che in animo Il ber, le immagini E tutti bebbero I grandi eroi; Ma volgi, o Doride, Tieni, o dolcissimo lo già coll' avido Desir ti beo. Il nappo or colmami, Gentil donzella, Che far vo' brindisi A Dori bella. Vivano, o Doride, Quelle pupille, Che in sen mi accendono Viva quest'ottimo E viva l'aere, Poichè dell' acino Per entro i seni Di vegetabile Umor ripieni Il sole penetra Nel suo passaggio, E prigion lasciavi L'immerso raggio. Senti lo spirito, Il vigor grande, E il soavissimo Odor che spande ? Oh saggio, oh provvido Nobil pensiero Di chi fin d'Elide Portò primiero In bronzi e in marmi! Lo squisitissimo Che fra noi genera Dunque il nettareo Tu questo, o Doride, Le labbra immergivi, Se teco vivere, Chi di me, o Doride, L'INVERNO A FILLE. VEDI Come alte e cariche Conserva illese e floride Entro ben chiusa camera, O che ami assisa in circolo Ovver proporre a esprimersi Difficili parole, O indovinel che ambiguo O vogli far la chioccia O d'un che altrui dia regola O avendo in man la spazzola Ed una benda agli occhi, Indovinar dal sibilo Chi sia colui che tocchi. Bello anche fia se apprestisi Talor cena impensata, Quanto men ricca e lauta, Tanto più sana e grata : Ma la bottiglia in ozio Spesso udirai far brindisi L'ore cosi dell' orrida Fredda stagion dell'anno Render potrai piacevoli, Lungi da noia e affanno. Se me de' tuoi nel numero Compagno aver vorrai, Assiduo indivisibile Al fianco tuo mi avrai. Qual compagnia più amabile Unqua bramar potrei, Fillide mia carissima, Di quella ove tu sei? Ché tutti insiem nè d'Affrica Non della Libia inospita Se bramerai ch'io reciti Ognor loquace o tacito E piova e tuoni e fulmini, Ché se otterrò bench' infima Parte nel tuo bel core, Altra a sperar non restami Felicità maggiore. LA PRIMAVERA A NICE. SENTI, O bella amabil Nice, Come lieve e lusinghiera Spira l'aura annunziatrice Della nuova Primavera : Odi i garruli augelletti Sul mattin liberamente Svolazzando lascivetti Salutar il di nascente. Ve' che il Sol su la montagna Già le nevi e il gel discioglie! Ve' che il bosco e la campagna Si coprì di verdi spoglie! Già con queruli belati Dall' ovile escon le agnelle Saltellando per li prati, E carpendo erbe novelle. Per te in ciel, nel suol, nell'onde, O dell'anno età felice, Si dispiega e si diffonde La virtù propagatrice. Ed i semi che coperti Sotto freddo acuto gelo Non potean languidi e inerti Svilupparsi in foglie o in stelo, Or non più pigri, ozïosi, Dal terren rompendo fuori, Rigermoglian vigorosi A produr le frondi e i fiori : Lascia il chiuso tuo soggiorno, E di vaghe e pellegrine A goder la dolce auretta Simigliante a quelle stesse Gira intorno le pupille, O per fresca ombrosa via (1) Si allude al concorso che suol essere nelle sere di primavera e di state fuori di Porta San Gallo, luogo delizioso che giace dirimpetto a Fiesole e dove sorge un arco trionfale di ricca e maestosa architettura, eretto alla memoria di Francesco I imperatore. (2) Le Cascine, luogo distante un miglio dalla città di Firenze, a ponente, lungo il corso dell' Arno, amenissimo per vaste praterie e delizioso bosco, dove, nei giorni festivi di primavera, suole concorrere il popolo a ricrearsi. Cui fa sponda Arno e confine : Su gli arenosi campi. Qui di comodi boschetti Cinta intorno è la pianura; Quivi son pascoli eletti Di perenne ampia verdura. Qui vedrai per ogni lato Mandre errar pingui e satolle; Onde suole il delicato Burro farsi e il cacio molle : Qui di ninfe e di garzoni Suol venir allegra schiera, Quando spirano i favoni Della nuova primavera ; Ed insiem han per costume Tesser canti, e alle giulive Voci lor del vicin fiume Eco fan le opposte rive. Qua pei prati e là si spande, E sul suolo ognun si assetta; E le rustiche vivande Imbandir fa sull' erbetta. Tu frattanto andrai mirando Lo spettacolo festoso Lentamente passeggiando Pel sentiero delizioso : Ed a si giocondo aspetto Sentirai un certo moto, Che ti andrà serpendo in petto Con piacer soave ignoto. Sentirai, se attorno miri, Se non ami ora che il cielo LA STATE A FILLE. COME potrem, mia Fillide, Dell' affannosa State Non altrimenti l'aere Sé stesse appena reggono Gli oggetti un di piacevoli, Pur, Fille mia, non credere, Qualunque mal sovrastaci, Stattene al placid' ozio E dalle spalle al gomito Intorno a' fianchi cingiti Pronta a' tuoi cenni Egeride E con bevanda amabile Le sitibonde fauci Refrigerar procura. Ne allor tu vogli ammettere |