Alcun che te distolga
Dall' umor gaio ed ilare,
O libertà ti tolga.
Qual mai piacer reciproco Di società può aversi
Fra quei che han genio ed indole
Ed i pensier diversi?
Ma quando poi principia A declinare il giorno, E a poco a poco spandonsi L'ombre per ogn' intorno, Leggiadramente adornati Come tu suoli ognora, Ed in aperto cocchio Scorri le vie di Flora; E i desiosi giovani In tacita favella, Da lungi ancor vedendoti, Ecco, diran, la bella!» Tu a chi ti rende omaggio Volgi ridente il viso Coi dolci modi amabili, E col gentil sorriso.
Ir potrai pur, mia Fillide, Qualor desio ten viene, A passeggiar di Boboli (1) Per le fresche ombre amene; E allo spirar piacevole Della odorosa auretta Tranquillamente assiderti In su la molle erbetta,
Ove dell' Arno estendesi Traverso alle chiar' onde Ampio ponte ammirabile (2) Dall' une all'altre sponde;
Sai che agli freschi zefiri, Quando la notte imbruna, Turba discinta e libera Di gioventù si aduna :
Là, se ti aggrada, o Fillide, Meco venir potrai, E della notte placida La libertà godrai. Bizzarramente poniti
Quel cappellin galante,
Che tanto, o Fille, addicesi
(1) Boboli, vastissimo giardino annesso al real palazzo de' Pitti, al quale è permesso l'ingresso a tutti gli ordini civili di persone.
(2) S' intende di parlare del Ponte a S. Trinita, il più vago di tutti gli altri della città, ove sogliono nelle sere di state più calde passeggiar a piedi e fermarsi le donne fiorentine in abito di Libertà, e da notte, colla loro compagnia.
Al tuo gentil sembiante. Ai modi alteri e nobili, Al portamento, agli atti, Ed alle nuove foggie Che così ben ti adatti,
Te fra le dubbie tenebre Distingueran fra mille, E invidieran pur taciti A me il favor di Fille.
Ma se grata e sensibile All'amor mio tu sei, Amami, e poi m'invidino Gli uomini tutti e i Dei.
GIA dal torrido equatore Declinante il Sol si parte, E ad accrescer va il calore Su l'australe opposta parte.
E già torna, o Fille mia, Il ferace e pingue Autunno; Bacco torna in compagnia Di Pomona e di Vertunno;
E omai il tempo si avvicina, Che t'invita alla campagna Cola presso alla collina, Cui le falde il fiume bagna: Ove lungi, o cara Fille, Dal clamor tumultuoso Passerai l'ore tranquille Nel contento e nel riposo.
Là godrai con alma lieta Libertà piena e felice, Che in fastosa ed inquieta Città mai trovar non lice.
O del Ciel soave dono Libertà dolce e gradita, Senza te l'impero e il trono, Senza te, che val la vita?
Non curar quivi di ornarti Fra le rustiche contrade; Lascia pur le mode e l'arti Femminili alla cittade.
Bella assai ti fe' Natura Più che far l'arte potrebbe, Nè la vana industre cura A beltà mai pregio accrebbe. Ornamento assai più bello Ti faran semplici vesti, E quel tuo gentil cappello,
Che poc' anzi ti facesti. Lungi i folli usi noiosi De' superbi e gran palagi, E gli uffici ossequiosi,
La mollezza, il fasto e gli agi. Quando in ciel appar l' aurora, Nel pomifero giardino A côr frutta andrai talora
E ad empirne un cestellino : Poscia il di passeggerai Per gli ameni ampi viali, E d'intorno ascolterai Suoni e canti pastorali : Mirerai il vigoroso Instancabile bifolco,
Che in terren pingue, ubertoso Coll' aratro imprime il solco; Mirerai le villanelle Raccôr l'uve, agili e destre, E votar nelle tinelle I panieri e le canestre.
E poiché non mai decoro Vieta a saggia e nobil donna Porsi a rustico lavoro, E succingersi la gonna,
Fra canori alti concenti
A te fia piacevol cosa Côrre i grappoli pendenti Dalla vite pampinosa.
Tien fra mani uva celata, E a talun che il pensi meno, Improvvisa inosservata Gliene bagna e volto e seno. Col percuoter mani a mani Tutti applausi a te faranno, E alte risa e motti strani Contra quei raddoppieranno. Tu a fuggir tosto ti affretta, E poi statti ben guardinga, Ch'egli pensa alla vendetta, Benché il simuli e s'infinga.
So che a svelto agil destriero Premerai sovente il dorso, E per comodo sentiero Amerai spronarlo al corso.
lo lo so, Fille mia bella, Che sai starvi salda e immota; Ma pur bada che da sella Un di a terra non ti scuota: Altre ninfe io vidi ancora Pregio far di pari ardire; Ma pentirsi poi talora Dell'incauto lor desire.
Non curarti di un piacere,
Se il periglio l'accompagna; Chè piacer puoi sempre avere Più sicuro alla campagna.
Potrai tender or le reti, Or la pania agli augelletti Entro i taciti segreti, Amenissimi boschetti;
E ancor vivi e svolazzanti Di tua man li prenderai : Così tanti cori e tanti Ne' tuoi lacci cader fai. Vedrai gli agili levrieri Far balzar da cespo a vepre, E per torti aspri sentieri Inseguir timida lepre:
Finchè al colpo fulminante Dell'esperto cacciatore Ferma il corso in un istante, Cade al suol, palpita e muore.
O del fiume in su la sponda Puoi tentar se a te riesce Col gettar l'amo nell'onda, Ingannar l'ingordo pesce.
Nè a te mai verrà d'intorno Rio pensier, cura mordace, Di quel placido soggiorno A turbar la bella pace.
Fra campagne apriche amene Si dilata e s'apre il core; Più lo spirto agil diviene, Ed acquista più vigore.
Cosi tu potrai godere Dell' Autunno i di felici; Cosi ognor gioia e piacere Piova in te dagli astri amici!
CONTRAFFACENDO IL SISTEMA DELLA PRIMA COSTITUZIONE FRANCESE, MOSTRANDONE COGLI ESEMPI L'ASSURDITA.
RAGIONAR Fille non ama Che de' TORBIDI di Francia; Pesa ogni ATTO, ogni PROCLAMA Sovra critica bilancia.
E discute ogni decreto, Se è giovevole o nocivo, Se al sovran competa il VETO ASSOLUTO O SOSPENSIVO;
Se a ciascun suo proprio DRITTO, Tanto all'uoм che al CITTADINO,
Sia ben fisso e ben prescritto Dal congresso parigino;
E ognor va con importanza Calcolando i beni e i mali Che produr dee l'adunanza Degli STATI GENERALI :
E le tenere parole
Che spandean dolcezza e gioia, Proferire or più non suole, O di udirne infin si annoia. Ond' io, mentre le ragiono, I contrasti evito e schivo; E perciò le parlo in tuono Allegorico o allusivo.
Fille mia, talor le dico, Da più di bolle il FERMENTO; Nel tuo regno, io tel predíco, Seguir dee gran cangiamento. L'ASSEMBLEA Convocherassi Degli amanti disgustati, E per TESTE, e non per CLASSI, I SUFFRAGI saran dati:
E si pensa seriamente Sovra un più vero APPRENSIVO Di fissar un PERMANENTE NUOVO PIAN CONSTITUTIVO. Di por fine è tempo omai, O DISPOTICA mia Fille, All' ABUSO che tu fai Del poter di tue pupille : Abbian pur que' sguardi tuoi I POTER LEGISLATIVO, Ma è dover che resti a noi Il POTER ESECUTIVO.
Non si lasci il freno sciolto, Ne convengo, o Fille anch'io, All'audace, ed allo stolto DEMOCRATICO desío.
Tolga il Ciel che la licenza
De' distretti e de' quartieri Giunga a scuoter la decenza Degli estrinseci doveri :
Ma non vuolsi in tuono enfatico Veder pompa di rigore, O che orgoglio ARISTOCRATICO S'impossessi del tuo core:
E che stretti fra i tuoi servi, Ad un cenno di tue ciglia, Quai prigioni ci riservi Quasi dentro una BASTIGLIA.
Nè rischiar si vuol che sdegno Ci conduca o rabbia interna, Per sottrarci a giogo indegno, Disperati a una LANTERNA.
È dovere, o Fille mia, Che tu eserciti, conservi Moderata MONARCHIA
Sui tuoi fidi amanti e servi.
Ed acciò ch'abbia a valere Qualunqu' ATTO O MOZIONE, Déi con LIBERO VOLERE Porvi pria la SANZIONE.
L'ASSEMBLEA de' tuoi amanti Porrà tutto in equilibrio ; Nè sarai d'ora in avanti Téma al pubblico ludibrio.
Riterrai l'ALTO COMANDO, Ma con modi più soavi, Sovra i LIBERI regnando, E non più sovra gli SCHIAVI.
E ciascuno, in questa forma Ripartito il male e il bene, Per si provvida RIFORMA Avrà ciò che gli appartiene.
Poi l'onor dando a te stessa Di tal EPOCA felice,
Ti diranno della OPPRESSA LIBERTA RISTORATRICE.
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