Nè rimarravvi che uno stuol mendico LISANDRO. E l'accettarla e il ricusarla a tutta Tua scelta l'abbandono. ARISTODEMO. Udirne i patti Pria d'ogni altro conviensi. LISANDRO. Eccoli, e brevi. Anféa darete e il Taïgeto, e in Limna Più non verrete a celebrar le feste. ARISTODEMO. Il primo accetto ed il secondo patto; Il terzo lo ricuso, e ragion chieggo Perchè di Limna i sacrifici escludi, E di quel Nume protettor ne privi. LISANDRO. Fra i conviti limnéi scoppiò la prima Favilla della guerra, e ad ammorzarla Trent'anni ancora non bastar di sangue. Se non ne viene la cagion rimossa, Scoppierà la seconda. É d'uopo adunque, Or che l'ire tra noi son calde ancora, Comunanza troncar si perigliosa. ARISTODEMO. Con onta del suo nome Aristodemo LISANDRO. E degli errori aggiungi. Io pario ad uomo Dell' umano timor, guarda e sorride, ARISTODEMO. A franco Parlar risponderò franche parole. Si mal finora mi giovȧr gli Dei, Che lodarmi di lor certo non posso. Non gli sprezzo però : molte ho nel cuore Ragion segrete e veementi, ond' io Temer li debba ed adorar. Se alcuna Tu n' hai per confessarli, abbine ancora Per venerarli. Se non l' hai, rispetta Del popolo l'error, tremendo al paro De' Numi stessi, che comanda ai regi, A nessuno obbedisce. E poi lo stesso Vostro esempio mi vaglia. Elide un giorno Dalle olimpiche feste, e tutti il sanno, Esclusi vi volea. Quanto tumulto L'ingiuria non desto? Con quanto d'armi E di sdegni apparecchio alla ripulsa Non v'opponeste? E pur diversa molto Era l'offesa. Un libero suo dritto Elide esercitava in propria sede, E per Nume non suo Sparta pugnava. Ma qui si pugna per li templi avíti, Pe' domestici Dei. Nostro è il terreno, Nostri gli altari; e per serbarli illesi Pugnerem finchè mani avremo e braccia; E, tronche queste, pugnerem co' petti : Chè dove alzar religion si vede Lo stendardo di guerra, si combatte Colla benda sugli occhi, e la pietade, La medesma pietà, rabbia diventa, E pria che il ferro, si depon la vita. Finiam. Se Sparta a vera pace inclina, Sia primo della pace fondamento Lasciarci i nostri Dei. Se lo contrasta, Si torni in guerra. LISANDRO. No; si torni in pace. Mia gloria non ripongo in ostinarmi Nel mio pensier. La debolezza è questa Delle piccole menti; ed io mi credo SCENA PRIMA. No, no. Se eterna l'esistenza fosse, SCENA II. GONIPPO e DETTO. GONIPPO. Signor, questo non è tempo di pianto, All' esultante popolo ti mostra Che dimanda il suo re, che ti sospira, E suo padre ti chiama. ARISTODEMO. Io padre ?... Io l'ebbi Questo nome una volta, e con diletto Lo sentía risonar dentro il cor mio. Or più nol sento. Me lo diè natura Nome si santo, e il mio furor mel tolse. GONIPPO. Non pensarvi più dunque. Ora di cose Nuov' ordine incomincia. ARISTODEMO. E pur del tutto Non averlo perduto mi parea Questo nome adorato, e tornar padre Credei sovente di Cesíra al fianco. O sia che il cor degl' infelici ha sempre Di spandersi bisogno, e facilmente S'abbandona al piacer d'intenerirsi; O sia degli anni già cadenti ed egri Funesta conseguenza; o certa ignota Tenerezza che fammi alta de' figli La mancanza sentire, e si feroce Me ne risveglia il desiderio in petto; O sian diretti da un occulto Dio I palpiti ch'io sento e non intendo; Questo so dirti, che vicino a lei Par che cessi l'orror delle mie pene; E una tacita gioia mi seduce, Che, dolce insinuandosi nell' alma, I rimorsi ne placa, e mi sospinge Dagli abissi del cor sugli occhi Or questa cara illusion tra poco Mi sarà tolta. GONIPPO. pianto. E confondere i volti, e lungamente Mi rammento! ma deh!... ARISTODEMO. Parmi vederla, Parmi sentirla. Oh dio! Tre volte io stetti Per consegnarla, ed altrettante al petto Me la ripresi, e la coprii di baci, Ultimi baci, e piansemi in segreto Il cor presago della rea sventura. Oh! n'avessi l'occulto avvertimento Secondato per tempo! Ita a morire Non saresti così, misera figlia! Ancor vivresti! e la presenza tua Mi renderebbe ancor dolce la vita; Ne sul volto verría d'una Spartana A tormentarmi la tua cara immago, A straziarmi il pensiero! Orsù, Gonippo, Va, compi il mio voler, parta Cesira, Parta, e se puossi ancor, senza vedermi. (Mentre parte Gonippo da un lato, esce dall' altro Cesira.) Ogni diletto È cessato per me. Vedi quel marmo? La mia pace, il mio cor là dentro è chiuso, E quanto al mondo ho di più caro e insieme Di più tremendo. CESIRA. logia, signor, non biasmo Il tuo cordoglio: il vuol natura, è giusto. Ma sull'amato cenere de' figli Eterno scorrerà de' padri il pianto? ARISTODEMO. Io tutto Anche eterno, per me poco saria. De' sudditi l'amor, la gloria, il regno. ARISTODEMO. Che dici? il regno! La più grande è questa CESIRA. La corona regal sovente è premio Pur anche di virtude, e lo fu certo Quando cinse il tuo crine. ARISTODEMO. (Ah! s'interrompa Un parlar che m' uccide.) Assai, Cesíra, |