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TRAGEDIA.

PERSONAGGI.

C. GRACCO.

CORNELIA.

LICINIA.

L. OPIMIO, console.

LIVIO DRUSO, tribuno.
M. FULVIO.

UN LIBERTO di Cajo.
SENATORI.

TRIBUNI.

LITTORI. POPOLO.

La scena è nel Foro e nell' atrio della casa di Gracco, imminente al Foro.

ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

CAJO.

ECCOTI, Cajo, in Roma. lo qui non visto
Entrai protetto dalla notte amica.
Oh patria mia, fa cor, chè Gracco è teco.
Tutto tace dintorno, e in alto sonno
Dalle cure del di prendon riposo
Gli operosi plebei. Oh buoni, oh veri,
Soli Romani! Il vostro sonno è dolce,
Perché fatica lo condisce, è puro,
Perché rimorso a intorbidar nol viene.
Tra il fumo delle mense ebbri frattanto
Gavazzano i patrizi, gli assassini
Del mio caro fratello; o veramente,
Chiusi in congrega tenebrosa, i vili
Stan la mia morte macchinando, e ceppi
Aila romana libertà; nè sanno
Qual tremendo nemico è sopraggiunto.
Or basta: salvo io premo la paterna [dre!
Soglia. Si, questa è la mia soglia. Oh ma-

Oh mia Licinia! oh figlio! A finir vengo
I vostri pianti, e tre gran furie ho meco:
Ira di patria oppressa, amor de' miei,
E vendetta, la terza; sì, vendetta
Della fraterna strage. Entriam. Ma giunge
Qualcun. Foss'egli alcun de' nostri.

SCENA II.

FULVIO con uno SCHIAVO.

FULVIO.

Sgombra

Servo fedele, ogni timor. Compiemmo
Arditamente un' alta impresa: abbiamo
Tolto a Roma un tiranno. Alta del pari
Mercè n' avrai, la libertà. Ma bada:
Sul tuo capo riposa un grande arcano.
Non obbliar che dai silenzio tuo
La mia fama dipende e la tua vita.
Lasciami. - Stolto! alla sua morte ei corre.
M'è necessaria la sua testa. Un troppo
Terribile segreto ella racchiude:
E demenza saria... Ma chi s' appressa?
Son tradito. Chi sei che qui t'aggiri,
Tenebrose spiando i passi altrui ?
Non t'avanzar: chi sei? parla.

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Sul lido ti credea. Come ne vieni? Come dunque ritorni?

CAJO.

lo là spedito

Fui di Cartago a rialzar le mura.
Adempiuto ho il comando ; ed in due lune,
Che fur bastanti a rovesciarla appena,
Da' fondamenti suoi Cartago è sorta.
Incredibile impresa, e minor solo
Del mio coraggio, a cui dièr sprone i tuoi
Frequenti avvisi, e l'istigar che ratto
Qua fosse il mio ritorno. Aver prevalso
L'inimico partito, esser del nostro
Atterrata la forza, ed in periglio
Star le mie leggi e Roma. Io l' opra allora
Precipitai, la consumai; veloce
Mi parto da Cartago; e, benchè irato
Fosse il Tirreno, e minacciosi i venti,
Pure al mar mi commisi, ed improvviso
Qual folgore qui giungo. Or, quale abbiamo
Stato di cose?

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Degno di tali mercatanti! Oh Roma!
Già madrigna tu vendi i generosi
Ai pravi cittadini, e venderai,

Se un giorno trovi il comprator, te stessa.
Oh senato, che un di sembrasti al mondo
Non d'uomini consiglio, ma di Numi,
Ch'altro adesso se' tu che una temuta
Illustre tana di ladroni? Io fremo.

FULVIO.

Freme ogni vero cittadin. Ma questo Di dolor non è tempo e di sospiri ; Tempo è di fatti.

CAJO.

E li farem. Ma pria Le nostre forze esaminiam. Rispondi : Quanti amici, se amici ha la sventura, Nella fede restår ?

FULVIO.

Pochi, ma forti. L'intrepido Carbon già tuo collega Nelle agrarie contese; e Rubrio e Muzio Animosi plebei, possente ognuno Nella propria tribù. Vezio v' aggiungi, E Pomponio e Licinio, alme bollenti Di libertà del par che di coraggio. Di me non parlo; mi conosci. Il resto Rapi seco il rotar della fortuna. Ed ecco tutte del tuo gran naufragio Le onorate reliquie. Oh amico! oh quale Mutamento di cose! Fu già tempo Che, di tutto signor, devoti avesti Popoli e regi al cenno tuo. Dinanzi Ti tremava il senato; riverenti Ti fean corona i cittadini; un detto, Uno sguardo di Cajo, un suo saluto, Un suo sorriso li facea superbi. Ambía ciascuno di chiamarsi amico, Cliente, schiavo di questo felice Idolo della plebe ; e nel vederli Si prostrati, tu stesso vergognavi Di lor viltà, tu stesso. Al fin tramonta La tua fortuna, ed ecco ir tutte in nebbia Le sue splendide larve, ecco disfatto Questo nume terreno, e dagli altari Gittato nella polve.

CAJO.

E che per questo? Nell'ire sue l'avversa sorte a Gracco Non tolse Gracco. Ho tale un cor nel petto, Che ne' disastri esulta; un cor che gode Lottar col fato, e superarlo. Il fato, Credi, è tremendo, perchè l' uomo è vile; Ed un codardo fu colui che primo Un Dio ne fece. Ma perchè tra' nostri

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Ed or da questo or da quel lato spira,
E amor di plebe. Ma scusarla è forza.
Vien da miseria il suo difetto; e molti
Sendo i bisogni, esser dee molta ancora
La debolezza. In suo segreto al certo
Ella ancor t'ama, e il suo sospir l'invía :
Ma il labbro non lo sa. Timidi e muti
Sono i sospiri, ed il pallor del volto
Solo gli accusa, il susurrar tuo nome
Sommessamente, e l'abbassar del ciglio.
Ch' uno non già ne due sono i tiranni,
Ma quanti in Roma abbiam patrizi, e quanti
Opulenti e tribuni. E girne impune
Può ben la tirannia. Vedova é Roma
Della piu fiera gioventù, chè tutta
Fabio la trasse a guerreggiar sul Tago,
E i men forti restâr. Quindi smarrito
Langue ogni spirto; trepida, abbattuta
Geme la plebe; ti desía, ma tace.

CAJO.

[lo,

lo parlar la farò. Lion che dorme
E la plebe romana, e la mia voce
Lo sveglierà: vedrai. A tutto io venni
Già preparato, e, navigando a Roma,
I miei perigli meditai per via.
Mormoravano l'onde; inferocito
Mugghiava il vento, apriasi in lampi il cie-
E tremava il nocchiero. Ed io pensoso
Stavami in fondo all' agitato legno,
Chiuso nel manto, e con lo sguardo basso
In altra assorto più crudel tempesta.
Strette intorno al mio cor tenean consiglio
Fra lor dell' alma le potenze; e Roma

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Perchè non parli ?

[be.

Ti spiega.

CAJO.

Perchè t' arresti ?

FULVIO.

Scusa. Ha qualche volta

I suoi segreti l'amistà.

CAJO.

No, mai La verace amista. Ma, sia qualunque, Rispetto il tuo segreto, e più non chieggo. Dimmi sol, che saperlo assai ne giova, Quale osserva contegno in tanto allare Il mio congiunto Emilian? Che dice?

FULVIO.

Emilian?... Perdona, ogni tuo detto
È una domanda; e della madre ancora,
E della sposa, o Cajo, e del tuo figlio
Nulla inchiedesti?

CAJO.

I pensier primi a Roma : Darò i secondi a mia famiglia. Or dunque, D'Emiliano che sperar ? Marito Di mia sorella...

FULVIO.

Nol chiamar marito,

Ma uiranno.

CAJO.

Lo so che la meschina
Di tal consorte non è lieta.
FULVIO.

E il puote
Esser mai donna che plebea si stringe
A marito patrizio? Egli l'abborre,
E te del pari abborre.

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Per la causa miglior. Queste che calchi
Son le tue soglie. Attender forse io deggio
Che imperversando a violarle venga
Il patrizio furor? V' ha forse asilo
Sacro per queste avare tigri in toga,
Di plebeo sangue sitibonde? Oh figlio!
Tu ne stavi lontano ed io tremava;
Per me non già: la madre tua, lo sai,
Non conosce timor; ma per gli amati
Pegni io tremava de' tuoi sacri affetti,
Per questa donna del tuo cor, pei giorni
Del tuo tenero figlio, in cui mi giova,
Se perir devi, assicurarti un qualche
Vendicator. Perciò m' ascolta. - In tanta
Congiura di malvagi, havvi chi sente
Pietà del nostro iniquo stato, un giusto
Che, patrizio, detesta de' patrizi
Le nere trame, e men porgea l'avviso,
E n' offeriva ne' suoi tetti asilo,
Sicurezza, silenzio. Io di ciò dunque
Sollecita movea, fidando all'ombra
Queste vite a te care. Or che presente
Tusei, cangiato è il mio consiglio, el' alma
Più non mi trema.

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Più tacermi non so. - Donna, tu prendi
Sconsigliata difesa, e sul tuo labbro
Duro è la lode udir d'un cittadino,
Grande sì, ma tiranno. A chi fidavi
Tu de' Gracchi la vita? Ad uno Scipio?
Ed uno Scipio non fu quel che fece
Te vedova d'un figlio? Oh degli Scipi
Orgogliosa despotica famiglia,
D'alme grandi feconda e di tiranni!
Oh Cornelia! tu sei famoso seme
Di questa schiatta, e tu la plebe adori?

CORNELIA.

Cajo, chi è questo temerario?

FULVIO.

Appella Qual più ti piace il ragionar mio franco; Marco Fulvio son io.

CORNELIA.

Sei Fulvio, ed osi Voce alzar me presente? E ancor non sai Che ammutir deve ogni ribaldo in faccia Alla madre de' Gracchi? Tu mal scegli, Cajo, gli amici, e d'onor poca hai cura. Di tua sorella, sappilo, costui Insidia la virtù. Quindi la soglia Il tuo cognato gli precluse; e quindi L'altr'ier le stolte sue minacce, ed ora Le ancor più stolte sue calunnie. Oh figlio! Che di comune hai tu con un siffatto Malvagio? Un Gracco con un Fulvio!

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