Che parli tu, e con chi? Non hai pudore, SCENA PRIMA. OPIMIO e DRUSO. DRUSO. Il primo raggio appena al Palatino Figlio, vien meco. SCENA IV. Tu mi togliesti un consolato, e un Fannio Mi preponesti. Oh mia vergogna! un Fannio. Ma, tuo malgrado, questa che mi copre POPOLO DENTRO LA SCENA. Viva Gracco. OPIMIO. Tripudia, esulta, sfógati, Stolida plebe, generata in seno Alla paura imparerai tra poco A tacer. OPIMIO e GRACCO. OPIMIO. A che mi guardi, e in atto Di stupor ti soffermi? Non ravvisi Lucio Opimio ? CAJO. Son tali i tuoi sembianti, Che si fan tosto ravvisar. Ma dove OPIMIO. Ti dirà dunque ch'io son tuo nemico, CAJO. Vuoi tu tradirmi innanzi tempo? OPIMIO. SCENA III. GRACCO, POPOLO & DETTO. POPOLO. Viva Gracco. Onore a Gracco. UNO DEL POPOLO. Morte ai patrizi. CAJO. A nessun morte, S'io Gracco vi son caro, ognun ritorni La giuro. OPIMIO, Tra noi tu vedi in due Roma divisa : Per cni vindice sorgo, è quella causa Più che senno mortal di Fabio e Scipio, CAJO. E Opimio ardisce Con questi vili pareggiar me Gracco? Me?... OPIMIO. Tumanchi d'onor, se manchi a' tuoi Giuramenti. Tu devi, e lo pretendo, Ascoltarmi e tacer. Quando fia tempo Risponderai. - Non io con sì vil turba Ti paragono, io no. Gente fu quella D'ignominia vissuta e di misfatti, Che protestando di vegliar sul sacro Del popolo interesse, fu del popolo Prima ruina, ed istrumento fece La miseria di lui di sua perversa Ambizion. Tu, inclito nepote Del maggior Scipio e di Cornelia figlio, Un cor tu porti generoso e degno Dell'origine tua. Tu il popol ami, Non per te stesso, ma per lui: lo veggo, Non lo contrasto. Ma che oprâr di strano Quei malvagi e di rio, che con più danno E tu fatto non l'abbia? tu de' tristi Sostegno eterno, tu che tutto ardisci, Non ancor, sta cheto; Non rompere i miei detti. Ad isfogarti T'avrai quanto vuoi tempo.- lo qui non voUno per uno memorar gl' insani [glio Tuoi plebisciti, e come per lor giace Vilipesa, prostrata la suprema Maestà del senato. Io non vo' dirti A che mani togliesti, e a quai fidasti Le bilance d'Astrea. Taccio le tue Di scandalo feconde e di tumulti Frumentarie Calende; il sacro io taccio Di roman cittadino augusto dritto Per tutta Italia prostituto; e a cui? A gente che pur anco il solco porta Delle nostre catene. Io di ciò tutto Non vo' far piato. Ma, tacer poss' io De' tuoi delirj il più funesto? Io dico L'Agraria, eterno doloroso fonte Delle risse civili, e forse un giorno Della romana libertà la tomba. E tu dal sonno in che giacea sepolta Questa legge fatal, tu, forsennato, La provocasti! E adulator di plebe, Querula sempre, nè satolla mai, Tu per costei del pubblico riposo Ti fai nemico? per costei? Ne il fato, Anzi neppur l'infamia ti sgomenta Di Genuzio, di Melio e Viscellino, Tuoi precursori in si nefanda impresa? E che dico di questi? Il tuo fratello Perchè giacque? CAJO. Perchè de' giusti è fatto Carnefice il senato. OPIMIO. Punitore Delle colpe è il senato. E nondimeno OPIMIO. Io taccio. CAJO Contra il ciel, contra me le tue proscritte Tribunizie follie? T'inganni. E fisso Che le tue leggi perano. Tu stesso Perirai, se t'opponi: io son che il dico. Se di tua vita non ti cal, ti caglia Della tua fama, cagliati di Roma, Che di sangue civile un' altra volta, Se non fai senno, si vedrà vermiglia. Ciò mi mosse, e null' altro, a favellarti. Or che aperto conosci il mio pensiero, Fa ch'io del pari il tuo conosca; e parla. CAJO. Orator del senato, e de' superbi Ricchi malvagi, che si noman Grandi, Vuoi tu risposta? Io la darotti, e breve.Di patria l'odo ragionar. Non chieggo Se n' hai veruna, e se la merti, quando Per te il senato è tutto, il popol nulla. Ben io ti dico, che mia patria è quella Che nel popolo sta. Piace agli Dei Del senato la causa ? A Gracco piace La causa della plebe. E vuoi saperne Lo perchè? Perchè il fasto, l'alterezza, L'ira, la gola, l'avarizia e tutta La falange de' vizi e delle colpe È vostra tutta quanta; e star non puote La libertà, la pubblica salute Con si vil compagnía. Ma non vo❜teco Perder tempo e parole. - Tu se' grande, Tu se' vero patrizio, e non m'intendi. Non vantarmi i Camilli ed i Fabrizi: Imitali piuttosto, e mi vedrai Caderti al pie per adorarti. Quanto Alle mie leggi, che tu inique appelli, Tu senator, tu console, tu parte, Giudice acconcio non ne sei. De' grandi La tirannía ne freme; e ciò m'avvisa Che giuste fùro e necessarie e sante. OPIMIO. Altra risposta non mi dai? DRUSO. Ecco Cornelia. Il turbato suo volto assai ne dice Che il fiero caso l'è già noto. |