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Che parli tu, e con chi? Non hai pudore,
Non hai virtude, e libero ti chiami?
Zelo di libertà, pretesto eterno
D'ogni delitto! Frangere le leggi
Impunemente, seminar
per tutto
Il furor delle parti, e con atroci
Mille calunnie tormentar qualunque
Non vi somiglia; insidïar la vita,
Le sostanze, la fama; anco gli accenti,
Anco i pensieri incatenar; poi lordi
D'ogni sozzura predicar virtude,
Carità di fratelli, attribuirvi
Titol di puri cittadini, e sempre
Sulle labbra la patria, e nel cor mai;
Ecco l'egregia, la sublime e santa
Libertà de' tuoi pari, e non de' Gracchi,
Libertà di ladroni e d'assassini.

SCENA PRIMA.

OPIMIO e DRUSO.

DRUSO.

Il primo raggio appena al Palatino
Illumina le cime, e già pel Foro
Move senza littor, privato e solo
Il console di Roma? In questo giorno,
A te giorno d'onor, di scorno a Gracco,
Di trionfo al senato, ogni pupilla
In Opimio è conversa. A lui confida
Umil la plebe il suo destino, i grandi
La lor fortuna, il suo riposo Roma,
Di contese già sazia: ed ei qui stassi
Inoperoso? e il dirò pur, se lice,
Dimentico d' altrui e di sè stesso?

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Figlio, vien meco.

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SCENA IV.

Tu mi togliesti un consolato, e un Fannio Mi preponesti. Oh mia vergogna! un Fannio.

Ma, tuo malgrado, questa che mi copre
Gli omeri e il petto, è la negata invano
Porpora consolar. Gli sdegni alfine
Più non sono impotenti, ma di forza
Vestiti e d'alta autorità. Tu hai
Una vita, e io la voglio. - Ancor per poco
Statti chiuso nel petto, o mio disdegno.
L'ora s'appressa... Ma, venir già veggo
Fervid' onda di plebe, ed orgoglioso
Fra gli applausi avanzarsi il mio nemico.

POPOLO DENTRO LA SCENA.

Viva Gracco.

OPIMIO.

Tripudia, esulta, sfógati, Stolida plebe, generata in seno Alla paura imparerai tra poco A tacer.

OPIMIO e GRACCO.

OPIMIO.

A che mi guardi, e in atto Di stupor ti soffermi? Non ravvisi Lucio Opimio ?

CAJO.

Son tali i tuoi sembianti,

Che si fan tosto ravvisar. Ma dove
Nol potesse lo sguardo, il cor che freme
Alla tua vista, mi diría chi sei.

OPIMIO.

Ti dirà dunque ch'io son tuo nemico,
E securo abbastanza il cor mi sento
Per affermarlo, e non temerti. - Or dunque
Che tutto mi conosci, odi e rispondi.

CAJO.

Vuoi tu tradirmi innanzi tempo?

OPIMIO.

SCENA III.

GRACCO, POPOLO & DETTO.

POPOLO.

Viva Gracco. Onore a Gracco.

UNO DEL POPOLO.

Morte ai patrizi.

CAJO.

A nessun morte,
amati
Miei fratelli, a nessuno. Io qui non miro
Che romani sembianti; e se qualch' alma
Non è romana, vi son leggi; a queste
Il giudicar lasciate ed il punire.
Popolo ingiusto è popolo tiranno,
Ed io l'amore de' tiranni abborro.

S'io Gracco vi son caro, ognun ritorni
A sue faccende, ognun riprenda in pace
Le domestiche cure. Ancor lontana
Dell' adunanza convocata è l'ora.
Tosto che giunga, io qui v'aspetto, e tutti.
Fia quello il tempo di spiegar la vostra
Alta, tremenda maestà.

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La giuro.

OPIMIO,

Tra noi tu vedi in due Roma divisa :
Tu libera la brami, ed io la bramo.
Uno è lo scopo, ma diverso è il mezzo :
E noi calchiam si opposte vie, che l'una
Certo è fallace, ed a ruina debbe
Più che a salvezza riuscir. Chi dunque,
Chile nuoce di noi? fors' io? ma guarda
E giudica. - Qui siamo, io del senato,
Tu della plebe difensor. La causa,

Per cni vindice sorgo, è quella causa
Per cui Giove tonar dalla Tarpea
Rupe palese i nostri padri udiro;
Per cui pugnâr Fabrizio e Cincinnato,
E Papirio e Camillo, ed il divino

Più che senno mortal di Fabio e Scipio,
E quanti, in somma, sollevaro al cielo
La romana potenza, e nascer fêro.
Tra' barbari sospetto che disceso
Fosse il concilio de' Celesti in terra,
E sedesse e parlasse, e nella piena
Sua maestade governasse il mondo
Nel senato latino. - Ecco il partito
A cui, romano cittadin, m' appresi,
Il partito de' saggi e degli Dei.
Qual ti scegliesti or tu? Quello scegliesti...
Non accigliarti, non turbarti, osserva
La tua parola. - Tu scegliesti quello
Della rivolta, del furor civile;
Di quel furor che tra i tumulti un giorno
Del Monte Sacro partorir si vide
L'onta eterna di Roma, il tribunato.
Ecco il cammino che tu calchi. E quali
Illustri esempli nella tua carriera
Ti proponi? Un Sicinio, un Terentillo,
Un Trebonio, un Genuzio, un Canuleio,
Un Rabuleio, e quella tanta ciurma
Di Rutilj, d'Icilj e di Petilj,
Alme tutte di fango, e vitupero
Del gran nome romano.

CAJO.

E Opimio ardisce Con questi vili pareggiar me Gracco? Me?...

OPIMIO.

Tumanchi d'onor, se manchi a' tuoi Giuramenti. Tu devi, e lo pretendo, Ascoltarmi e tacer. Quando fia tempo Risponderai. - Non io con sì vil turba Ti paragono, io no. Gente fu quella D'ignominia vissuta e di misfatti, Che protestando di vegliar sul sacro Del popolo interesse, fu del popolo Prima ruina, ed istrumento fece La miseria di lui di sua perversa Ambizion. Tu, inclito nepote Del maggior Scipio e di Cornelia figlio, Un cor tu porti generoso e degno Dell'origine tua. Tu il popol ami, Non per te stesso, ma per lui: lo veggo, Non lo contrasto. Ma che oprâr di strano Quei malvagi e di rio, che con più danno E tu fatto non l'abbia? tu de' tristi Sostegno eterno, tu che tutto ardisci,

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Non ancor, sta cheto; Non rompere i miei detti. Ad isfogarti T'avrai quanto vuoi tempo.- lo qui non voUno per uno memorar gl' insani [glio Tuoi plebisciti, e come per lor giace Vilipesa, prostrata la suprema Maestà del senato. Io non vo' dirti A che mani togliesti, e a quai fidasti Le bilance d'Astrea. Taccio le tue Di scandalo feconde e di tumulti Frumentarie Calende; il sacro io taccio Di roman cittadino augusto dritto Per tutta Italia prostituto; e a cui? A gente che pur anco il solco porta Delle nostre catene. Io di ciò tutto Non vo' far piato. Ma, tacer poss' io De' tuoi delirj il più funesto? Io dico L'Agraria, eterno doloroso fonte Delle risse civili, e forse un giorno Della romana libertà la tomba. E tu dal sonno in che giacea sepolta Questa legge fatal, tu, forsennato, La provocasti! E adulator di plebe, Querula sempre, nè satolla mai, Tu per costei del pubblico riposo Ti fai nemico? per costei? Ne il fato, Anzi neppur l'infamia ti sgomenta Di Genuzio, di Melio e Viscellino, Tuoi precursori in si nefanda impresa? E che dico di questi? Il tuo fratello Perchè giacque?

CAJO.

Perchè de' giusti è fatto

Carnefice il senato.

OPIMIO. Punitore

Delle colpe è il senato. E nondimeno
Mai causa più perversa ebbe un più puro
Proteggitor. Si: la virtù difese
L'iniquità; ma pur soggiacque. E allora
Fu manifesto che in contrario tutti
Congiurati di Roma eran gli Dei.
Perocchè il solo che potea far giusta
Si ingiusta causa e meritar perdono,
Dal fulmine del ciel fu tocco anch'esso.
Dopo un cotanto esempio, che pretendi
Tu mal cauto? che speri? A che lasciasti
Di Cartago le sponde? a che venisti,
Misero? a sostener contra il senato,

OPIMIO.

Io taccio.

CAJO

Contra il ciel, contra me le tue proscritte Tribunizie follie? T'inganni. E fisso Che le tue leggi perano. Tu stesso Perirai, se t'opponi: io son che il dico. Se di tua vita non ti cal, ti caglia Della tua fama, cagliati di Roma, Che di sangue civile un' altra volta, Se non fai senno, si vedrà vermiglia. Ciò mi mosse, e null' altro, a favellarti. Or che aperto conosci il mio pensiero, Fa ch'io del pari il tuo conosca; e parla.

CAJO.

Orator del senato, e de' superbi Ricchi malvagi, che si noman Grandi, Vuoi tu risposta? Io la darotti, e breve.Di patria l'odo ragionar. Non chieggo Se n' hai veruna, e se la merti, quando Per te il senato è tutto, il popol nulla. Ben io ti dico, che mia patria è quella Che nel popolo sta. Piace agli Dei Del senato la causa ? A Gracco piace La causa della plebe. E vuoi saperne Lo perchè? Perchè il fasto, l'alterezza, L'ira, la gola, l'avarizia e tutta La falange de' vizi e delle colpe È vostra tutta quanta; e star non puote La libertà, la pubblica salute Con si vil compagnía. Ma non vo❜teco Perder tempo e parole. - Tu se' grande, Tu se' vero patrizio, e non m'intendi. Non vantarmi i Camilli ed i Fabrizi: Imitali piuttosto, e mi vedrai Caderti al pie per adorarti. Quanto Alle mie leggi, che tu inique appelli, Tu senator, tu console, tu parte, Giudice acconcio non ne sei. De' grandi La tirannía ne freme; e ciò m'avvisa Che giuste fùro e necessarie e sante.

OPIMIO.

Altra risposta non mi dai?

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DRUSO.

Ecco Cornelia. Il turbato suo volto assai ne dice Che il fiero caso l'è già noto.

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