zienza della fatica, audacia di animo, incredi bile scaltrezza d'ingegno, e maniere quanto subdole, altrettanto attraenti e pericolose; le quali in quel tempo desiderate e fortunate prerogative gli guadagnarono la confidenza di parecchi individui dell' Assemblea, fra cui ricordava particolarmente Biron e Brissot. Ebbe inoltre la considerazione del generale Dumourier, che il fè nominare Segretario di Legazione alla reale corte di Napoli. Di là venne a Roma per propagarvi segretamente le massime della libertà francese; ma una tale imprudenza gli costò la vita; poichè nella notte del 13 gennajo 1793 fu assalito co' sassi dal popolazzo, e rifuggitosi in una casa venne inseguito, e ricevette nel ventre una pugnalata, per cui dopo 34 ore morì, non senza sentimenti da Cristiano; detestando inoltre l' insulto fatto alla Religione e al Pontefice, e spesso ripetendo: je meurs la victime d'un fou. Anche la moglie ed un figlio di lui sarebbero miseramente periti in quella turbolenza, se la pietà e provvi denza del glorioso Pio VI. non gli avesse fatti porre in salvo dal furore del popolo. La sua età, a giudicarla dal volto, non poteva oltrepassare gli anni quaranta. Quando, per conformarsi alla volontà del padre, intraprese la carriera ecclesiastica obbedì a condizione di non essere forzato a legarsi negli ordini sacri prima dei trent'anni : il che poi non fece nè di trenta, ne dopo. Per lo che è falso ch' ei fosse sacerdote e curato, siccome alcuni han creduto. Libero di prese moglie nel primo anno della Rivolu zione, e n'ebbe il figlio già detto, che egli stesso morendo raccomando nel suo testamento all'amico Brissot, e ad uno dei due Americani, dei quali abbiamo più sopra parlato. Fra le opere sue Ugo Basseville lasciò ancora manoscritte alcune Memorie segrete intorno la Corte di Berlino. CANTO PRIMO. GIA vinta dell'Inferno era la pugna, L'anima d'Ugo alla seconda vita [se: Che contro Dite a conquistarla tolse. E, Salve, disse, o spirto fortunato, Salve, sorella del bel numer' una, Cui rimesso è dal Cielo ogni peccato. Non paventar; tu non berrai la bruna Onda d'Averno, da cui vôlta è in fuga Tutta speranza di miglior fortuna. Ma la giustizia di lassù, che fruga, Severa e in un pietosa in suo diritto, Ogni labe dell' alma ed ogni ruga, Nel suo registro adamantino ha scritto, Che all'amplesso di Dio non salirai, Finchè non sia di Francia ulto il delitto. Le piaghe intanto e gl'infiniti guai, Di che fosti gran parte, or per emenda Piangendo in terra e contemplando anE supplicio ti fia la vista orrenda [drai. Dell' empia patria tua, la cui lordura Par che del puzzo i firmamenti offenda; Si che l'alta vendetta è già matura, Che fa dolce di Dio nel suo segreto L'ira ond'è colma la fatal misura. Così parlava; e riverente e cheto Abbassò l'altro le pupille, e disse: Giusto emite, o Signor, è il tuo decreto. Poscia l'ultimo sguardo al corpo aflisse Già suo consorte in vita, a cui le vene Sdegno di zelo e di ragion trafisse; Dormi in pace, dicendo, o di mie pene Caro compagno, infin che del gran die L'orrido squillo a risvegliar ti viene. Lieve intanto la terra, e dolci e pie Ti sian l'aure e le pioggie, ea te non dica Parole il passeggier scortesi e ric. Oltre il rogo non vive ira nemica, E nell'ospite suolo ov'io ti lasso, Giuste son l' alme, e la pietade è antica. Torse, ciò detto, sospirando il passo Quella mest' Ombra, e alla sua scorta dietro Con volto s'avvio pensoso e basso; Di ritroso fanciul tenendo il metro, Quando la madre a' suoi trastulli il fura, Che il piè va lento innanzi, e l'occhio indietro. Già di sua veste rugiadosa e scura Copria la notte il mondo, allor che diero Quei duo le spalle alle Romulee mura. E nel levarsi a volo, ecco di Piero Sull' altissimo tempio alla lor vista Un Cherubino minaccioso e fiero (1), Un di quei sette che in argentea lista Mirò fra i sette candelabri ardenti Il rapito di Patmo Evangelista. Rote di fiamme gli occhi rilucenti, E cometa che morbi e sangue adduce Parean le chiome abbandonate ai venti. Di lugubre vermiglia orrida luce Una spada brandía, che da lontano Rompea la notte, e la rendea più truce; E scudo sostenea la manca mano Grande così, che da nemica offesa Tutto copría coll' ombra il Vaticano: Com' aquila che sotto alla difesa Di sue grand' ali rassicura i figli Che non han l'arte delle penne appresa; E mentre la bufera entro i covigli Tremar fa gli altri augei, questi ariposo Stansi allo schermo de' materni artigli. Chinarsi in gentil atto ossequioso Oltre volando i due minori Spirti Dell'alme chiavi al difensor sdegnoso. Indi, veloci in men che nol so dirti, Giunsero dove gemebondo e roco Il mar si frange tra le Sarde sirti. Ed al raggio di luna incerto e fioco Vider spezzate antenne, infrante vele (2) Del regnator Libeccio orrendo gioco, E sbattuti dall' aspra onda crudele Cadaveri e bandiere; e disperdea L'ira del vento i gridi e le querele. Sul lido intanto il dito si mordea La temeraria Libertà di Francia, Che il cielo e l'acque disfidar parea. Poi del suo ardire si battea la guancia, Venir mirando la rival Bretagna A fulminarle dritta al cor la lancia: E dal silenzio suo scossa la Spagna Tirar la spada anch' essa, e la vendetta Accelerar d'Italia e di Lamagna. Mentre il Tirren, che la gran preda aspetta, Già mormora, e si duol che la sua spuma Ancor non va di Franco sangue infetta: E l'ira nelle sponde invan consuma, Di Nizza inulto rimirando il lutto (3), Ed Oneglia che ancor combatte e fuma. Allor che vide la ruina e il brutto Oltraggio la Francese anima schiva, Non tenne il ciglio per pietade asciutto. Ed il suo fido condottier seguiva Vergognando e tacendo, infin che sopra Fur di Marsiglia alla spietata riva. Di ferità, di rabbia, orribil opra Ei vider quivi, e Libertà che stolta Starsi una croce col divin suo peso (4) E a piè del legno redentor disteso D'alma e di sangue (e l'accenno), per cui A gittar strascinato (ahi! parlo, o tacDe'ribaldi il capestro al mio Signore ; Di man mi cadde l'esecrato laccio, E rizzarsi le chiome, e via per l'ossa Correr m' intesi e per le gote il ghiaccio. Di crudi colpi allor rotta e percossa Mi sentii la persona, e quella croce Fei del mio sangue anch'io fumante e rossa: Mentre a Lui, che quaggiù manda veloce Al par de' sospir nostri il suo perdono, Il mio cor si volgea, più che la voce. Quind' ei m' accolse Iddio clemente e buono ; Quindi un desir mi valse il Paradiso, Quindi beata eternamente io sono. Mentre l'un si parlò, l'altro in lui fiso Tenea lo sguardo, e si piangea che un velo Le lagrime gli fean per tutto il viso ; Simigliante ad un fior che in su lo stelo Di rugiada si copre in pria che il Sole Co'raggi il venga a colorar dal cielo. Poi gli amplessi mescendo e le parole, De' proprii casi il satisfece anch'esso, Siccome fra cortesi alme si suole. E questi, e l'altro, e il Cherubino appresso Adorando la croce, e nella polve In devoto cadendo atto sommesso, Di Dio cantaro la bontà, che solve Lerupi in fonte, ed ha si larghe braccia, Che tutto prende ciò che a lei si volve. Sollecitando poscia la sua traccia L'alato duca, l'Ombre benedette Si disser vale, e si baciaro in faccia. Ed una si rimase alle vedette, Ad aspettar che su la rea Marsiglia Sfreni l'arco di Dio le sue saette. Sovra il Rodano l'altra il vol ripiglia, Lascio l'irresoluta e stupid' onda (7) D' Arari a dritta, e Ligeri a mancina Disdegnoso del ponte e della sponda. Indi varca la falda Tigurina (8), A cui fe' Giulio dell' augel di Giove Sentir la prima il morso e la rapina. Poi Niverno trascorre, ed oltre move (9) Fino alla riva u' d' Arco la donzella Fe' contra gli Angli le famose prove. Di là ripiega inverso la Rocella Il remeggio dell' ali, e tutto mira Il suol che l' Aquitana onda flagella (10). Quindi ai Celtici boschi si rigira Pieni del canto che il chiomato Bardo Sposava al suon di bellicosa lira (11). Traversa Normandia, traversa il tardo Sbocco di Senna, e il lido che si fiede Dalmar Britanno infino al mar Piccardo. Poi si converte ai gioghi onde procede La Mosa, e al piano che la Marna lava, Eorror per tutto, e sangue e pianto vede. Libera vede andar la colpa, e schiava La virtù, la giustizia, e sue bilance In man del ladro e di vil ciurma prava, A cui le membra grave-olenti e rance Traspaiono da' sai sdrusciti e sozzi, Ne fur mai tinte per pudor le guance. Vede luride forche e capi mozzi, Vede piene le piazze e le contrade Di fiamme, d'ululati e di singhiozzi. Vede in preda al furor d'ingorde spade Le caste Chiese, e Cristo in Sacramento Fuggir ramingo per deserte strade. E i sacri bronzi in flebile lamento Giù calar dalle torri, e liquefarsi In rie bocche di morte e di spavento. Squallide vede le campagne, ed arsi I pingui colti ; e le falci e le stive In duri stocchi e in lance trasmutarsi. Odi frattanto risonar le rive, Non di giocondi pastorali accenti, Non d'avene, di zuffoli e di pive; Ma di tamburi e trombe e di tormenti: E il barbaro soldato al villanello Le messi invola e i lagrimati armenti. E invan si batte l'anca il meschinello, Invan si straccia il crin disperso e bianco In su la soglia del deserto ostello: Chè non pago d'avergli il ladron Franco Rotta del caro pecoril la sbarra, I figli, i figli strappagli dal fianco : E del pungolo invece e della marra, D'armi li cinge dispietate e strane, E la ronca converte in scimitarra. All'orbo padre intanto ahi! non rimane Chi la cadente vita gli sostegna, Chi sovra il desco gli divida il pane. Quindi lasso la luce egli disdegna, E brancolando per dolor già cieco Si querela che morte ancor non vegna; Ne pietà di lui sente altri, che l'Eco, Che cupa ne ripete e lamentosa Le querimonie dall'opposto speco. Fremè d'orror, di doglia generosa Allo spettacol fero e miserando La conversa d'UGON alma sdegnosa; E si fe' del color ch'il cielo è, quando Le nubi immote e rubiconde a sera Par che piangano il dì che va mancando E tutta pinta di rossor, com'era, Parlar, dolersi, dimandar volca, Del pensier s'avvisò, dolce alla sua Indignata pietà, chè ancor non hai Nell'immenso suo mar volta la prua. S'or si forte ti duoli, oh! che farai, Quando l'orrido palco, e la bipenne... Quando il colpo fatal... quando vedrai ?... E non fini; che tal gli sopravvenne Per le membra immortali un brividío, Che a quel truce pensier troncò le penSi che la voce in un sospir morío. [ne; CANTO SECONDO. ALLE tronche parole, all'improvviso Dolor che di pietà l'Angel dipinse, Tremò quell' Ombra e si fe' smorta in viE sull'orme così si risospinse [so: Del suo buon duca che davanti andava Pien del crudo pensier che tutto il vinse. Senza far motto il passo accelerava, E l'aria intorno tenebrosa e mesta Del suo volto la doglia accompagnava. Non stormiva una fronda alla foresta, E sol s'udia tra' sassi il rio lagnarsi, Siccome all' appressar della tempesta. Ed ecco manifeste al guardo farsi Da lontano le torri, ecco l'orrenda Babilonia francese approssimarsi. Or qui vigor la fantasía riprenda, E l'Ira e la Pietà mi sian la Musa [da. Che all'alto e fiero mio concetto ascenCurva la fronte, e tutta in sè racchiusa La taciturna coppia oltre cammina, E giunge alfine alla città confusa, Alla colma di vizi atra sentina, A Parigi, che tardi e mal si pente Della sovrana plebe cittadina. Sul primo entrar della città dolente Stanno il Pianto, le Cure, e la Follía Che salta e nulla vede e nulla sente. Evvi il turpe bisogno, e la restía Inerzia colle man sotto le ascelle, L'uno all' altra appoggiati in su la via. Evvi l'arbitra fame, a cui la pelle Informasi dall'ossa, e i lerci denti E la Discordia pazza il capo avvolta Ciurmaglia i Sogni, e le Paure smorte Veglia custode delle meste porte, E le chiude a suo senno e le disscrra L'ancella e insieme la rival di Morte; La cruda, io dico, furibonda Guerra, Che nel sangue s'abbevera e gavazza, E sol del nome fa tremar la terra. Stanle intorno l'Erinni, e le fan piazza, E allacciando le van l'elmo e la maglia Della gorgiera e della gran corazza ; Mentre un pugnal battuto alla tanaglia De' fabbri di Cocito in man le caccia, E la sprona e l'incuora alla battaglia Un'altra Furia di più acerba faccia (1), Che in Flegra già del cielo assalse il muro, E armò di Briareo le cento braccia ; Di Diagora poscia e d'Epicuro (2) Detto le carte, ed or le Franche scuole Empie di nebbia e di blasfema impuro; E con sistemi e con orrende fole Sfida l' Eterno; e il tuono e le saette Tenta rapirgli, e il padiglion del Sole. Come vide le facce maledette Arretrossi d'UGON l'ombra turbata, Che in Inferno arrivar la si credette, E in quel sospetto sospettò cangiata La sua sentenza, e dimandar volea Se fra l'alme perdute iva dannata. Quindi tutta per tema si stringea Al suo conducitor, che pensieroso Le triste soglie già varcate avea. Era il tempo che sotto al procelloso (3) Aquario il Sol corregge ad Eto il morso, Scarso il raggio vibrando e neghittoso; E dieci gradi e dieci avea trascorso Già di quel Segno, e via correndo in quella Carriera, all' altro già voltava il dorso; E compito del di la nona ancella L'officio suo, il governo abbandonava Del timon luminoso alla sorella : Quando chiuso da nube oscura e cava L'Angel coll' Ombra inosservato e queto Nella città di tutti i mali entrava. Ei procedea depresso, ed inquieto Nel portamento, i rai celesti empiendo Di largo ad or ad or pianto segreto; El'Ombra si stupía quinci vedendo Lagrimoso il suo duca, e possedute Quindi le strade da silenzio orrendo. Muto de' bronzi il sacro squillo, e mute L'opre del giorno, e muto lo stridore Dell' aspre incudi e delle seghe argute: Sol per tutto un bisbiglio ed un terrore, Un domandare, un sogguardar sospetto, Una mestizia che ti piomba al core. E cupe voci di confuso affetto, Voci di madri pie, che gl' innocenti Figli si serran trepidando al petto. Voci di spose, che ai mariti ardenti Contrastano l'uscita, e sulle soglie Fan di lagrime intoppo e di lamenti. Ma tenerezza e carità di moglie Vinta è da Furia di maggior possanza, Che dall' amplesso coniugal gli scioglie. Poiché fera menando oscena danza Scorrean di porta in porta allaccendati Fantasmi di terribile sembianza ; De' Druidi i fantasmi insanguinati (4), Che fieramente dalla sete antiqua Di vittime nefande stimolati, A sbramarsi venían la vista obliqua Del maggior de' misfatti, onde mai possa La loro superbir semenza iniqua. Erano in veste d'uman sangue rossa, Sangue e tabe grondava ogni capello, E ne cadea una pioggia ad ogni scossa. Squassan altri un tizzone, altri un flagello Di chelidri e di verdi anfesibene, Altri un nappo di tosco, altri un coltello. E con quei serpi percotean le schiene E le fronti mortali, e fean toccando Con gli arsi tizzi, ribollir le vene. Allora delle case infuriando Uscian le genti, e si fuggia smarrita Da cavalli, da rote e da pedoni; Fu allora il tuo, che di morte vedesti Ed alzata la scure, e al gran misfatto Salir bramosi i manigoldi e presti; Eil tuo buon Rege, il Re più grande, in atto D'agno innocente fra digiuni lupi, Sul letto de' ladroni a morir tratto; E fra i silenzi delle turbe cupi Lui sereno avanzar la fronte e il passo, In vista che spetrar potea le rupi. [so, Spetrar le rupi, e sciorre in pianto un sas Non le Galliche tigri. Ahi! dove spinto Ma piangea il Sole di gramaglia cinto, L'anime che costanti e pellegrine Per la causa di Cristo e di Luigi Lassù per sangue diventar divine. Il duol di Francia intanto e i gran litigi Mirava Iddio dall' alto, e giusto e buono Pesava il fato della rea Parigi. Sedea sublime sul tremendo trono, E sulla lance d'or quinci ponea L'alta sua pazienza e il suo perdono; Dell' iniqua città quindi mettea Le scelleranze tutte ; e nullo ancora Piegar de' due gran carchi si vedea. Quando il mortal giudizio e l'ultim' ora Dell' augusto Infelice alfln v'impose L'Onnipotente. Cigolando allora Traboccâr le bilance ponderose: Grave in terra cozzó la mortal sorte, Balzò l'altra alle sfere, e si nascose. In quel punto al feral palco di morte Giunge Luigi. Eiv'alza il guardo, e viene Fermo alla scala, imperturbato e forte. Già vi monta, già il sommo egli ne tiene, E va si pien di maestà l'aspetto Ch' ai manigoldi fa tremar le vene. E già battea furtiva ad ogni petto (5) La pietà rinascente, ed anco parve Che del furor sviato avría l' elletto. Ma fier portento in questo mezzo apparve : Sul patibolo infame all' improvviso Asceser quattro smisurate larve. [so, Stringe ognuna un pugnal di sangue intri Alla strozza un capestro le molesta, Torvo il cipiglio, dispietato il viso; E scomposte le chiome in su la testa, Come campo di biada già matura, Nel cui mezzo passata è la tempesta. E sulla fronte arroncigliata e scura Scritto in sangue ciascuna il nome avea, Nome terror de' regi e di natura. Damiens l'uno, Ankastrom l'altro dicea (6), E l'altro Ravagliacco; ed il suo scritto Il quarto colla man si nascondea. Da queste Dire avvinto il derelitto Sire Capeto dal maggior de' troni Alla mannaia già facea tragitto. E a quel Giusto simil che fra' ladroni Perdonando spirava, ed esclamando : Padre, Padre, perchè tu m' abbandoni? Per chi a morte lo tragge anch'ei pregando, Il popol mio, dicea, che si delira, E il mio spirto, Signor, ti raccomando. In questo dir con impeto e con ira Un degli spettri sospingendo il venne |