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Sia quant' esser si vuole arcana e grande,
Ti spaventi giammai. Se cosa udisti
O leggesti al mattino, onde tu possa
Gloria sperar; qual cacciator che segue
Circuendo la fera, e sì la guida

E volge di lontan, che a poco a poco
S'avvicina a le insidie, e dentro piomba ;
Tal tu il sermone altrui volgi sagace,
Finché la cada, ove spiegar ti giovi
Il tuo novo tesor. Se nova forma
Del parlare apprendesti, allor ti piaccia
Materia espor, che favellando ammetta
La nova gemma; e poi che il punto hai
colto,

Ratto la scopri; e sfolgorando abbaglia
Qual altra è mente, che superba andasse
Di squisita eloquenza a i gran convivii.
In simil guisa il favoloso amante
Dell'animosa vergin di Dordona
A i cavalier, che l'assalien superbi,
Usar lasciava ogni lor possa ed arte;
Poi nel miglior de la terribil pugna
Svelava il don dell'amoroso Mago:
E quei, sorpresi dall' immensa luce,
Cadeano ciechi e soggiogati a terra.
Se alcun di Zoroastro e d'Archimede
Discepol sederà teco a la mensa,
A lui ti volgi; seco lui ragiona;
Suo linguaggio ne apprendi ; e quello poi,
Quas' innato a te fosse, alto ripeti.
Ne paventar quel che l'antica fama
Narro de' suoi compagni. Oggi la diva
Crania il crin compose; e gl' irti alunni,
Smarriti, vergognosi, balbettanti,
Trasse da le lor cave, ove pur dianzi
Col profondo silenzio e con la notte
Tenean consiglio: indi le serve braccia
Fornien di leve onnipotenti, ond' alto
Salisser poi piramidi, obelischi
Ad eternar de' popoli superbi
I gravi casi; o pur con feri dicchi
Stavan contro i gran letti; o di pignone
Audaci armati, spaventosamente
Cozzavan con la piena; e giù a traverso
Spezzate, dissipate rovesciavano
Le tetre corna, decima fatica
D'Ercole invitto. Ora i selvaggi amici
Urania incivili: baldi e leggiadri
Nel gran mondo li guida, o tra'l clamore
De' frequenti convivii, o pur tra i vezzi
De' gabinetti, óve a la docil Dama,
E al saggio Cavalier mostran qual via
Venere tenga; e in quante forme o quali
Suo volto lucidissimo si cambii.

Ne del Poeta temerai, che beffi
Con satira indiscreta i detti tuoi,
Nè che a maligne risa esponer osi
Tuo talento immortal. Voi l'innalzaste
All' alta mensa; e tra la vostra luce
Beato l'avvolgeste; e de le Muse
A dispetto e d'Apollo, al sacro coro
L'ascriveste de' Vati. Egli'l suo Pindo
Feo de la mensa : e guai a lui, se quinci
Le Dee sdegnate giù precipitando
Con le forchette il cacciano! Meschino!
Più non potria su le dolenti membra
Del suo infermo Signor chiedere aita
Da la buona Salute; o con alate
Odi ringraziar, nè tesser inni
Al barbato figliuol di Febo intonso.
Più del giorno natale i chiari albori
Salutar non potrebbe, e l'auree frecce
Nomi-sempiternanti all'arco imporre.
Non più gli urti festevoli, o sul naso
L'elegante scoccar d'illustri dita
Fora dato sperare. A lui tu dunque
Non isdegna, o Signor, volger talvolta
Tu' amabil voce; a lui declama i versi
Del dilicato cortigian d'Augusto,
O di quel, che tra Venere e Liéo
Pinse Trimalcion. La Moda impone,
Ch'Arbitro o Flacco a un bello spirto in-
gombri

Spesso le tasche. Il vostro amico vate
T'udrà, maravigliando, il sermon prisco
Or sciogliere, or frenar, qual più ti piace;
E per la sua faretra, e per li cento
Destrier focosi, che in Arcadia pasce,
Ti giurerà, che di Donato al paro
Il difficil sermone intendi e gusti.

Cotesto ancor di rammentar fia tempo
I novi Sofi, che la Gallia e l'Alpe,
Esecrando, persegue; e dir qual arse
De' volumi infelici, e andò macchiato
D'infame nota; e quale asilo appresti
Filosofia al morbido Aristippo
Del secol nostro; e qual ne appresti al novo
Diogene, dell' auro spregiatore,

E della opinione de' mortali.

Lor volumi famosi a te verranno,
Da le fiamme fuggendo, a gran giornate
Per calle obliquo; e compri a gran tesoro,
O da cortese man prestati, fiéno
Lungo ornamento al tuo speglio innanzi.
Poi che scorsi gli avrai pochi momenti
Specchiandoti, e a la man garrendo in-
dotta

Del parrucchier; poi che t'avran la sera

Conciliato il facil sonno allora A la toilette passeran di quella,

Che comuni ha con te studi e liceo,
Ove, togato, in cattedra elegante
Siede interprete Amor. Ma fia la menşa
Il favorevol loco, ove al Sol esca
De' brevi studi il glorioso frutto.

Qui ti segnalerai co' novi Sofi, Schernendo il fren, che i creduli maggiori Atto solo stimar l'impeto folle

Chi

A vincer de' mortali, a stringer forte
Nodo fra questi, e a sollevar lor speme
Con penne oltre natura alto volanti.
por freno oserà d'almo Signore
A la mente od al cor? Paventi il vulgo
Oltre natura; il debole Prudente
Rispetti il vulgo; e quei, cui dona il vulgo
Titol di Saggio, mediti romito

Il Ver celato; e al fin cada adorando
La sacra nebbia, che lo avvolge intorno.
Ma il mio Signor, com' aquila sublime,
Dietro a i Sofi novelli il volo spieghi.
Perchè più generoso il volo sia,
Voli senz' ale ancor; nè degni 'l tergo
Affaticar con penne. Applauda intanto
Tutta la mensa al tuo poggiare ardito.
Te con lo sguardo e con l'orecchio beva
La Dama, da le tue labbra rapita;
Con cenno approvator vezzosa il capo
Pieghi sovente e il calcolo e la massa
El'inversa ragion sonino ancora
Su la bocca amorosa. Or più non odia
De le scole il sermone Amor maestro;
Ma l'accademia e i portici passeggia
De' filosofi al fianco, e con la molle
Mano accarezza le cadenti barbe.
Ma guardati, o Signor; guardati, oh dio!
Dal tossico mortal, che fuora esala
Da i volumi famosi; e occulto poi
Sa, per le luci penetrato all' alma,
Gir serpendo ne i cori; e con fallace
Lusinghevole stil corromper tenta
Il generoso de le stirpi orgoglio,
Che ti scevra dal vulgo. Udrai da quelli,
Che ciascun de' mortali all' altro è pari;
Che caro a la Natura e caro al Cielo
É, non meno di te, colui che regge
I tuoi destrieri, e quei ch'ara i tuoi campi;
E che la tua pietade e il tuo rispetto
Dovrien fino a costor scender vilmente.
Folli sogni d'infermo! Intatti lascia
Cosi strani consigli; e sol ne apprendi
Quel che la dolce voluttà rinfranca;
Quel che scioglie i desiri; e quel che nutre

La libertà magnanima. Tu questo
Reca solo a la mensa; e sol da questo
Cerca plausi ed onor. Cosi dell'api
L'industrioso popolo, ronzando,
Gira di fiore in fior, di prato in prato ;
E i dissimili sughi raccogliendo,
Tesoreggia nell' arnie: un giorno poi
Ne van colme le pátere dorate
Sopra l'ara de' numi; e d'ogn' intorno
Ribocca la fragrante, alma dolcezza.

Or versa pur dall' odorato grembo
I tuoi doni, o Pomona; e l'ampie cólma
Tazze, che d'oro e di color diversi
Fregio il Sassone industre: il fine è giunto
De la mensa divina. E tu da i greggi,
Rustica Pale, coronata vieni
Di melissa olezzante e di ginebro;
E co' lavori tuoi di presso latte
Vergognando t'accosta a chi ti chiede;
Ma deporli non osa. In su la mensa
Potrien, deposti, le celesti nari
Commover troppo, e con volgare olezzo
Gli stomachi agitar. Torreggin solo
Su' ripiegati lini in varie forme
I latti tuoi, cui di serbato verno
Rassodarono i sali, e reser atti
A dilettar con subito rigore
Di convitato cavalier le labbra.

Tu, Signor, che farai poi che fie posto Fine a la mensa, e che, lieve puntando, La tua Dama gentil fatto avrà cenno, Che di sorger é tempo? In piè d'un salto Balza prima di tutti; a lei t'accosta; La seggiola rimovi; la man porgi; Guidala in altra stanza; e più non soffri, Che lo stagnante de le dapi odore Il célabro le offenda. Ivi con gli altri Gratissimo vapor t'invita, ond' empie L'aria il caffe, che preparato fuma In tavola minor, cui vela ed orna Indica tela. Ridolente gomma Quinci arde intanto; e va lustrando e purga L'aere profano, e fuor caccia del cibo Le volanti reliquie. Egri mortali, Cui la miseria e la fidanza un giorno Sul meriggio guidâro a queste porte; Tumultuosa, ignuda, atroce folla Di tronche membra e di squallide facce E di bare e di grucce, ora da lungi Vi confortate; e per le aperte nari Del divin pranzo il néttare beete, Che favorevol aura a voi conduce. Ma non osate i limitari illustri Assediar, fastidioso offrendo

Spettacolo di mali a chi ci regna.

Or la piccola tazza a te conviene Apprestare, o Signor, che i lenti sorsi Ministri poi de la tua Dama a i labbri ; Or memore avvertir, s'ella più goda, () sobria o liberal, temprar col dolce La bollente bevanda; o se più forse L'ami cosi, come sorbir la suole Barbara sposa, allor che molle assisa Su' broccati di Persia, al suo signore Con le dita pieghevoli 'l selvoso Mento vezzeggia; e la svelata fronte Alzando, il guarda : e quelli sguardi han

possa

Di far, che a poco a poco di man cada
Al suo signore la fumante canna. [scalda
Mentre il labbro e la man v'occupa e
L'odorosa bevanda, altere cose
Macchinerà tua infaticabil mente:
Qual coppia di destrieri oggi de' il carro
Guidar de la tua Dama : o l'alte moli,
Che su le fredde piagge educa il Cimbro;
O quei, che abbeverò la Drava; o quelli,
Che a le vigili guardie un di fuggiro
Da la stirpe Campana. Oggi qual meglio
Si convenga ornamento a i dorsi alteri :
Se semplici e negletti, o se pomposi
Di ricche nappe e variate stringhe
Andran sull' alto collo i crin volando ;
E sotto a cuoi vermigli e ad auree fibbic
Ondeggeranno li ritondi fianchi.

:

Quale oggi cocchio trionfanti al corso
Vi porterà se quel, cui l'oro copre,
O quel, su le cui tavole pesanti
Saggio pennello i dilicati finse

Studi dell' ago, onde si fregia il capo
E il bel sen la tua Dama; e pieni vetri
Di freschissima linfa e di fior varii
Gli diede a trascinar. Cotanta mole
Di cose a un tempo sol nell'alta mente
Rivolgerai; poi col supremo auriga
Arduo consiglio ne terrai, non senza
Qualche lieve garrir con la tua Dama.
Servi le leggi tue l'auriga : e intanto
Altre v'occupin cure. Il gioco puote
Ora il tempo ingannare, ed altri ancora
Forse ingannar potrȧ. Tu il gioco eleggi,
Che due soltanto a un tavoliere ammetta :
Tale Amor ti consiglia. Occulto ardea
Gia di ninfa gentil misero amante,
Cui null'altra eloquenza usar con lei, [so;
Fuore che quella de gli occhi, era conces-
Poi che il rozzo marito, ad Argo eguale,
Vigilava mai sempre; e quasi biscia

Ora piegando, or allungando il collo,
Ad ogni verbo con gli orecchi acuti
Era presente. Ohime! Come con cenni,
O con notata tavola giammai,

O con servi sedotti, a la sua ninfa
Chieder pace ed aita? Ogni d' Amore
Stratagemma finissimo vinceva
La gelosia del rustico marito.
Che più lice sperare? Al tempio ei corre
Del nume accorto, che le serpi intreccia
All' aurea verga, e il capo e le calcagna
D'ali fornisce. A lui si prostra umile;
E in questa guisa, lagrimando, il prega:
O propizio a gli amanti, o buon figliuolo
«De la candida Maja; o tu, che d'Argo
« Deludesti i cent' occhi, e a lui rapisti
«La guardata giovenca: i preghi accetta
« D'un amante infelice; e a me concedi,
«Se non gli occhi ingannar, gli orecchi
almeno

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D'un marito importuno ». Ecco, si scote
Il divin simulacro; a lui si china;
Con la verga pacifica la fronte
Gli percote tre volte : e il lieto amante
Sente dettarsi ne la mente un gioco,
Che i mariti assordisce. A lui diresti,
Che l'ali del suo piè concesse ancora
Il supplicato Dio: cotanto ei vola
Velocissimamente a la sua donna!
La bipartita tavola prepara,

Ov' ebano ed avorio intarsiati
Regnan sul piano, e partono alternando
In dodici magioni ambe le sponde.
Quindici nere d' ebano girelle,
E d'avorio bianchissimo altrettante,
Stan divise in due parti; e moto e norma
Da due dadi gittati attendon, pronte
Ad occupar le case, e quinci e quindi
Pugnar contrarie. Oh cara a la Fortuna
Quella, che corre innanzi all' altre, e seco
Ha la compagna, onde il nemico assalto
Forte sostenga! Oh giocator felice
Chi pria l'estrema casa occupa, e l'altro
De le proprie magioni ordin riempie
Con doppio segno; e quindi poi, securo
Da la falange, il suo rival combatte,
E in proprio ben rivolge i colpi ostili!
Al tavolier s'assidono ambidue,
L'amante cupidissimo e la ninfa :
Quella occupa una sponda, e questi l'altra.
Il marito col gomito s'appoggia
All' un de' lati; ambi gli orecchi tende;
E sotto al tavolier di quando in quando
Guata con gli occhi. Or l'agitar de i dadi

Entro a i sonanti bóssoli comincia;
Ora il picchiar de' hóssoli sul piano;
Ora il vibrar, lo sparpagliar, l'urtare,
Il cozzar de' due dadi; or de le mosse
Pedine il martellar. Torcesi e freme
Sbalordito il geloso: a fuggir pensa;
Ma rattienlo il sospetto. Il romor cresce,
Il rombazzo, il frastono, il rovinio.
Ei più regger non puote; in piedi balza,
E con ambe le man tura gli orecchi.
Tu vincesti, o Mercurio: il cauto amante
Poco disse; e la bella intese assai.

Tal ne la ferrea età, quando gli sposi
Folle superstizion chiamava all'armi,
Giocato fu. Ma poi che l'aureo fulse
Secol di novo, e che del prisco errore
Si spogliaro i mariti, al sol diletto
La Dama e il Cavalier volsero il gioco,
Che la necessità scoperto avea.
Fu superfluo il romor : di molle panno
La tavola vestissi, e de' patenti
Bossoli 'l sen. Lo schiamazzio molesto
Talrintuzzossi; e durò al gioco il nome (1),
Che ancor l'antico strepito dinota.

IL VESPRO.

MA de gli augelli e de le fere il giorno E de' pesci squamosi e de le piante E dell' umana plebe al suo fin corre. Già sotto al guardo de la immensa luce Sfugge l'un mondo; e a berne i vivi raggi Cuba s'affretta e il Messico e l'altrice Di molte perle California estrema; E da' maggiori colli e dall'eccelse Rocche il Sol manda gli ultimi saluti All'Italia fuggente; e par che brami Rivederti, o Signor, prima che l'Alpe Ol'Appennino o il mar curvo ti celi A gli occhi suoi. Altro finor non vide, Che di falcato mietitore i fianchi, Su le campagne tuc piegati e lassi; E su le armate mura or braccia, or spalle, Carche di ferro; e su le aëree capre De gli edificii tuoi man scabre e arsicce; E villan polverosi innanzi a i carri, Gravi del tuo ricolto; e su i canali E su i fertili laghi, irsuti petti

(1) Il Poeta allude al gioco detto il trictrac.

Di remigante, che le alterne merci
A' tuoi comodi guida ed al tuo lusso:
Tutti ignobili aspetti. Or colui veggia,
Che da tutti servito, a nullo serve

Pronto è il cocchio felice. Odo le rote,
Odo i lieti corsier, che all' alma sposa,
E a te suo fido cavalier nodrisce
Il placido marito. Indi la pompa
Allrettasi de' servi; e quindi attende,
Con insigni berretti e argentee mazze,
Candida gioventù, che al corso agogna
I moti espor de le vivaci membra;
E nell' audace cor forse presume
A te rapir de la tua bella i voti.
Che tardi omai? Non vedi tu, com'ella
Gia con morbide piume a i crin leggieri
La bionda, che svani, polve rendette;
E con morbide piume in su la guancia
Fe' più vermigile rifiorir che mai
Le dall' aura predate, amiche rose ?
Or tu, nato di lei ministro e duce,
L'assisti all' opra e di novelli odori
La tabacchiera e i bei cristalli aurati
Con la perita mano a lei rintégra.
Tu il ventaglio le scegli, adatto al giorno,
E tenta poi fra le giocose dita,
Come agevole scorra. Oh qual con lieti,
Ne ber celati a te, guardi e sorrisi,
Plaude la dama al tuo sagace tatto!

Ecco, ella sorge, e del partir dà cenno. Ma non senza sospetti e senza baci A le vergini ancelle il cane affida, Al par de' giochi, al par de' cari figli Grave sua cura e il misero dolente, Mal tra le braccia contenuto e i petti, Balza e guaisce in suon, che al rude vulgo Ribrezzo porta di stridente lima; E con rara celeste melodía Scende a gli orecchi de la Dama e al core. Mentre cosi fra i generosi alietti E le intese blandizie e i sensi arguti E del cane e di se la Bella oblía Pochi momenti, tu di lei più saggio Usa del tempo e a chiaro speglio innante I bei membri, ondeggiando, alquanto libra Su le gracili gambe; e con la destra, Molle verso il tuo sen piegata e mossa, Scopri la gemma, che i bei lini annoda; E in un di quelle, ond'hai si grave il dito, L'invidiato folgorar cimenta: Poi le labbra componi; ad arte i guardi Tempra, qual più ti giova; e a te sorridi. Alfin, tu da te sciolto, ella dal cane, Ambo alfin v' appressate. Ella da i lumi

Spande sopra di te quanto a lei lascia D'eccitata pietà l'amata belva; E tu sopra di lei da gli occhi versi Quanto in te di piacer destò il tuo volto. Tal seguite ad amarvi : e insieme avvinti, Tu a lei sostegno, ella di te conforto, Itene omai de' cari nodi vostri Grato dispetto a provocar nel mondo. Qual primiera sarà, che da gli amati Voi, sul Vespro nascente, alti palagi Fuor conduca, o Signor, voglia leggiadra? Fia la santa Amista, non più feroce, Qual ne' prischi eccitar tempi godea L'un per l'altro a morir gli agresti eroi; Ma placata e innocente al par di questi, Onde la nostra età sorge si chiara, Di Giove alti incrementi. Oh, dopo i tardi De lo specchio consigli, e dopo i giochi, Dopo le mense, amabil Dea! tu insegni, Come il giovin marchese al collo balzi Del giovin conte; e come a lui di baci Legote imprima; e come il braccio annode L'uno al braccio dell'altro; e come insieme Passeggino, elevando il molle mento, E volgendolo in guisa di colomba; E palpinsi e sorridansi e rispondansi Con un vezzoso tu. Tu, fra le dame, Sul mobil arco de le argute lingue I gia pronti a scoccar dardi trattieni, S'altra giugne improvviso, a cui rivolti Pendean di gia: tu fai, che a lei presente Non osin dispiacer le fide amiche; Tu le carche faretre a miglior tempo Di serbar le consigli. Or meco scendi ; Ei generosi ulici e i cari sensi Meco detta al mio eroe; tal che famoso Per entro al suon de le future etadi E a Pilade s'eguagli, e a quel che trasse Il buon Teséo da le Tenarie foci.

Se da i regni, che l'Alpe o il mar divide Dali' Italico lido, in patria or giunse Il caro amico, e da i perigli estremi Surge d'arcano mal, che in dubbio tenne Lunga stagione i fisici eloquenti : Magnanimo garzone, andrai tu forse, Trepido ancora per l'amato capo, A porger voti sospirando? Forse, Con alma dubbia e palpitante, i detti Ei guardi e il viso esplorerai de'molti, Che il giudizio di voi, menti si chiare, Fra i primi assunse d'Esculapio alunni? O di leni origlieri all'omer lasso Porrai sostegno, e vital sugo a i labbri Ourirai di tua mano? O pur, con lieve

Bisso il madido fronte a lui tergendo, E le aurette agitando, il tardo sonno Inviterai a fomentar con l' ali

La nascente salute? Ah! no; tu lascia,
Lascia, che il vulgo di si tenui cure
Le brevi anime ingombri ; e d'un sol atto
Rendi l'amico tuo felice a pieno.

Sai, che fra gli ozii del mattino illustri,
Del gabinetto al tripode sedendo,
Grand' arbitro del bello, oggi creasti
Gli eccellenti nell' arte. Onor cotanto
Basti a darti ragion su le lor menti
E sull' opre di loro. Util ciascuno
A qualch' uso ti tia. Da te mandato
Con acuto epigramma, il tuo poeta
La mentita virtù trafigger puote
D'una bella ostinata; e l'elegante
Tuo dipintor può con lavoro egregio
Tutti dell' amicizia, onde ti vanti,
Compendiar gli ufici in breve carta:
O se tu vuoi, che semplice vi splenda
Di nuda maestade il tuo gran nome;
O se in antica lapide imitata
Inciso il brami; o se, in trofeo sublime
Accumulate, a te mirarvi piace
Le domestiche insegne; indi un lione
Rampicar furibondo; e quindi l'ale
Spiegar l'augel che i fulmini ministra ;
Qua timpani e vessili e lance e spade;
E là scettri e collane e manti e velli,
Cascanti argutamente. Ora ti vaglia
Questa carta, o Signor, serbata all'uopo
Or fia tempo d'usarne. Esca, e con ess
Del caro amico tuo voli a le porte
Alcun de' nunci tuoi : quivi deponga
La téssera beata, e fugga, e torni
Ratto sull' orme tue, pietoso eroe,
Che, già pago di te, ratto a traverso
E de' trivii e del popolo dilegui.
Già il dolce amico tuo, nel cor commosso,
E non senza versar qualche di pianto
Tenera stilla, il tuo bel nome or legge,
Seco dicendo: Oh ignoto al duro vulgo
Sollievo almo de' mali! Oh sol concesso
Facil commercio a noi alme sublimi
E d'affetti e di cure venga il giorno,
Che si grate alternar nobil veci
A me sia dato! Tale, sbadigliando,
Si lascia da la man lenta cadere
L'amata carta; e te, la carta e il nome
Soavemente in grembo al sonno oblía.

Tu fra tanto colà rapido il corso Declinando intraprendi, ove la dâma, Co' labbri desiosi e il premer lungo

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