Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Del ginocchio sollecito, ti spigne
Ad altre opre cortesi. Ella non meno
All' imperio possente, a i cari moti
Dell' amista risponde. A lei non meno
Palpita nel bel petto un cor gentile.

Che fa l'amica sua? Misera! Jeri,
Qual fusse la cagion, fremer fu vista
Tutta improvviso, ed agitar repente
Le vaghe membra. Indomito rigore
Occupolle le cosce, e strana forza
Le sospinse le braccia. Illividiro
I labbri, onde l'Amor l'ali rinfresca;
Enfio la neve de la bella gola;
E celato candor, da i lini sparsi
Effuso, rivelossi a gli ochi altrui.
Gli Amori si schermiron con la benda:
E indietro rifuggironsi le Grazie.
In vano il cavaliere, in van lo sposo
Tento frenarla, in van le damigelle,
Che su lo sposo e il cavalier e lei
Scorrean col guardo; e poi, ristrette in-
sieme,

Malignamente sorrideansi in volto.
Ella, truce guatando, curvò in arco
Duro e feroce le gentili schiene;
Scalpito col bel piede; e ripercosse
La mille volte ribaciata mano
Del tavolier ne le pugnenti sponde.
Livida, pesta, scapigliata e scinta,
Al fin stancò tutte le forze; e cadde
Insopportabil pondo sopra il letto.

Ne fra l'intime stanze, o fra le chiuse
Gemine porte il prezioso evento
Tacque ignoto molt' ore. Ivi la Fama
Con uno il colse de' cent' occhi suoi;
E il bel pegno rapito uscì portando
Fra le adulte matrone, a cui segreto
Dispetto fanno i pargoletti Amori,
Che de la maestà de gli otto lustri
Fuggon, volando a più scherzosi nidi.
Una è fra lor, che gli altrui nodi or cela
Comoda e strigne; or d'ispida virtude
Arma suoi detti; e furibonda in volto
E infiammata ne gli occhi, alto declama,
Interpreta, ingrandisce i sagri arcani
De gli amorosi gabinetti; e a un tempo
Odiata e desiata, eccita il riso
Or co' propri misteri, or con gli altrui.
La vide, la noto, sorrise alquanto
La volatile Dea; disse: Tu sola

Sai vincere il clamor de la mia tromba. Disse, e in lei si muto. Prese il ventaglo, Prese le tabacchiere, il cocchio ascese; E là venne trottando, ove de' Grandi

È il consesso più folto. In un momento
Lo sbadigliar s'arresta; in un momento
Tutti gli occhi e gli orecchi e tutti i labbri
Si raccolgono in lei : ed ella al fine
E ansando, e percotendosi, con ambe
Le mani, le ginocchia, il fatto espone,
E del fatto le origini riposte.
Riser le dame allor, pronte domane
A fortuna simíl, se mai le vaghe
Lor fantasie commoverà negato

Da i mariti compenso a un gioco avverso
O in faccia a lor, per deïtà maggiore,
Negligenza d'amante; o al can diletto
Nata subita tosse: e rise ancora
La tua dama con elle; e in cor dispose
Di teco visitar l' egra compagna.

Ite al pietoso uficio; itene or dunque.
Ma lungo consigliar dûri tra voi,
Pria che a la meta il vostro cocchio arrive.
Se visifar, non già veder l'amica,
Forse a voi piace, tacita a le porte
La volubile rota il corso arresti ;
E il giovanetto messaggier, salendo
Per le scale sublimi, a lei v'annunzii
Si, che voi non volenti ella non voglia.
Ma se vaghezza poi ambo vi prende
Di spiar chi sia seco, e di turbarle
L'anima un poco, e ricercarle in volto
De' suoi casi la serie : il cocchio allora
Entri; e improvviso ne rimbombi e frema
L'atrio superbo. Egual piacere inonda
Sempre il cor de le belle, o che opportune,
O giungano importune a le lor pari.

Gia le fervide amiche ad incontrarse
Volano impazienti; un petto all' altro
Già premonsi, abbracciando; alto le gote
D'alterni baci risonar già fanno;

Già strette per la man, co' dotti fianchi
Ad un tempo amendue cadono a piombo
Sopra il sofa. Qui l'una un sottil motto
Vibra al cor dell'amica; e a i casi allude,
Che la fama narró : quella repente
Con un altro l'assale. Una nel viso
Di bell' ire s' infiamma; e l'altra i vaghi
Labbri un poco si morde: e cresce intanto
E quinci ognor più violento e quindi
Il trepido agitar de i duo ventagli.
Cosi, se mai, al secol di Turpino,
Di ferrate guerriere un paro illustre
Si scontravan per via, ciascuna ambiva
L'altra provar quel che valesse in arme;
E dopo le accoglienze oneste e belle,
Abbassavan lor lance, e co' cavalli
Urtavansi feroci; indi infocate

Di magnanima stizza, i gran tronconi Gittavan via de lo spezzato cerro, E correan con le destre a gli elsi enormi. Ma di lontan per l'alta selva fiera Un messaggier con clamoroso suono Venir s'udiva galoppando; e l'una Richiamare a Re Carlo, o al campo l'altra Del giovane Agramante. Osa tu pure, Osa, invitto Garzone, il ciuffo e i ricci, Si ben finti stamane, all' urto esporre De' ventagli sdegnati; e a nuove imprese La tua bella invitando, i casi estremi De la pericolosa ira sospendi.

Oh solenne a la patria, o all'orbe intero
Giorno fausto e beato, al fin sorgesti
Di non più visto in ciel roseo splendore
A sparger l'orizzonte! Ecco, la sposa
Di rami eccelsi l'inclit' alvo al fine
Sgravo di maschia desiata prole
La prima volta. Da le lucid'aure
Fu il nobile vagito accolto a pena,
Che cento messi a precipizio usciro,
Con le gambe pesanti e lo spron duro
Stimolando i cavalli, e il gran convesso
Dell'etere sonoro alto ferendo

Di scutiche e di corni: e qual si sparse
Per le cittadi popolose, e diede
A i famosi congiunti il lieto annunzio ;
E qual, per monti a stento rampicando,
Trovo le rocche e le cadenti mura
De' prischi feudi, ove la polve e l'ombra
Abita e il gufo; e i rugginosi ferri
Sopra le rote mal sedenti, al giorno
Di novo espose, e fe' scoppiarne il tuono;
E i gioghi de' vassalli e le vallée

Ampie e le marche del gran caso empiéo.
Ne le Muse devote, onde gran plauso
Venne l'altr'anno agl' imenei felici,
Gia si tacquero al parto. Anzi, qual suole
La su la notte dell' ardente agosto
Turba di grilli, e, più lontano ancora,
Innumerabil popolo di rane,
Sparger d'alto frastuono i prati e i laghi,
Mentre cadon su lor, fendendo il buio,
Lucide strisce, e le paludi accende
Fiamma improvvisa, che lambisce e vola;
Tal sorsero i cantori a schiera a schiera;
E tal piovve su lor foco febéo,
Che di motti ventosi alta compagine
Fe' dividere in righe, o in simil suono
Uscir pomposamente. Altri scoperse
In que' vagiti Alcide; altri d'Italia
Il soccorso promise; altri a Bizanzio
* Minacció lo sterminio. A tal clamore

Non ardi la mia Musa unir sue voci;
Ma del parto divino al molle orecchio
Appresso non veduta; e molto in poco
Strinse, dicendo: Tu sarai simile
Al tuo gran genitore

Già di cocchi frequente il corso splen-
E di mille, che là volano rote, [de;
Rimbombano le vie. Fiero per nova
Scoperta biga il giovane leggiadro,
Che cesse al carpentier gli aviti campi,
Là si scorge tra i primi. All' un de' lati
Sdraiasi tutto, e de le stese gambe
La snellezza dispiega. A lui nel seno
La conoscenza del suo merto abbonda,
E con gentil sorriso arde e balena
Su la vetta del labbro; o da le ciglia,
Disdegnando, de' cocchi signoreggia
La turba inferior. Soave intanto
Egli alza il mento, e il gomito protende;
E mollemente la man ripiegando,
I merletti finissimi sull' alto
Petto si ricompon con le due dita.
Quinci vien l'altro, che pur oggi al cocchio
Da i casali pervenne; e già s' ascrive
Al concilio de' Numi. Egli oggi impara
A conoscere il vulgo; e già da quello
Mille miglia lontan sente rapirsi
Per lo spazio de' cieli. A lui davanti
Ossequiosi cadono i cristalli

De' generosi cocchi, oltrepassando;
E il lusingano ancor, perchè sostegno
Sia de la pompa loro. Altri ne viene,
Che di compro pur or titol si vanta;
E pur s'affaccia ; e pur gli orecchi porge;
E
pur sembragli udir da tutti i labbri
Sonar le glorie sue. Mal abbia il lungo
De le rote stridore e il calpestio
De' ferrati cavalli e l'aura e il vento,
Che il bel tenor de le bramate voci
Scender non lascia a dilettargli il core.
Di momento in momento il fragor cresce,
E la folla con esso. Ecco le vaghe,
A cui gli amanti per lo di solenne
Mendicarono i cocchi. Ecco le gravi
Matrone, che gran tempo arser di zelo
Contro al bel mondo, e dell' ignoto corso
La scelerata polvere dannaro;

Ma poi che la vivace, amabil prole [ne,
Crebbe, e invitar sembrò con gli occhi Ime-
Cessero al fine; e le tornite braccia,
E del sorgente petto i rugiadosi
Frutti prudentemente al guardo apriro
De i nipoti di Giano. Affrettan quindi

Le belle cittadine, ora è più lustri, Note a la Fama, poi che a i tetti loro Dedussero gli Dei, e sepper meglio E in più tragico stil da la teletta A i loro amici declamar l'istoria De' rotti amori, ed agitar repente Con celebrata convulsion la mensa, Il teatro e la danza. Il lor ventaglio Irrequieto sempre or quinci, or quindi Con variata eloquenza esce e saluta. Convolgonsi le belle: or sull' un fianco, Or su l'altro si posano, tentennano, Volteggiano, si rizzan, sul cuscino Ricadono pesanti ; e la lor voce Acuta scorre d'uno in altro cocchio. Ma ecco al fin, che le divine spose Degl' Italici eroi vengono anch'esse. lo le conosco a i messaggier volanti, Che le annuncian da lungi, ed urtan fieri E rompono la folla; io le conosco

Da la turba de' servi, al vomer tolti,
Perche oziosi poi di retro pendano
Al carro trionfal con alte braccia.
Male a Giuno ed a Pallade Minerva
E a Cinzia e a Citeréa mischiarvi osate
Voi, pettorute Najadi e Napće,
Vane di piccol fonte o d'umil selva,
Che a gli Egipani vostri in guardia diede
Giove dall' alto. Vostr' incerti sguardi,
Vostra frequente inane maraviglia,
E l'aria alpestre ancor de' vostri moti
Vi tradiscono, ahi lasse! e rendon vana
La multiplice in fronte a i palafreni
Pendente nappa, ch'usurpar tentaste,
E la divisa, onde copriste il mozzo
E il cucinier, che la seguace corte
Accrebber stanchi, e i miseri lasciaro,
Canuti padri di famiglia soli

Ne la muta magion serbati a chiave.
Troppo da voi diverse esse ne vanno
Ritte ne gli alti cocchi alteramente;
E a la turba volgare, che si prostra,
Non badan punto. A voi talor si volge
Lor guardo negligente, e par che dica:
Tu ignota mi sei; o nel mirarvi,
Col compagno susurrano ridendo.

Le giovinette madri de gli eroi
Tutto empierono il corso; e tutte han seco
Un giovinetto eroe, o un giovin padre
D'altri futuri eroi, che a la teletta,
A la mensa, al teatro, al corso, al gioco
Segnaleransi un giorno; e fien cantati,
S'io scorgo l'avvenir, da tromba, eguale
A quella, che a me diede Apollo, e disse:

Canta gli Achilli tuoi, canta gli Augusti
Del secol tuo. Sol tu manchi, o pupilla
Del più nobile mondo: ora ne vieni;
E del rallegrator dell'universo
Rallegra or tu la moribonda luce.

Già târda a la tua dama, e già con essa
Precipitosamente al corso arrivi.
Il memore cocchier serbi quel loco,
Che voi dianzi sceglieste; e voi non osi
Tra le ignobili rote al vulgo esporre,
Se star fermi a voi piace; ed oltre scorra,
Se di scorrer v'aggrada, e a i guardi altrui
Spiegar gioie novelle e nuove paci,
Che la pubblica fama ignori ancora.
Ne conteso a te fia per brevi istanti
Uscir del cocchio; e sfolgorando intorno,
Qual da repente spalancata nube,
Tutti scoprir di tua bellezza i rai,
Nel tergo, ne le gambe e nel sembiante,
Simile a un Dio; poi che a te, non meno
Che all' altro Semideo, Venere diede
E zazzera leggiadra e porporino
Splendor di gioventù, quando stamane
A lo speglio sedesti. Ecco, son pronti
Al tuo scendere i servi. Un salto ancora
Spicca, e rassetta gl'increspati panni
E le trine sul petto; un po' t'inchina;
A i lucidi calzari un guardo volgi;
Ergiti, e marcia dimenando il fianco.
O il Corso misurar potrai soletto,
Se passeggiar tu brami; o tu potrai
Dell' altrui dame avvicinarti al cocchio,
E inerpicarti, ed introdurvi il capo
E le spalle e le braccia, e mezzo ancora
Dentro versarte. Ivi salir tant'alto
Fa le tue risa, che da lunge le oda
La tua dama, e si turbi, ed interrompa
Il celiar de gli eroi, che accorser tosto
Tra il dubbio giorno a custodirla, intanto
Che solinga rimase. Oh sommi Numi,
Sospendete la Notte; ei fatti egregi
Del mio giovin Signor splender lasciate
Al chiaro giorno! Ma la Notte segue
Sue leggi inviolabili, e declina
Con tacit'ombra sopra l'emispero ;
E il rugiadoso pie lenta movendo,
Rimescola i color vari, infiniti;

[ocr errors]

E via gli sgombra con l'immenso lembo
Di cosa in cosa; e, suora de la morte,
Un aspetto indistinto, un solo volto
Al suolo, a i vegetanti, a gli animali,
A i grandi ed a la plebe, equa permette ;
Ei nudi insieme e li dipinti visi
De le belle confonde e i cenci e l'oro;

Ne veder mi concede all' aere cieco, Qual de' cocchi si parta, o qual rimanga Solo all'ombre segrete; e, a me di mano Tolto il pennello, il mio Signore avvolge Per entro al tenebroso, umido velo.

LA NOTTE.

Ne tu contenderai, benigna Notte, Che il mio Giovane illustre io cerchie guidi Con gli estremi precetti entro al tuo regno.

Già di tenebre involta e di perigli,
Sola, squallida, mesta alto sedevi
Su la timida terra. Il debil raggio
De le stelle remote e de' pianeti,
Che nel silenzio camminando vanno,
Rompea gli orrori tuoi sol quanto è d'uopo
A sentirli vie più. Terribil ombra
Giganteggiando si vedea salire

Su per le case e su per l' alte torri,
Di teschi antiqui seminate al piede;
E upupe, e gufi, e mostri, avversi al Sole,
Svolazzavan per essa, e con ferali
Stridi portavan miserandi augurii;
E lievi dal terreno e smorte fiamme
Di su di giù vagavano per l'aëre,
Orribilmente tacito ed opaco ;
E al sospettoso adultero, che lento
Col cappel su le ciglia, e tutto avvolto
Nel mantel se ne gia con l'armi ascose,
Colpieno il core, e lo strignean d'affanno.
E fama è ancor, che pallide fantasime,
Lungo le mura de i deserti tetti,
Spargean lungo acutissimo lamento,
Cui di lontan per entro al vasto buio
I cani rispondevano ululando.

Tal fosti, o Notte, allor che gl'inclit'avi,
Onde pur sempre il mio Garzon si vanta,
Eran duri ed alpestri, e con l'occaso
Cadean, dopo lor cene, al sonno in preda;
Fin che l' Aurora, sbadigliante ancora,
Li richiamasse a vigilar sull' opre
De i per novo cammin guidati rivi,
E su i campi nascenti ; onde poi grandi
Furo i nepoti e le cittadi e i regni.

Ma ecco Amore; ecco la madre Venere; Ecco del gioco, ecco del fasto i Genii, Che trionfanti per la notte scorrono; Per la notte, che sacra è al mio Signore. Tutto davanti a lor, tutto s'irradia

Di nova luce. Le nimiche tenebre
Fuggono riversate, e l' ali spandono
Sopra i covili, ove le fere e gli uomini,
Da la fatica condannati dormono.
Stupefatta la Notte intorno vedesi
Riverberar, più che dinanzi al Sole,
Auree cornici, e di cristalli e spegli
Pareti adorne, e vestimenti vari,
E bianche braccia, e pupillette mobili,
E tabacchiere preziose, e fulgide
Fibbie ed anella, e mille cose e mille.
Così l'eterno caos, allor che Amore
Sopra posovvi e il fomento con l'ale,
Senti il generator moto crearse;
Senti schiuder la luce; e se medesmo
Vide meravigliando, e tanti aprirse
Tesori di natura entro il suo grembo.

O de' miei studi generoso Alunno,
Tu seconda me dunque, or ch'io t'invito
Glorie novelle ad acquistar, là dove
O la veglia frequente o l'ampia scena
I grandi eguali tuoi degna de gli avi
E de i titoli loro e di lor sorte
E de i pubblici voti ultima cura,
Dopo le tavolette e dopo i prandi
E dopo i corsi clamorosi occupa.

[ocr errors]

Ma dove, ahi dove senza me t'aggiri, Lasso! da poi che in compagnia del Sole T'involasti pur dianzi a gli occhi miei? Qual palagio ti accoglie, o qual ti cɔpre Da i nocenti vapor, ch' Espero mena, Tetto arcano e solingo; o di qual via L'ombre ignoto trascorri, ove la plebe, Affrettando tenton, s'urta e confonde? Ahime! tolgalo il ciel, forse il tuo cocchio, Ove il varco è più angusto, il cocchio altrui Incontro violento e qual de i duo Retroceder convenga, e qual star forte, Dispútano gli aurighi, alto gridando. Sdegna, egregio Garzon, sdegna d'alzare Fra il rauco suon di Sténtori plebei Tu' amabil voce; e taciturno aspetta, Sia che all' un piaccia riversar dal carro Lo suo rivale, o riversato anch'esso Perigliar tra le rote, e te per l'alto De lo infranto cristal mandar carpone. Ma l'avverso cocchier, d' un picciol urto Pago, sen fugge, o d'un resister breve: Alfin libero andrai. Tu, non per tanto, Doman chiedi vendetta, alto sonare Fa il sacrilego fatto; osa, pretendi; E i tribunali minimi e i supremi Sconvolgi agita, assorda; il mondo s'empia Del grave caso; e per un anno almeno

Parli di te, de' tuoi corsier, del cocchio
E del cocchiere. Di si fatte cose,
Voi, progenie d'eroi, famosi andate
Ne le bocche de gli uomini gran tempo.
Forse indiscreto parlator trattiene
Te con la dama tua nel voto corso.
Forse a nova con lei gara d'ingegno
Tu mal cauto venisti: e già la bella
Teco del lungo repugnar s'adira;
Gia la man, che tu baci, arretra, e tenta
Liberar da la tua; e già minaccia
Ricovrarsi al suo tetto, e quivi sola
Involarse ad ognuno, in fin che il sonno
Venga pietoso a tranquillar suoi sdegni.

In van chiedi merce; di mente in vano
A lei te stesso sconsigliata incolpi.
Ella niega placarse; il cocchio freme
Dell' alterno clamore; il cocchio intanto
Giace immobil fra l'ombre; e voi, sue care
Gemme, il Bel Mondo impaziente aspetta.
Ode il cocchiere al fin d'ambe le voci
Un comando indistinto; e bestemmiando
Sferza i corsieri, e via precipitando
Ambo vi porta e mal sa dove ancora.
Folle! Di che temei? Sperdano i venti
Ogni augurio infelice. Ora il mio eroe
Fra l'amico tacer del voto corso
Lieto si sta la fresca ora godendo,
Che dal monte lontan spira, e consola.
Siede al fianco di lui lieta non meno
L'altrui cara consorte. Amor nasconde
La incauta face; e il fiero dardo alzando,
Allontana i maligni. O nume invitto,
Non sospettar di me; ch'io già non vegno
Invido esplorator, ma fido amico
De la coppia beata, a cui tu vegli.
E tu, Signor, tronca gl' indugi. Assai [ma
Fur gioconde quest' ombre, allor che pri-
Nacque il vago desío, che te congiunse
All' altrui cara sposa, or son due lune.
Ecco, il tedio a la fin serpe tra i vostri
Cosi lunghi ritiri : e tempo è omai,
Che in più degno di te pubblico agone
Splendano i genii tuoi. Mira la Notte,
Che col carro stellato alta sen vola
Per l'eterea campagna, e a te col dito
Mostra Téseo nel ciel, mostra Pollúce,
Mostra Bacco ed Alcide e gli altri egregi,
Che per mille d'onore ardenti prove
Cola fra gli astri a sfolgorar saliro. [ta.
Svégliati a i grandi esempi ; e meco aflret-

Loco è, ben sai, ne la città famoso,
Che splendida matrona apre al notturno
Concilio de' tuoi pari, a cui la vita

Fora, senza di ciò, mal grata e vile.
Ivi le belle e di feconda prole
Inclite madri ad obliar sen vanno
Fra la sorte del gioco i tristi eventi
De la sorte d'amore, onde fu il giorno
Agitato e sconvolto. Ivi le grandi
Avole auguste, e i genitor leggiadri
De' già celebri eroi il senso e l'onta
Volgon de gli anni a rintuzzar fra l'ire
Magnanime del gioco. Ivi la turba
De la feroce gioventù divina

Scende a pugnar con le mirabil' arme
Di vaghi giubboncei, d'atti vezzosi,
Di bei modi del dir, stamane appresi;
Mentre la vanità fra il dubbio marte
Nobil furor ne' forti petti inspira;
E con vario destin dando e togliendo
Le combattute palme, alto abbandona
I leggieri vessilli all'aure in preda.

Ecco che già di cento faci e cento
Gran palazzo rifulge. Multiforme
Popol di servi baldanzosamente
Sale, scende, s' aggira. Urto e fragore
Di rote, di flagelli e di cavalli,
Che vengono, che vanno, e stridi e fischi
Di gente, che domandan, che rispondono,
Assordan l'aria all' alte mura intorno.
Tutto è strepito e luce. O tu, che porti
La dama e il cavalier, dolci mie cure,
Primo di carri guidator, qua volgi;
E fra il denso di rote arduo cammino
Con olimpica man splendi; e d'un corso
Subentrando i grand' atrii, a dietro lascia
Qual pria le porte ad occupar tendea.
Quasi a propria virtù plauda al gran fatto
Il generoso eroe, plauda la bella,
Che con l'agil pensier scorre gli aurighi
De le dive rivali, e novi al petto
Sente nascer per te teneri orgogli.

Ma il bel carro s'arresta; e a tela Dama,
A te, prima di lei sceso d'un salto,
Affidata, o Signor, lieve balzando,
Col sonante calcagno il suol percote.
Largo dinanzi a voi fiammeggi e gronde,
Sopra l'ara de' numi ad arder nato,
Il tesoro dell'api; e a lei da tergo
Pronta di servi mano, a terra proni,
Lo smisurato lembo alto sospenda :
Somma felicità, che lei separa
Da le ricche viventi, a cui per anco,
Misere! su la via l'estrema veste
Per la polvere sibila strisciando!

Ahi! se novo sdegnuzzo i vostri petti
Dianzi forse agitò, tu chino e grave

« ÖncekiDevam »