A lei porgi la destra; e seco innoltra, Quale Ibero amador, quando, raccolta Dall' un lato la cappa, contegnoso Scorge l'amanza a diportarse al vallo, Dove il tauro, abbassando i corni irati, Balza gli uomini in alto, o genier s'ode Crepitante Giudeo per entro al foco. Ma no; che l'amorosa onda pacata Oggi siede per voi; e, quanto è d'uopo A vagarvi il piacer, solo la increspa Una lieve aleggiando aura soave. Suello adunque e vivace ofiri a la bella, Mollemente piegato, il destro braccio : Ella la manca v' inserisca; premi Tu col gomito un poco; un poco anch'ella Ti risponda premendo; e a la tua lena, Dolce peso a portar, tutta si doni, Mentre lieti celiando a brevi salti Su per l'agili scale ambo affrettate. Oh come al tuo venir gli archi e le volte De' gran titoli tuoi forte rimbombano! Come a quel suon volubili le porte Cedono spalancate, ed a quel suono Degna superbia in cor ti bolle, e face L'anima eccelsa rigonfiar più vasta! Entra in tal forma, e del tuo grande ingombra Gli spazi fortunati. Ecco, di stanze Al fin più interna, e di gran luce e d'oro (Levenoechio. Invisibil Camena; e me rapisci Un tempo il Canapé nido giocondo Cosi qualor degl' importuni altronde Si mormoraro i delicati arcani. L'altro abbraccia e vezzeggia in ciò soltanto Non simili tra lor, chè ognun sua cura Poi, di tele recinta, e contro all' onte Molce, giocando, a le canute dame. Ei, gia tolte le mense, i nati or ora Giochi a le belle declinanti insegna. Ei, la notte, raccoglie a sé dintorno Schiera d' eroi, che nobil estro infiamma D'apprender l'arte, onde l' altrui fortuna Vincasi e domi, e del soave amico Nobil parte de' campi all'altro ceda. Vedi giugner colui, che di cavalli Invitto domator, divide il giorno Fra i cavalli e la dama? Or de la dama La man tiepida preme; or de' cavalli Liscia i dorsi pilosi; o pur col dito Tenta, a terra prostrato, i ferri e l'ugna. Ahine! misera lei, quando s'indice Fiera altrove frequente! Ei l'abbandona; E per monti inaccessi e valli orrende Trova i lochi remoti, e cambia o merca. Ma lei beata poi, quand' ei sen torna Sparso di limo, e novo fasto adduce Di frementi corsieri, e gli avi loro Ei costumi e le patrie a lei soletta Molte lune ripete! Or mira un altro, Di cui più diligente o più costante Non fu mai damigella o a tesser nodi, O d'aurei drappi a separar lo stame. A lui turgide ancora ambo le tasche Son d'ascose materie. Eran già queste Prezioso tappeto, in cui, distinti D'oro e lucide lane, i casi apparvero D'ilio infelice e il cavalier, sedendo Nel gabinetto de la dama, omai Con ostinata man tutte divise In fili minutissimi le genti D'Argo e di Frigia. Un fianco solo resta De la Greca rapita; e poi l'eroe, Pur giunto al fin di sua decenne impresa, Andra superbo al par d' anıbo gli Atridi. Ve' chi sa ben, come si deggia a punto Fausto di nozze, o pur d'estremi fati Miserabili annuncio in carta esporre. Lui, scapigliati e torbidi la mente Per la gran doglia, a consultar sen vanno I novi eredi : ne già mai fur viste fante vicino a la Cuméa caverna Foglie volar, d'oracoli notate, Quanti avvisi ei raccolse, i quali un giorno Per gran pubblico ben serbati fiéno. Ma chi l'opre diverse o i vari ingegni Tutti esprimer potría, poi che le stanze Folte gia son di cavalieri e dame ? Tu per quelle t'avvolgi; ardito e baldo Vanne, torna, l'assidi, ergiti, cedi, Premi, chiedi perdono, odi, domanda, Sfuggi, accenna, schiamazza, entra, e ti mesci A i divini drappelli; e a un punto empiendo Ogni cosa di te, mira, ed apprendi. Là i vezzosi d'amor novi seguaci Lor nascenti fortune ad alta voce Confidansi all'orecchio, e ridon forte; È saltellando batton palme a palme : Sia che a leggiadre imprese Amor li guidi Fra le oscure mortali, o che gli assorba De le dive lor pari entro a la luce. Qui gli antiqui d'Amor noti campioni, Con voci esili, e dall'ansante petto Fuor tratte a stento, rammentando vanno Le già corse in amar fiere vicende. Indi gl'imberbi eroi, cui diede il padre La prima coppia di destrier pur jeri, Con animo viril celiano al fianco Di provetta beltà, che a i risi loro Alza scoppi di risa, e il nudo spande, Che di veli mal chiuso, i guardi cerca, Cheil cercarono un tempo. Indi gli adulti, A la cui fronte il primo ciullo appose Fallace parrucchier, scherzan vicini A la sposa novella, e di bei motti Tendonle insidia, ove di lei s'intrichi L'alma inesperta e il timido pudore. Folli! che ai detti loro ella va incontro Valorosa cosi, come una madre Di dieci eroi. V' ha in altra parte assiso Chi di lieti racconti, o pur di fole, Non ascoltate mai, raro promette A le dame trastullo: e ride, e narra; E ride ancor; benchè a le dame intanto Sul bell'arco de' labbri aleggi e penda Non voluto sbadiglio. E v' ha chi altronde Con fortunato studio in novi sensi Le parole converte, e in simil suoni Pronto a colpir, divinamente scherza. Alto al genio di lui plaude il ventaglio De le pingui matrone, a cui la voce Di vernacolo accento anco risponde. Ma le giovani madri, al latte avvezze Di più gravi dottrine, il sottil naso Aggrinzan fastidite; e pur col guardo Sembran chieder pictade a i belli spirti, Che lor siedono a lato, e a cui gran copia D'erudita ellemeride distilla Volatile scienza entro a la mente. Altri altrove pugnando, audace innalza Sopra d'ognaltro il palafren, ch' ei sale, O il poeta o il cantor, che lieti ei rende De le sue mense. Altri dà vanto all' elso Lucido e bello de la spada, ond' egli Solo, e per casi non più visti, al fine Ma d'ogni lato i pronti servi intanto Sola in tanto rumor tacita siede La matrona del loco; e chino il fronte, E increspate le ciglia, i sommi labbri Appoggia in sul ventaglio, arduo pensiere Macchinando tra sè. Medita certo, Come al candor, come al pudor si deggia La cara figlia preservar, che torna Doman da i chiostri, ove il sermon d'Italia Pur giunse ad obliar, meglio erudita De le galliche grazie. Oh qual dimane Ne i genitor, ne' convitati, a mensa Ben cicalando, ecciterai stupore, Bella fra i lari tuoi vergin straniera! Errai. Nel suo pensier volge di cose L'alta madre d'eroi mole più grande; E nel dubbio crudel col guardo invoca De le amiche l'aita; e a sè con mano Il fido cavalier chiede a consiglio. Qual mai del gioco a i tavolier diversi Ordin porra, che de le dive accolte Nulla obliata si dispetti, e nieghi Più qui tornare ad aver scorno ed onte? Come, con pronto antiveder, del gioco Il dissimil tenore a i genii eccelsi Assegnerà conforme; ond' altri poi Non isbadigli lungamente, e pianga Le mal gittate ore notturne, e lei De lo infelice oro perduto incolpi? Qual paro e quale al tavolier medesmo E di campioni e di guerriere audaci Fia che tra loro a tenzonar congiunga; Sì che già mai per miserabil caso Ben Già per l'aula beata a cento intorno Dispersi tavolier seggon le dive, Seggon gli eroi, che dell' Esperia sono Gloria somma o speranza. Ove di quattro Un drappel si raccoglie, e dove un altro Di tre sol tanto. Ivi di molti e grandi Fogli dipinti il tavolier ti sparge; Qui di pochi e di brevi. Altri combatte; Altri sta sopra a contemplar gli eventi De la instabil fortuna, e i tratti egregi Del sapere o dell' arte. In fronte a tutti Grave regna il consiglio, e li circonda Maestoso silenzio. Erran sul campo Agevoli ventagli, onde le dame Cercan ristoro all' agitato spirto Dopo i miseri casi. Erran sul campo Lucide tabacchiere. Indi sovente Un'util rimembranza, un pronto avviso Con le dita si attigne; e spesso volge I destini del gioco e de la veglia Un atomo di polve. Ecco, se n'ugne La panciuta matrona intorno al labbro Le calugini adulte : ecco, se n'ugne Il suo cor, la sua mente. Amor sorride; Chi la vasta quiete osa da un lato Romper con voci successive, or aspre, Or molli, or alte, ora profonde, sempre Con tenore ostinato, al par di secchii, Che scendano e ritornino piagnenti Dal cupo alveo dell'onda; o al par di rote, Che, sotto al carro pesante, per lunga Odansi strada scricchiolar lontano? L'ampia tavola è questa, a cui s'aduna Quanto mai per aspetto, e per maturo Senno il nobil concilio ha di più grave O fra le dive socere, o fra i nonni, O fra i celibi, già da molti lustri Memorati nel mondo. In sul tappeto (1) Sorge grand'urna, che poi scossa in volta, La dovizia de' numeri comparte Fra i giocator, cui numerata è innanzi D'imagini diverse alma vaghezza. Qual finge il vecchio, che con man la negra Sopra le grandi porporine brache Veste raccoglie; e rubicondo il naso Di grave stizza, alto minaccia e grida, L'aguzza barba dimenando. Quale Finge colui, che con la gobba enorme E il naso enorme e la forchetta enorme Le cadenti lasagne avido ingoia. Quale il multicolor Zanni leggiadro, Che col pugno, posato al fesso legno, Sovra la punta dell' un piè s'innoltra; E la succinta natica rotando, Altrui volge faceto il nero ceffo. Ne d'animali ancor copia vi manca : 0, al par d'umana creatura, l'orso Ritto in due piedi ; o il micio; o la ridente Scimia; o il caro asinello, onde a sé grato E giocatrici e giocator fan speglio. (1) La Caragnola, giuoco usitato in Lombardia. Signor, che fai? Così, dell' opre altrui Inoperoso spettator, non vedi Già la sacra del gioco ara disposta A te pur anco? E nell' aurato bronzo, Che d'Attiche colonne il grande imita, I lumi sfavillanti, a cui nel mezzo, Lusingando gli eroi, sorge di carte Elegante congerie, intatta ancora? Ecco, s'asside la tua dama, e freme Omai di tua lentezza. Eccone un'altra; Ecco l'eterno cavalier con lei, Che ritto in pie, del tavolino al labbro Più non chiede che te; e te co i guardi, Te con le palme, desiando, affretta. Questi, or volgon tre lustri, a te simile Corre di gloria il generoso stadio De la sua dama al fianco. A lei l'intero Giorno il vide vicino, a lei la notte Innoltrata d'assai. Varia tra loro Fu la sorte d'amor: mille le guerre; Mille le paci; mille i furibondi, Scapigliati congedi; e mille i dolci Palpitanti ritorni, al caro sposo Noti non sol, ma nel teatro e al corso Lunga e trita novella. Al fine Amore, Dopo tanti travagli, a lor nel grembo [po Molle sonno chiedea: quand'ecco il TemTra la coppia felice osa indiscreto Passar volando; e de la dama un poco, Dove il ciglio ha confin, riga la guancia Con la cima dell' ale; all' altro svelle Parte del ciuffo, che nel liquid' aere Si conteser di poi l'aure superbe. Al fischiar del gran volo, a i dolci lai De gli amanti sferzati, Amor si scosse; Il nemico senti; l'armi raccolse; A fuggir comincio. Pietà di noi, Picta, gridan gli amanti : or, se tu parti, Come sentir la cara vita, come Più lunghi desiarne i giorni e l'ore? Ne gia in van si grido. La gracil mano Verso l'omero armato Amor levando, Rise un riso vezzoso; indi un bel mazzo De le carte, che Félsina colora, Tolse da la faretra; e: Questo, ci disse, A voi resti in mia vece. Oh meraviglia! Ecco, que' fogli, con diurna mano E notturna trattati, anco d'amore Sensi spirano e moti. Ah se un invito Ben comprese giocando, e ben rispose Il cavalier, qual de la dama il fiede Tenera occhiata, che nel cor discende; E quale a lei voluttuoso in bocca Da una fresca rughetta esce il sogghigno! |