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A lei porgi la destra; e seco innoltra, Quale Ibero amador, quando, raccolta Dall' un lato la cappa, contegnoso Scorge l'amanza a diportarse al vallo, Dove il tauro, abbassando i corni irati, Balza gli uomini in alto, o genier s'ode Crepitante Giudeo per entro al foco. Ma no; che l'amorosa onda pacata Oggi siede per voi; e, quanto è d'uopo A vagarvi il piacer, solo la increspa Una lieve aleggiando aura soave. Suello adunque e vivace ofiri a la bella, Mollemente piegato, il destro braccio : Ella la manca v' inserisca; premi Tu col gomito un poco; un poco anch'ella Ti risponda premendo; e a la tua lena, Dolce peso a portar, tutta si doni, Mentre lieti celiando a brevi salti Su per l'agili scale ambo affrettate.

Oh come al tuo venir gli archi e le volte De' gran titoli tuoi forte rimbombano! Come a quel suon volubili le porte Cedono spalancate, ed a quel suono Degna superbia in cor ti bolle, e face L'anima eccelsa rigonfiar più vasta! Entra in tal forma, e del tuo grande

ingombra

Gli spazi fortunati. Ecco, di stanze
Ordin lungo a voi s'apre. Altra di servi
Infimo gregge alberga, ove tra' lampi
Di molteplice lume or vivo, or spento,
Efra sempre incostanti ombre schiamazza
Il sermon patrio e la facezia e il riso
Dell' energica plebe. Altra di vaghi
Zazzeruti donzelli è certa sede,
Ove accento stranier, misto al natio,
Molle susurra; e s'apparecchia intanto
Copia di carte e moltiforme avorio :
Arme l'uno a la pugna; indice l'altro
D'alti cimenti e di vittorie illustri.

Al fin più interna, e di gran luce e d'oro
E di ricchi tappeti aula superba,
Sta servata per voi prole de' Numi.
lo di razza mortale, ignoto vate,
Come ardiro di penetrar fra i cori
De' Semidei, ne lo cui sangue in vano
Gocciola impura cercheria con vetro
Indagator colui, che vide a nuoto (1)
Per l'onda genitale il picciol uomo?
Qui tra i servi m'arresto; e qui da loro
Nuove del mio Signor virtudi ascose
Tacito apprendero. Ma tu sorridi,

(Levenoechio.

Invisibil Camena; e me rapisci
Invisibil con te fra li negati
Ad ognaltro profano aditi sacri.
Già il mobile de' seggi ordine augusto
Sovra i tiepidi strati in cerchio volge;
E fra quelli eminente i fianchi estende
Il grave Canapé. Sola da un lato
La matrona del loco ivi s'appoggia,
E con la man, che lungo il grembo cade,
Lentamente il ventaglio apre e socchiude.
Or di giugner è tempo. Ecco le snelle
E le gravi per molto adipe dame,
Che a passi velocissimi s'affrettano
Nel gran consesso. I cavalieri egregi
Lor camminano a lato; ed elle, intorno
A la sedia maggior vortice fatto
Di sè medesme, con sommessa voce
Brevi note bisbigliano, e dileguansi
Dissimulando fra le sedie umili.

Un tempo il Canapé nido giocondo
Fu di risi e di scherzi, allor che l'ombre
Abitar gli fu grato ed i tranquilli
Del palagio recessi. Amor primiero
Trovo l'opra ingegnosa. lo voglio, ei disse,
Dono a le amiche mie far d' un bel seggio,
Che tre ad un tempo nel suo grembo
accoglia.

Cosi qualor degl' importuni altronde
Volga la turba, sederan gli amanti
L'uno a lato dell' altro, ed io con loro.
Disse, fe' plauso con le palme, e l'ali
Apri, volando impaziente all' opra.
Ecco, il bel fabbro lungo pian dispone,
Di tavole contesto e molli cigne.
A reggerlo vi dà vaghe colonne,
Che del silvestre Pane i piè leggieri
Imitano scendendo; al dorso poi
V' alza pitulo appoggio, e il volge a i lati,
Come far soglion flessuosi acanti,
O ricche corna d' arcade montone.
Indi predando a le vaganti aurette
L'ali e le piume, le condensa e chiude
In tumido cuscin, che tutta ingombri
La macchina elegante; e al fin l'adorna
Di molli sete e di vernici e d'oro.
Quanto il dono d' Amor piacque a le belle!
Quanti pensier lor balenaro in mente!
Tutte il chiesero a gara; ognuna il volle
Ne le stanze piu interne; applause ognuna
A la innata energía del vago arnese,
Mal repugnante e mal cedente insieme
Sotto a i mobili fianchi. Ivi sedendo
Si ritrasser le amiche; e da lo sguardo
De' maligni lontane, a i fidi orecchi

Si mormoraro i delicati arcani.
Ivi la coppia de gli amanti a lato
Dell'arbitra sagace o i nodi strinse,
O calino l'ira, e nuove legge apprese.
Ivi sovente l'amador faceto
Raro volume all'altrui cara sposa
Lesse spiegando, e con sorrisi arguti
Lepida imago fe' notar tra i fogli.
Il fortunato seggio invidia mosse
De le sedie minori al popol vario;
E fama è, che talora invidia mosse
Anco a i talami stessi. Ah! perchè mai,
Vinto da insana ambizione, uscio
Fra lo immenso tumulto e fra il clamore
De le voglie solenni? Avvi due Genii
Fastidiosi e tristi, a cui dier vita
L'Ozio e la Vanità; che noti al nome
Di Puntiglio e di Noia, erran cercando
Gli alti palagi e le vigilie illustri
De la stirpe de' Numi. Un fra le mani
Porta verga fatale, onde sospende
Ne' miseri percossi ogni lor voglia;
E di macchine al par, che l'arte inventi,
Modera l'alme a suo talento e guida.
L'altro piove da gli occhi atro vapore;
E da la bocca sbadigiiante esala
Alito lungo, che sembiante a i pigri
Soffi dell'austro, si dilata e volve,
E d'inane torpor le menti occupa.
Questa del Canapé coppia infelice
Allor prese l'imperio; e i Risi e i Giochi
Ed Amor ne sospinse, e trono il fece,
Ove le madri de le madri eccelse
De' primi eroi esercitan lor tosse;
Ove l'inclite mogli, a cui beata
Rendon la vita titoli distinti,
Sbadigliano distinte. Ah! fuggi, ah! fuggi,
Signor, dal tetro in!lusso ; e la fra i seggi
De le più miti Dee quindi remoto
Con l'alma gioventù scherza e t'allegra.
Quanta folla d' eroi! Tu, che modello
D'ogni nobil virtù, d'ogni atto egregio
Esser déi fra' tuoi pari, i pari tuoi
A conoscere apprendi; e in te raccogli
Quanto di bello e glorioso e grande
Sparse in cento di loro arte o natura.
Altri di lor ne la carriera illustre
Stampa i primi vestigi; altri gran parte
Di via gia corse; altri a la meta e giunto.
In vano il vulgo temerario a gli uni
Di fanciulli da nome; e quelli adulti,
Questi omai vegli di chiamare ardisce :
Tutti son pari. Ognun folleggia e scherza;
Ogaun giudica e libra; ognun del pari

L'altro abbraccia e vezzeggia in ciò soltanto

Non simili tra lor, chè ognun sua cura
Ha fra l'altre diletta, onde più brilli.
Questi or esce di là, dove ne' trivii
Si ministrar bevande, ozio e novelle.
Ei v' andò mattutin; partinne al pranzo
Vi tornò fino a notte: e già sei lustri
Volgon, da poi che il bel tenor di vita
Giovinetto intraprese. Ah! chi di lui
Può sedendo trovar più grati sonni,
O più lunghi sbadigli, o più fiate
D'atro rapé solleticar le nari,
O a voce popolare orecchio e fede
Prestar più ingordo, e declamar più forte?
Quegli è l'almo garzon, che con maestri
Da la scutica sua moti di braccio
Désta síbili egregi; e l'ore illustra,
L'aere agitando de le sale immense,
Onde i prischi trofei pendono e gli avi.
L'altro è l' eroe, che da la guancia enfiata,
E dal torto oricalco a i trivii annunzia
Suo talento immortal, qualor dall'alto
De' famosi palagi émula il suono
Di messaggier, che frettoloso arrive.
Quanto è vago a mirarlo allor che in veste
Cinto spedita, e con le gambe assorte
In amplo cuoio, cavalcando, a i campi
Rapisce il cocchio, ove la dama è assisa
E il marito e l'ancella e il figlio e il cane!
Vuoi su lucido carro in di solenne
Gir trionfando al corso? Ecco quell' uno,
Che al lavor ne presieda. E legni e pelli
E ferri e sete e carpentieri e fabbri
A lui son noti: e per l'Ausonia tutta
È noto ei pure. Il Calabro, di feudi
E d' ordini superbo, e duchi e i prenci,
Che pascon Mongibello, e fin gli stessi
Gran nipoti Romani, a lui sovente
Ne commetton la cura: ed ei sen vola
D'una in altra officina, in fin che sorga,
Auspice lui, la fortunata mole.

Poi, di tele recinta, e contro all' onte
De la pioggia e del Sol ben forte armata,
Mille e più passi l'accompagna ei stesso
Fuor de le mura; e con soave sguardo
La segue ancor, sin che la via declini.
Or non conosci del figliuol di Maja
Il più celebre alunno, al cui consiglio,
Nel gran dubbio de' casi, ognaltro cede
Sia che dadi versati, o pezzi eretti,
O giacenti pedine, o brevi o grandi
Carte mescan la pugna? Ei sul mattino
Le stupide emicranie o l'aspre tossi

Molce, giocando, a le canute dame. Ei, gia tolte le mense, i nati or ora Giochi a le belle declinanti insegna. Ei, la notte, raccoglie a sé dintorno Schiera d' eroi, che nobil estro infiamma D'apprender l'arte, onde l' altrui fortuna Vincasi e domi, e del soave amico Nobil parte de' campi all'altro ceda. Vedi giugner colui, che di cavalli Invitto domator, divide il giorno Fra i cavalli e la dama? Or de la dama La man tiepida preme; or de' cavalli Liscia i dorsi pilosi; o pur col dito Tenta, a terra prostrato, i ferri e l'ugna. Ahine! misera lei, quando s'indice Fiera altrove frequente! Ei l'abbandona; E per monti inaccessi e valli orrende Trova i lochi remoti, e cambia o merca. Ma lei beata poi, quand' ei sen torna Sparso di limo, e novo fasto adduce Di frementi corsieri, e gli avi loro Ei costumi e le patrie a lei soletta Molte lune ripete! Or mira un altro, Di cui più diligente o più costante Non fu mai damigella o a tesser nodi, O d'aurei drappi a separar lo stame. A lui turgide ancora ambo le tasche Son d'ascose materie. Eran già queste Prezioso tappeto, in cui, distinti D'oro e lucide lane, i casi apparvero D'ilio infelice e il cavalier, sedendo Nel gabinetto de la dama, omai Con ostinata man tutte divise In fili minutissimi le genti D'Argo e di Frigia. Un fianco solo resta De la Greca rapita; e poi l'eroe, Pur giunto al fin di sua decenne impresa, Andra superbo al par d' anıbo gli Atridi. Ve' chi sa ben, come si deggia a punto Fausto di nozze, o pur d'estremi fati Miserabili annuncio in carta esporre. Lui, scapigliati e torbidi la mente Per la gran doglia, a consultar sen vanno I novi eredi : ne già mai fur viste fante vicino a la Cuméa caverna Foglie volar, d'oracoli notate, Quanti avvisi ei raccolse, i quali un giorno Per gran pubblico ben serbati fiéno.

Ma chi l'opre diverse o i vari ingegni Tutti esprimer potría, poi che le stanze Folte gia son di cavalieri e dame ? Tu per quelle t'avvolgi; ardito e baldo Vanne, torna, l'assidi, ergiti, cedi, Premi, chiedi perdono, odi, domanda,

Sfuggi, accenna, schiamazza, entra, e ti mesci

A i divini drappelli; e a un punto empiendo Ogni cosa di te, mira, ed apprendi.

Là i vezzosi d'amor novi seguaci Lor nascenti fortune ad alta voce Confidansi all'orecchio, e ridon forte; È saltellando batton palme a palme : Sia che a leggiadre imprese Amor li guidi Fra le oscure mortali, o che gli assorba De le dive lor pari entro a la luce. Qui gli antiqui d'Amor noti campioni, Con voci esili, e dall'ansante petto Fuor tratte a stento, rammentando vanno Le già corse in amar fiere vicende. Indi gl'imberbi eroi, cui diede il padre La prima coppia di destrier pur jeri, Con animo viril celiano al fianco Di provetta beltà, che a i risi loro Alza scoppi di risa, e il nudo spande, Che di veli mal chiuso, i guardi cerca, Cheil cercarono un tempo. Indi gli adulti, A la cui fronte il primo ciullo appose Fallace parrucchier, scherzan vicini A la sposa novella, e di bei motti Tendonle insidia, ove di lei s'intrichi L'alma inesperta e il timido pudore. Folli! che ai detti loro ella va incontro Valorosa cosi, come una madre Di dieci eroi. V' ha in altra parte assiso Chi di lieti racconti, o pur di fole, Non ascoltate mai, raro promette A le dame trastullo: e ride, e narra; E ride ancor; benchè a le dame intanto Sul bell'arco de' labbri aleggi e penda Non voluto sbadiglio. E v' ha chi altronde Con fortunato studio in novi sensi Le parole converte, e in simil suoni Pronto a colpir, divinamente scherza. Alto al genio di lui plaude il ventaglio De le pingui matrone, a cui la voce Di vernacolo accento anco risponde. Ma le giovani madri, al latte avvezze Di più gravi dottrine, il sottil naso Aggrinzan fastidite; e pur col guardo Sembran chieder pictade a i belli spirti, Che lor siedono a lato, e a cui gran copia D'erudita ellemeride distilla Volatile scienza entro a la mente.

Altri altrove pugnando, audace innalza Sopra d'ognaltro il palafren, ch' ei sale, O il poeta o il cantor, che lieti ei rende De le sue mense. Altri dà vanto all' elso Lucido e bello de la spada, ond' egli

Solo, e per casi non più visti, al fine
Fu dal più dotto anglico artier fornito.
Altri, grave nel volto, ad altri espone,
Qual per l'appunto a gran convito apparve
Ordin di cibi; ed altri stupefatto,
Con profondo pensier, con alte dita
Conta di quanti tavolieri a punto
Grande insolita veglia andò superba.
Un fra l'indice e il medio inflessi alquanto,
Molle ridendo, al suo vicin la gota
Preme furtivo; e l'un da tergo all' altro
Il pendente cappel dal braccio invola;
E del felice colpo a sè da plauso.

Ma d'ogni lato i pronti servi intanto
E luci e tavolieri e seggi e carte,
Suppellettile augusta, entran portando.
Un sordo stropicciar di mossi scanni,
Un cigolio di tavole spiegate
Odo vagar fra le sonanti risa
Di giovani festivi, e fra le acute
Voci di dame, cicalanti a un tempo,
Qual dintorno a selvaggio, antico moro,
Sull' imbrunir del di, garrulo stormo
Di frascheggianti passere novelle.

Sola in tanto rumor tacita siede La matrona del loco; e chino il fronte, E increspate le ciglia, i sommi labbri Appoggia in sul ventaglio, arduo pensiere Macchinando tra sè. Medita certo, Come al candor, come al pudor si deggia La cara figlia preservar, che torna Doman da i chiostri, ove il sermon d'Italia Pur giunse ad obliar, meglio erudita De le galliche grazie. Oh qual dimane Ne i genitor, ne' convitati, a mensa Ben cicalando, ecciterai stupore, Bella fra i lari tuoi vergin straniera! Errai. Nel suo pensier volge di cose L'alta madre d'eroi mole più grande; E nel dubbio crudel col guardo invoca De le amiche l'aita; e a sè con mano Il fido cavalier chiede a consiglio. Qual mai del gioco a i tavolier diversi Ordin porra, che de le dive accolte Nulla obliata si dispetti, e nieghi Più qui tornare ad aver scorno ed onte? Come, con pronto antiveder, del gioco Il dissimil tenore a i genii eccelsi Assegnerà conforme; ond' altri poi Non isbadigli lungamente, e pianga Le mal gittate ore notturne, e lei De lo infelice oro perduto incolpi? Qual paro e quale al tavolier medesmo E di campioni e di guerriere audaci

Fia che tra loro a tenzonar congiunga;

Sì che già mai per miserabil caso
La vetusta patrizia, essa e lo sposo
Ambo di regi favolosa stirpe, [do,
Con lei non scenda al paragon, che al gra-
Per breve serie di scrivani, or ora
Fu de' nobili assunta, e il cui marito
Gli atti e gli accenti ancor serba del monte?
Ma che non puo sagace ingegno, e molta
D'anni e di casi esperienza? Or ecco,
Ella compose i fidi amanti, e lungi,
De la stanza nell' angol più remoto,
Il marito costrinse, a dì si lieti
Sognante ancor d'esser geloso. Altrove
Le occulte altrui, ma non fuggite all'occhio
Dotto di lei, benchè nascenti a pena,
Dolci cure d'amor, fra i meno intenti
O i meno acuti a penetrar nell' alte
Dell'animo latébre, in grembo al gioco
Pose a crescer felici : e già in duo cori
Grazia e mercè de la bell' opra ottiene.
Qui gl'illustri e le illustri ; e là gli estremi
seppe unir de' novamente compri
Feudi e de' prischi glorïosi nomi,
Cui manco la fortuna. Anco le piacque
Accozzar le rivali, onde spïarne
I mal chiusi dispetti. Anco per celia
Più secoli adunò, grato aspettando
E per gli altri e per sè riso dall' ire
Settagenarie, che nel gioco accense
Fien con molta raucedine e con molto
Tentennar di parrucche e cuffie alate.

Ben

Già per l'aula beata a cento intorno Dispersi tavolier seggon le dive, Seggon gli eroi, che dell' Esperia sono Gloria somma o speranza. Ove di quattro Un drappel si raccoglie, e dove un altro Di tre sol tanto. Ivi di molti e grandi Fogli dipinti il tavolier ti sparge; Qui di pochi e di brevi. Altri combatte; Altri sta sopra a contemplar gli eventi De la instabil fortuna, e i tratti egregi Del sapere o dell' arte. In fronte a tutti Grave regna il consiglio, e li circonda Maestoso silenzio. Erran sul campo Agevoli ventagli, onde le dame Cercan ristoro all' agitato spirto Dopo i miseri casi. Erran sul campo Lucide tabacchiere. Indi sovente Un'util rimembranza, un pronto avviso Con le dita si attigne; e spesso volge I destini del gioco e de la veglia Un atomo di polve. Ecco, se n'ugne La panciuta matrona intorno al labbro

Le calugini adulte : ecco, se n'ugne
Le nari delicate e un po' di guancia
La sposa giovinetta. In vano il guardo
D'esperto cavalier, che già su lei
Medita nel suo cor future imprese,
Le domina dall' alto i pregi ascosi;
E in van d'un altro, timidetto ancora,
Il pertinace pie l'estrema punta
Del bel piè le sospigne. Ella non sente,
O non vede, o non cura. Entro a que' fogli,
Ch'ella con man si lieve ordina o turba,
De le pompe muliebri, a lei concesse,
Or s'agita la sorte. Ivi è raccolto

Il suo cor, la sua mente. Amor sorride;
E luogo e tempo a vendicarsi aspetta.

Chi la vasta quiete osa da un lato Romper con voci successive, or aspre, Or molli, or alte, ora profonde, sempre Con tenore ostinato, al par di secchii, Che scendano e ritornino piagnenti Dal cupo alveo dell'onda; o al par di rote, Che, sotto al carro pesante, per lunga Odansi strada scricchiolar lontano? L'ampia tavola è questa, a cui s'aduna Quanto mai per aspetto, e per maturo Senno il nobil concilio ha di più grave O fra le dive socere, o fra i nonni, O fra i celibi, già da molti lustri Memorati nel mondo. In sul tappeto (1) Sorge grand'urna, che poi scossa in volta, La dovizia de' numeri comparte Fra i giocator, cui numerata è innanzi D'imagini diverse alma vaghezza. Qual finge il vecchio, che con man la negra Sopra le grandi porporine brache Veste raccoglie; e rubicondo il naso Di grave stizza, alto minaccia e grida, L'aguzza barba dimenando. Quale Finge colui, che con la gobba enorme E il naso enorme e la forchetta enorme Le cadenti lasagne avido ingoia. Quale il multicolor Zanni leggiadro, Che col pugno, posato al fesso legno, Sovra la punta dell' un piè s'innoltra; E la succinta natica rotando, Altrui volge faceto il nero ceffo. Ne d'animali ancor copia vi manca : 0, al par d'umana creatura, l'orso Ritto in due piedi ; o il micio; o la ridente Scimia; o il caro asinello, onde a sé grato E giocatrici e giocator fan speglio.

(1) La Caragnola, giuoco usitato in Lombardia.

Signor, che fai? Così, dell' opre altrui Inoperoso spettator, non vedi Già la sacra del gioco ara disposta A te pur anco? E nell' aurato bronzo, Che d'Attiche colonne il grande imita, I lumi sfavillanti, a cui nel mezzo, Lusingando gli eroi, sorge di carte Elegante congerie, intatta ancora? Ecco, s'asside la tua dama, e freme Omai di tua lentezza. Eccone un'altra; Ecco l'eterno cavalier con lei,

Che ritto in pie, del tavolino al labbro Più non chiede che te; e te co i guardi, Te con le palme, desiando, affretta. Questi, or volgon tre lustri, a te simile Corre di gloria il generoso stadio De la sua dama al fianco. A lei l'intero Giorno il vide vicino, a lei la notte Innoltrata d'assai. Varia tra loro Fu la sorte d'amor: mille le guerre; Mille le paci; mille i furibondi, Scapigliati congedi; e mille i dolci Palpitanti ritorni, al caro sposo Noti non sol, ma nel teatro e al corso Lunga e trita novella. Al fine Amore, Dopo tanti travagli, a lor nel grembo [po Molle sonno chiedea: quand'ecco il TemTra la coppia felice osa indiscreto Passar volando; e de la dama un poco, Dove il ciglio ha confin, riga la guancia Con la cima dell' ale; all' altro svelle Parte del ciuffo, che nel liquid' aere Si conteser di poi l'aure superbe. Al fischiar del gran volo, a i dolci lai De gli amanti sferzati, Amor si scosse; Il nemico senti; l'armi raccolse; A fuggir comincio. Pietà di noi, Picta, gridan gli amanti : or, se tu parti, Come sentir la cara vita, come Più lunghi desiarne i giorni e l'ore? Ne gia in van si grido. La gracil mano Verso l'omero armato Amor levando, Rise un riso vezzoso; indi un bel mazzo De le carte, che Félsina colora, Tolse da la faretra; e: Questo, ci disse, A voi resti in mia vece. Oh meraviglia! Ecco, que' fogli, con diurna mano E notturna trattati, anco d'amore Sensi spirano e moti. Ah se un invito Ben comprese giocando, e ben rispose Il cavalier, qual de la dama il fiede Tenera occhiata, che nel cor discende; E quale a lei voluttuoso in bocca Da una fresca rughetta esce il sogghigno!

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