́NOVELLA. PARTE PRIMA. QUANDO la Lombardia dall' odio antico E il Papa a quello in apparenza amico, Sdegnosa ancor della tedesca offesa Or qui Rolando famigliar divenne D'un conte Ermenegardo Falsabiglia, A cui, perchè improvviso a morir venne La moglie di ricchissima famiglia, Legavasi con tal patto solenne, Che a sposa ei gli darebbe una sua figlia, La crescente Ildegonda, che rimasa E con la madre alla paterna casa; E il Conte parimenti strinse sede Che avrebbe al figlio di Rolando data Una fanciulla sua, l'unica erede Che la madre morendo avea lasciata. Il Gualderan che in queste nozze vede La sorte di sua casa ristorata Stimola e assedia il Conte, e lo tien stretto Perche tosto si pongano ad effetto. Rogier le nozze affretta quant' ei puote -Cosi il figliuol del Gualderan s'appellaConvenienti per la ricca dote E pel casato ond' esce la donzella; Prega ella il padre che non voglia farla Fermo quantunque di sacrificarla, Sebben l'indugio ai Gualderan dispiac- E tosto che la lega fu disciolta, Giusta l'accordo che fra lor si prese, Dal Vaticano i Gualderan dier volta Tornando in fretta al lor natio paese, D'onde la bella fidanzata tolta Di nuovo a Roma esser dovean fra un mese A celebrarvi splendidi e reali Gli statuiti duplici sponsali. Ildegonda, e la madre giubilando Gli occhi alla ingenua sua figlia Rolando Lungi d'apporsi l'innocente figlia Al fin le chiede se le fia gradito La vergine si tinse di rossore Diede quell'atto al giovanil pudore E lei sempre chiamando avventurosa E che il corredo d' allestir gli preme Alla sposa, già tal la figlia noma, Affinché tutti il di composto insieme Sian per le nozze statuite a Roma. La fanciulla che il padre offender teme Con ogni sforzo se medesma doma, Ch'ei non s'accorga di che ria ferita L'abbia trafitta la novella udita. Ma la madre che in lei sola si piace E l'ama quanto amar madre più possa, Ne sa il pensier pur comportarsi in pace Che sia così dal fianco suo rimossa, Or la veggendo pallida, che tace E che la guarda, da pietà commossa Asconde il volto, come chi a gran pena Le prorompenti lagrime raffrena : E quella allor d'un impeto repente Quasi più non sapendo che si faccia, Surse dal desco come una demente E si slancio fra le materne braccia, Cadendole sul collo, e dolcemente Baciandola per gli occhi e per la faccia, Mentre pur non potendosi far motto Davan ambe in un piangere dirotto. - Godi, bella innocente sventurata, Di questo istante che t'ha il Ciel concesso, Godi il piacer del pianto inebbriata Nella dolcezza del materno amplesso. Ah! misera, non sai quanta giornata Di sacrificio ti si volga appresso; Ne allora il pianto della madre avrai, Che ti conforti fra cotanti guai. A quella vista il padre ed il fratello Conturbarsi, e in fortissimo sospetto La prima volta entravano di quello Segreto amor, ch'ella tien chiuso in petto; Al qual dubbiar fu inseguito suggello L'aver, siccome ella poi fè, disdetto L'assentimento, mendicando scuse, Avea già posto la dogliosa il core Spesso armeggiando visto ella l'avea Quindi giunta al domestico soggiorno Si fea più sempre pensierosa e mesta, Nulla bramando più, fuorchè il ritorno Del consueto primo di di festa ; Però che ai torneamenti per quel giorno La gioventù belligera s' appresta, E sotto l'armi, fra la nota schiera Veder quel forte un' altra volta spera. Ma in mirarselo poi passar dappresso, Siccome diè più fiate la ventura, Provava in cor quel turbamento istesso, Che è solita destarvi la paura, E avria voluto in quel momento spesso - Si timida e modesta è per naturaPotersi asconder, ch' ei non la notasse, E tenea il volto e le pupille basse. Ne il garzon di desio men violento Per lei, punto sentiasi ed infiammato, Chè la gentil persona, e il portamento Altero, e il viso bello e dilicato Della fanciulla, fra il marzial cimento Avea più volte con stupor notato; E in ogni atto e in ciascun rischio d'onore A piacerle, e non più poneva il core. E quando, dopo lungo indugio, vana Ch'ivi tornasse vide la speranza - Chè, assente il padre, la tenea lontana Notò la casa, e quindi ebbe raccolto Chi fossero i parenti, e prese usata In que' d'intorni, e procacciò con molto E ufficioso sempre e riverente Dell' ingenua fanciulla che gli assente Tutte le notti, e alcun non s'era accorto, Esca novella al foco ministrando In che avvampavan gli innocenti petti, Cosi, finchè lontan stette Rolando, Beati i di traean quei giovinetti : Ma, deh! qual cor fu il tuo, misera! quando Giunse inatteso il padre ai patrii tetti Recando la novella dolorosa D'averti altrui già destinata sposa! Passan più giorni, e il tempo s' avvicina Che a Roma egli debb' esser con la figlia : Invan pregata, invano e la meschina Stimolata da tutta la famiglia; Ma il padre, come l'ira lo strascina, E Rogier sempre instando lo consiglia; Due giorni alfin le accorda di pensiero Per sceglier quelle nozze o un monastero. Desolarsi in quei giorni fu veduta E il fratello, ed il padre ir supplicando, E che una cella a compiere l'aspetta I suoi giorni da tutti maledetta. La notte che il fatal giorno precesse, Il suo Rizzardo d'abbracciar si crede; - Ch'io t'abbandoni? dicea spesso, ch'io La madre?.. Oh! la dolente madre mia! La dolce madre! io l'ho pur sempre in core: Sai di che amore io l'ami, e tuttavia Si vaneggiando, il letto d'infocati Ma intanto che la bella dolorosa, Cosi fra il sonno e il vaneggiar sopita, Dal pianger finalmente si riposa E il travaglio addormenta della vita, Ecco giunger Rizzardo, d'ogni cosa Ignaro, che dappoi fosse seguita, E cruccioso dall' orto, e pien di sdegno Invitarla al veron col noto segno. Era ogni notte quel tapin venuto Celatamente al consueto ostello; Ma da gran tempo non avea potuto L'innamorata giovine vedello, Chè più guardinga dopo il suo rifiuto Fatta de' scaltrimenti del fratello, D'avventurarsi non avea baldanza A metter piede fuor della sua stanza. Ora in cupi pensier Rizzardo assorto Nuda recando in una man la spada, Schiuse il cancello, e penetrò nell' orto, Come il sicario che al delitto vada. Il difende da due parti un ritorto Muro, che il volger segue della strada, Sorge a destra il palagio, e lo circonda Il terrazzo ove già vide Ildegonda. Di fronte a questo è una muraglia bruna D'un vetusto castello ora deserto; Sbucarne i gufi al lume della luna Veggionsi e carolar col volo incerto, E le torri in lontano, da nessuna Cosa impedite, splendere all' aperto. Dubitando il garzon di qualche trama, Fra i rottami nascondesi e la chiama. La chiama, e quindi rattenendo il fiato, Porge ad ogni fragor l'orecchio attento, E il cor gli balza in petto esagitato, Avvisando esser dessa ogni momento; Ma non sente che un canto misurato, Or sì, or no secondo spira il vento: Era il canto notturno che al Signore Di Benedetto ergevano le Suore. Sospira, e poi la chiama un'altra volta, E pur l'orecchio intende e il respir cessa; Ed ecco l'alternar d'un passo ascolta Tacito, lento che ognor più s' appressa; Ecco farglisi sopra, i crin disciolta E nella faccia squallida e dimessa L'amata che alle sue stanze si fura Tutta tremante in cor dalla paura. Dall' alto spaldo del veron, qual era Grande della persona ed ajutante, Al lunar raggio discopriala intera Il desioso sguardo dell' amante : Appar vestita d'una veste nera Dolorosa negli atti e nel sembiante, E il bel volume delle chiome bionde Per le spalle, e pel sen le si diffonde. Esce all' aperto tosto che la vede Corucciato Rizzardo, e le si appressa, E d'aspri detti pungela e le chiede Ragion ch'abbia mancato alla promessa; Ch' egli ogni notte sulla data fede Quivi venuto era quell'ora istessa Ansio aspettando sino al far del giorno Fra mille rei sospetti il suo ritorno. La misera, raccolto ogni vigore, Allor con voce flebile e commossa - Vuoi tu, disse, ch'io muoja di dolore L'ultima volta che veder ti possa? Ma qui a un tratto scoppiar sentissi il core, E di frenarsi non avendo possa, Die in un gran pianto, ed il parlar fu rotto, Ne per gran tempo gli potea far motto. Sospirando il garzon dall' imo petto Sopraffatto ver lei levò la testa E-Chime! le disse, ohimè! cor mio diletto L'ultima volta che mi vedi è questa? L' hai tu, l' hai tu veracemente detto? Deh parla per pietà, deh non t' arresta E quella gli occhi si tergeva intanto, E seguitava con voce di pianto, Del duplice connubio raccontando Che avea col Conte il genitor statuto, E dello sdegno a che trascorse ei quando Intese dalla madre il suo rifiuto; E che, lui sempre a questo stimolando L'ingorda rabbia del fratello astuto, Le intimò come un monaster l'attenda Quando al prossimo di non gli s'arrenda; Ma ch' ella mille volte vuol morire, Se sofferta esser può più d' una morte Su questa terra, innanzi che patire D'esser d'altr'uom fuorchè di lui consorte; E qui si tacque, e da lontan sentire - Che più secondo il vento era e più fortePoté distintamente i sacri canti Delle Benedettine salmeggianti. Le corse un gel per tutta la persona, Dalla disperazion fatto più ardito O veramente, s'ella a ciò più inchina, Nè qui restando credasi secura, Ridotti si sarian d'una vicina Terra celatamente fra le mura: Che se ha pur cor di farsi pellegrina, E gir seco cercando la ventura, Seguirebbon la turba varia e tanta Che Frederico adduce in Terra Santa. Parve un istante la fanciulla in forse, Vinta da quanto l' amator le dice; Ma quasi un lampo all' animo le corse L'immagin dell' afflitta genitrice, E il cor segretamente le rimorse Il pensier pur di renderla infelice: Quindi la tema e il natural pudore Si ridestår nel mansueto core; E il parato giudicio delle genti Sovra il capo pesar grave s' intese; Onde a lui volta umanamente, - Senti, Mio primo e solo amor, senti, riprese, Sa il Ciel s'io t'amo, e s'io stato e parenti E questo dolce mio natal paese Non lascierei, teco affrontando ardita Quanto di più dubbioso è nella vita; Ma quando penso di che duol cagione Alla povera mia madre sarei, A cui già il padre il troppo amarmi appone, Oh allora a un tratto l'animo mi cade, Troppo l'abbandonarti già mi duole : - Che parli di morir? che mai dicesti? L'interruppe il garzon forte piangendo; Se il vuoi, più non m'oppongo che qui resti, Cosi di consolarla ei s' affatica, Universal correva in fra le genti Nell' età prima al creder più leggiera Ed ora le torna alla memoria un fatto Che avea più volte già in quel crocchio udiSiccome fer di visitarsi il patto [to, Premorendo un de' duoi, moglie e marito; E come quel sia valido contratto Quando con certe forme è statuito, E stretto è il primo che di viver cessa Da arcana forza a scioglier la promessa : Perchè mesta pensando e sbigottita A Rizzardo che tosto le vien tolto, Ne più speranza avendo in questa vita Che le sia dato riveder quel volto, Vederlo dopo l'ultima partita Almen vorrebbe ignudo spirto e sciolto; E un somigliante patto gli propone |