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́NOVELLA.

PARTE PRIMA.

QUANDO la Lombardia dall' odio antico
E dal novo pericolo commossa
Sorgea contra il Secondo Federico
Nipote del respinto Barbarossa,

E il Papa a quello in apparenza amico,
Celatamente pur con ogni possa
Gia suscitando più che mai gagliarda
La Lega formidabile Lombarda,

Sdegnosa ancor della tedesca offesa
Speditamente deputò Milano
Legato presso il Capo della Chiesa
Il Marchese Rolando Gualderano,
Il qual, fattosi aggiungere all' impresa
Compagno il figlio, corse al Vaticano,
Ove onorata entrambi ebbero stanza
Finché il periglio tenne l'alleanza.

Or qui Rolando famigliar divenne D'un conte Ermenegardo Falsabiglia, A cui, perchè improvviso a morir venne La moglie di ricchissima famiglia, Legavasi con tal patto solenne, Che a sposa ei gli darebbe una sua figlia, La crescente Ildegonda, che rimasa E con la madre alla paterna casa;

E il Conte parimenti strinse sede Che avrebbe al figlio di Rolando data Una fanciulla sua, l'unica erede Che la madre morendo avea lasciata. Il Gualderan che in queste nozze vede La sorte di sua casa ristorata Stimola e assedia il Conte, e lo tien stretto Perche tosto si pongano ad effetto.

Rogier le nozze affretta quant' ei puote -Cosi il figliuol del Gualderan s'appellaConvenienti per la ricca dote

E pel casato ond' esce la donzella;
Ma, son le istanze sue d'effetto vote
Che ripete ogni di presso di quella :
Pero ch' egli era alla fanciulla esoso,
La qual morrebbe anzi che averlo sposo.

Prega ella il padre che non voglia farla
Con un marito tal misera e grama,
E piange, e lo scongiura, e sì ben parla
Ch'egli che alfin le è padre, e che pur
l'ama;

Fermo quantunque di sacrificarla,
Contraddirle non sa l'ultima brama
Che differita almen venga ogni cosa
Finch' ei pur meni la novella sposa.

Sebben l'indugio ai Gualderan dispiac-
E d'inetto fra lor dien nota al Conte [cia,
Che obbedir da una figlia non si faccia,
E ai capricci di lei chini la fronte;
Non gli danno però querela in faccia,
Ma a quanto ei vuol mostran le voglie pron-
Temendo ch'egli offeso non ritratti [te,
Le sue promesse e star non voglia ai patti;

E tosto che la lega fu disciolta, Giusta l'accordo che fra lor si prese, Dal Vaticano i Gualderan dier volta Tornando in fretta al lor natio paese, D'onde la bella fidanzata tolta Di nuovo a Roma esser dovean fra un mese A celebrarvi splendidi e reali Gli statuiti duplici sponsali.

Ildegonda, e la madre giubilando
Rivider così alfin gli amati volti;
Gli abbracciamenti si iteraro, e quando
Tutti alla mensa furono raccolti,

Gli occhi alla ingenua sua figlia Rolando
Con un riso festevole rivolti,
A indovinar l'invita di qual dono
Apportatori egli e Rogier le sono.

Lungi d'apporsi l'innocente figlia
Nominava con aria di contento
Un cintolo, un monile, una smaniglia
E altro tal muliebre adornamento:
A gioco ei lungamente in pria si piglia
Quell' esitante pueril talento;

Al fin le chiede se le fia gradito
Più d'un giojello, il dono d'un marito;

La vergine si tinse di rossore
Poi chino gli occhi, impallidissi e tacque:

Diede quell'atto al giovanil pudore
Della candida figlia; e sen compiacque,
Blando a lei sorridendo il genitore ;
E seguito narrando come nacque
Il pensier primo, e come poscia fatto
Avea del doppio maritaggio il patto :

E lei sempre chiamando avventurosa
Oltre a quanto arrivar possa il pensiero;
Ch'era prescelta a divenir la sposa
Del più ricco, e prestante cavaliero,
E giovin, bella, docile, amorosa
Commendando l'amata di Rogiero,
Conchiudeva con dir che termin prese
A tale effetto lo spirar del mese;

E che il corredo d' allestir gli preme Alla sposa, già tal la figlia noma, Affinché tutti il di composto insieme Sian per le nozze statuite a Roma. La fanciulla che il padre offender teme Con ogni sforzo se medesma doma, Ch'ei non s'accorga di che ria ferita L'abbia trafitta la novella udita.

Ma la madre che in lei sola si piace E l'ama quanto amar madre più possa, Ne sa il pensier pur comportarsi in pace Che sia così dal fianco suo rimossa, Or la veggendo pallida, che tace E che la guarda, da pietà commossa Asconde il volto, come chi a gran pena Le prorompenti lagrime raffrena :

E quella allor d'un impeto repente Quasi più non sapendo che si faccia, Surse dal desco come una demente E si slancio fra le materne braccia, Cadendole sul collo, e dolcemente Baciandola per gli occhi e per la faccia, Mentre pur non potendosi far motto Davan ambe in un piangere dirotto.

- Godi, bella innocente sventurata, Di questo istante che t'ha il Ciel concesso, Godi il piacer del pianto inebbriata Nella dolcezza del materno amplesso. Ah! misera, non sai quanta giornata Di sacrificio ti si volga appresso; Ne allora il pianto della madre avrai, Che ti conforti fra cotanti guai.

A quella vista il padre ed il fratello Conturbarsi, e in fortissimo sospetto La prima volta entravano di quello Segreto amor, ch'ella tien chiuso in petto; Al qual dubbiar fu inseguito suggello L'aver, siccome ella poi fè, disdetto

L'assentimento, mendicando scuse,
A quelle nozze senza lei conchiuse.

Avea già posto la dogliosa il core
In un gentil garzon bello e valente,
E con tutto il furor del primo amore
Accesa era di lui perdutamente:
Nomavasi Rizzardo Mazzafiore
Sceso di buona popolana gente,
Un cresciuto nell' arti della guerra
A salvamento della patria terra.

Spesso armeggiando visto ella l'avea
Venir per gioco alle più strette prese,
Chè fra i rischii dell' armi allor godea
La gioventù bollente milanese :
Uno fra tanti bello le parea,
E di tutti più nobile, e cortese;
E in ogni scontro inavvedutamente
Desiderava ch' ei fosse vincente.

Quindi giunta al domestico soggiorno Si fea più sempre pensierosa e mesta, Nulla bramando più, fuorchè il ritorno Del consueto primo di di festa ; Però che ai torneamenti per quel giorno La gioventù belligera s' appresta, E sotto l'armi, fra la nota schiera Veder quel forte un' altra volta spera.

Ma in mirarselo poi passar dappresso, Siccome diè più fiate la ventura, Provava in cor quel turbamento istesso, Che è solita destarvi la paura,

E avria voluto in quel momento spesso - Si timida e modesta è per naturaPotersi asconder, ch' ei non la notasse, E tenea il volto e le pupille basse.

Ne il garzon di desio men violento Per lei, punto sentiasi ed infiammato, Chè la gentil persona, e il portamento Altero, e il viso bello e dilicato Della fanciulla, fra il marzial cimento Avea più volte con stupor notato; E in ogni atto e in ciascun rischio d'onore A piacerle, e non più poneva il core.

E quando, dopo lungo indugio, vana Ch'ivi tornasse vide la speranza

- Chè, assente il padre, la tenea lontana
La genitrice da ogni ragunanza -
Venne ne' di festivi alla gualdana (1),
Che avea di correr la cittade usanza,
E galoppando cogli armati in folla
Ad un balcon la vide e salutolla.

Notò la casa, e quindi ebbe raccolto Chi fossero i parenti, e prese usata

In que' d'intorni, e procacciò con molto
Studio di rivederla ogni giornata :
Ella arrossiva, e tutta era pel volto
La fiamma ond' arde il cor significata;
Sicch' ei fatto più ardito a poco a poco,
Le discoverse l'amoroso foco.

E ufficioso sempre e riverente
Con si modesto zel la perseguia,
Che piegò ad ascoltarlo finalmente
La verginale intatta ritrosia

Dell' ingenua fanciulla che gli assente
Quella parola ch' ei tanto desia:
E tutta vergognosa, a lui confessa
Il grande amor che gli portava anch'essa.
Avea fidente la donzella onesta
Schiuso all'amor del suo Rizzardo il core,
Dacch' ei giurava che l'avrebbe chiesta
Per le nozze agognate al genitore:
Il fervido garzon solo di questa
Dolce speranza nutre il casto amore:
La virtù della vergine era tanta
Ch'ei la guardava come cosa santa.

Tutte le notti, e alcun non s'era accorto,
Recavasi Ildegonda ad un verone
Interior che rispondea nell'orto
Fatto patente al cupido garzone
Per un cancello ond'ella il fece scorto,
Che dalla strada agevol si frappone :
E qui insiem convenuti per lunghe ore
Intratteneansi a ragionar d'amore

Esca novella al foco ministrando In che avvampavan gli innocenti petti, Cosi, finchè lontan stette Rolando, Beati i di traean quei giovinetti : Ma, deh! qual cor fu il tuo, misera! quando Giunse inatteso il padre ai patrii tetti Recando la novella dolorosa D'averti altrui già destinata sposa!

Passan più giorni, e il tempo s' avvicina Che a Roma egli debb' esser con la figlia : Invan pregata, invano e la meschina Stimolata da tutta la famiglia; Ma il padre, come l'ira lo strascina, E Rogier sempre instando lo consiglia; Due giorni alfin le accorda di pensiero Per sceglier quelle nozze o un monastero.

Desolarsi in quei giorni fu veduta

E il fratello, ed il padre ir supplicando,
Ma dal fiero proposto non si muta
Per questo l'inflessibile Rolando :
Protesta che per figlia ei la rifiuta,
Se resiste al paterno suo comando,

E che una cella a compiere l'aspetta I suoi giorni da tutti maledetta.

La notte che il fatal giorno precesse,
Dal terror, dall' angoscia delirante,
Non che dormir la misera potesse,
Nè sulle piume s'adagiò un istante :
Va in mente rivolgendo le promesse
Iterate più volte al caro amante,
E la speme, e i delirii fortunati
A che s'erano entrambi abbandonati.
Spesso, abbracciando gli origlieri e il
letto,

Il suo Rizzardo d'abbracciar si crede;
E come donna fuor dell' intelletto
Sensibilmente a sè dinanzi il vede,
E con lui parla, e sente il poco affetto
Improverarsi e la mancata fede,
Le par ch'ei piagna, e pur com'ella suole,
Di lagrime il conforta e di parole.

- Ch'io t'abbandoni? dicea spesso, ch'io
Giammai ponga in altr'uom gli affetti miei?
Deh! per pietà non crederlo, cor mio,
Che ne manco volendo io lo potrei :
Ti giuro, o mio Rizzardo, e sallo Iddio
Siccome a me tu necessario sei:
Ei che il segreto mio gemito ascolta
Sa ch'io di duol morrò se ti son tolta.

La madre?.. Oh! la dolente madre mia! La dolce madre! io l'ho pur sempre in

core:

Sai di che amore io l'ami, e tuttavia
Quel che a te porto è più profondo amore:
Tutta in pianto pregavami la pia,
Che cedessi al voler del genitore,
Con cari nomi mi pregava, ed era
Rifiutata per me la sua preghiera -

Si vaneggiando, il letto d'infocati
Baci travaglia tuttavolta e abbraccia;
A più illudersi gli occhi tien serrati
E sulle coltri abbandona la faccia;
E dolcemente ne' bei di passati
Lascia rapirsi d'aurei sogni in traccia,
Di pensiero in pensier passa e delira
E dimentica il duol che la martira.

Ma intanto che la bella dolorosa, Cosi fra il sonno e il vaneggiar sopita, Dal pianger finalmente si riposa E il travaglio addormenta della vita, Ecco giunger Rizzardo, d'ogni cosa Ignaro, che dappoi fosse seguita, E cruccioso dall' orto, e pien di sdegno Invitarla al veron col noto segno.

Era ogni notte quel tapin venuto Celatamente al consueto ostello; Ma da gran tempo non avea potuto L'innamorata giovine vedello, Chè più guardinga dopo il suo rifiuto Fatta de' scaltrimenti del fratello, D'avventurarsi non avea baldanza A metter piede fuor della sua stanza. Ora in cupi pensier Rizzardo assorto Nuda recando in una man la spada, Schiuse il cancello, e penetrò nell' orto, Come il sicario che al delitto vada. Il difende da due parti un ritorto Muro, che il volger segue della strada, Sorge a destra il palagio, e lo circonda Il terrazzo ove già vide Ildegonda.

Di fronte a questo è una muraglia bruna D'un vetusto castello ora deserto; Sbucarne i gufi al lume della luna Veggionsi e carolar col volo incerto, E le torri in lontano, da nessuna Cosa impedite, splendere all' aperto. Dubitando il garzon di qualche trama, Fra i rottami nascondesi e la chiama.

La chiama, e quindi rattenendo il fiato, Porge ad ogni fragor l'orecchio attento, E il cor gli balza in petto esagitato, Avvisando esser dessa ogni momento; Ma non sente che un canto misurato, Or sì, or no secondo spira il vento: Era il canto notturno che al Signore Di Benedetto ergevano le Suore.

Sospira, e poi la chiama un'altra volta, E pur l'orecchio intende e il respir cessa; Ed ecco l'alternar d'un passo ascolta Tacito, lento che ognor più s' appressa; Ecco farglisi sopra, i crin disciolta E nella faccia squallida e dimessa L'amata che alle sue stanze si fura Tutta tremante in cor dalla paura. Dall' alto spaldo del veron, qual era Grande della persona ed ajutante, Al lunar raggio discopriala intera Il desioso sguardo dell' amante : Appar vestita d'una veste nera Dolorosa negli atti e nel sembiante, E il bel volume delle chiome bionde Per le spalle, e pel sen le si diffonde.

Esce all' aperto tosto che la vede Corucciato Rizzardo, e le si appressa, E d'aspri detti pungela e le chiede Ragion ch'abbia mancato alla promessa;

Ch' egli ogni notte sulla data fede Quivi venuto era quell'ora istessa Ansio aspettando sino al far del giorno Fra mille rei sospetti il suo ritorno.

La misera, raccolto ogni vigore, Allor con voce flebile e commossa - Vuoi tu, disse, ch'io muoja di dolore L'ultima volta che veder ti possa? Ma qui a un tratto scoppiar sentissi il core, E di frenarsi non avendo possa, Die in un gran pianto, ed il parlar fu rotto, Ne per gran tempo gli potea far motto.

Sospirando il garzon dall' imo petto Sopraffatto ver lei levò la testa E-Chime! le disse, ohimè! cor mio diletto L'ultima volta che mi vedi è questa? L' hai tu, l' hai tu veracemente detto? Deh parla per pietà, deh non t' arresta E quella gli occhi si tergeva intanto, E seguitava con voce di pianto,

Del duplice connubio raccontando Che avea col Conte il genitor statuto, E dello sdegno a che trascorse ei quando Intese dalla madre il suo rifiuto; E che, lui sempre a questo stimolando L'ingorda rabbia del fratello astuto, Le intimò come un monaster l'attenda Quando al prossimo di non gli s'arrenda;

Ma ch' ella mille volte vuol morire, Se sofferta esser può più d' una morte Su questa terra, innanzi che patire D'esser d'altr'uom fuorchè di lui consorte; E qui si tacque, e da lontan sentire

- Che più secondo il vento era e più fortePoté distintamente i sacri canti Delle Benedettine salmeggianti.

Le corse un gel per tutta la persona,
Chè quella malinconica armonia
Quasi annunzio di morte in cor le suona
E pinge alla commossa fantasia
Il padre che sdegnato l'abbandona
Fra quella schiera penitente e pia;
Sola nell' aspra sua cura tenace
A tribolarsi in mezzo a tanta pace.

Dalla disperazion fatto più ardito
Dopo qualche silenzio il garzon disse,
Che solo di salvezza era un partito,
Che seco quella notte ella fuggisse:
Sul terrazzo sarebbe egli salito
A darle ajuto affin che giù venisse,
E tosto empiendo i riti della Chiesa
Come sua sposa poi l' avria difesa.

O veramente, s'ella a ciò più inchina, Nè qui restando credasi secura, Ridotti si sarian d'una vicina Terra celatamente fra le mura: Che se ha pur cor di farsi pellegrina, E gir seco cercando la ventura, Seguirebbon la turba varia e tanta Che Frederico adduce in Terra Santa.

Parve un istante la fanciulla in forse, Vinta da quanto l' amator le dice; Ma quasi un lampo all' animo le corse L'immagin dell' afflitta genitrice, E il cor segretamente le rimorse Il pensier pur di renderla infelice: Quindi la tema e il natural pudore Si ridestår nel mansueto core;

E il parato giudicio delle genti Sovra il capo pesar grave s' intese; Onde a lui volta umanamente, - Senti, Mio primo e solo amor, senti, riprese, Sa il Ciel s'io t'amo, e s'io stato e parenti E questo dolce mio natal paese Non lascierei, teco affrontando ardita Quanto di più dubbioso è nella vita;

Ma quando penso di che duol cagione Alla povera mia madre sarei,

A cui già il padre il troppo amarmi appone,
E il fallo mio vendicherebbe in lei;
Quando penso che innanzi a sua stagione
Sospingere al sepolcro io la potrei,
E che i pietosi estremi ufficii invano
Morendo invocheria dalla mia mano;

Oh allora a un tratto l'animo mi cade,
E s'anco fossi di morir secura
Restando, carità mi persuade
A compiere i miei di fra queste mura :
Però ti prego, abbi di me pietade,
Questo oltraggio risparmia alla natura;
Di mia misera vita il breve corso
Deh non m'avvelenar con un rimorso:
Ah cessa! cimentarono abbastanza
La mia scarsa virtù le tue parole;
Troppa hanno, ahi! troppa sul mio cor
possanza,

Troppo l'abbandonarti già mi duole :
Ricorditi di me, non ho speranza
Di più vederti dopo il nuovo sole :
Orbata del tuo amor che la conforta
Udrai fra poco che Ildegonda è morta. -

- Che parli di morir? che mai dicesti? L'interruppe il garzon forte piangendo; Se il vuoi, più non m'oppongo che qui resti,

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Cosi di consolarla ei s' affatica,
Ma alla fanciulla ogni lusinga è tolta,
E parle che una voce al cor le dica
- Non sperar di vederlo un' altra volta -
D'ogni conforto uman però nemica
Disfacendosi in lagrime l'ascolta,
E come certa già di sua sciagura
Un suo strano pensier volge e matura.

Universal correva in fra le genti
Una stolta credenza a quella etate,
Che sorgesser dai tumuli recenti
L'anime all' altra vita trapassate,
E a visitar tornassero i parenti
E le persone caramente amate,
Per vari segni dando lor contezza
Se in loco eran di pena o di salvezza:

Nell' età prima al creder più leggiera
Avea Ildegonda quell' error succhiato,
Quando d' amiche tra una poca schiera
Nel loco della casa il più appartato
Avidamente s'accogliea la sera,
E ogni lume alla camera levato,
Tutte a cerchio, fantastiche avventure
Narravansi di spettri e di paure.

Ed ora le torna alla memoria un fatto Che avea più volte già in quel crocchio udiSiccome fer di visitarsi il patto [to, Premorendo un de' duoi, moglie e marito; E come quel sia valido contratto Quando con certe forme è statuito, E stretto è il primo che di viver cessa Da arcana forza a scioglier la promessa :

Perchè mesta pensando e sbigottita A Rizzardo che tosto le vien tolto, Ne più speranza avendo in questa vita Che le sia dato riveder quel volto, Vederlo dopo l'ultima partita Almen vorrebbe ignudo spirto e sciolto; E un somigliante patto gli propone

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