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Chè a lui contende tutta onesta speme L'ira che in cor delle due genti freme.

Ma già trascorso era il secondo mese
Di quella, ahi troppo dolce prigionía!
Quando da prima susurrar s'intese
Che di pace trattar Como desía;
Ne molto andò che ai primi accordi scese
Seco la milanese Signoría;

E innanzi a tutto si fermò per patto
De' prigionieri il subito riscatto.

Chi il gaudio ridirà che il cor d'Ulrico
Tutto innonda all'udir questa novella?
Incontanente ei corre dall' amico
Svelandogli l'amor per sua sorella :
Questi poi l'odio della madre antico
Vinse, e assentir fece alle nozze anch'ella.
Celebreransi, così a tutti piace,
Tosto che stretta si sarà la pace.

Intanto a darne avviso a' suoi parenti Ritorni Ulrico alla natia dimora : Dubbio non avvi ch' ei non sian contenti Di tanto illustre e costumata nuora : Stupida resta a si insperati eventi Lida, e quasi sognar parle talora; E a tal ribocco di piacer non basta La mente verginal timida e casta.

Andonne Ulrico, ed all' assenza porre Il più breve confin volle egli stesso : Ecco giugne aspettato, ecco trascorre Inutilmente il termine promesso : Giorni a giorni s'aggiungono, nè a sciorre La sua parola ei vien, nè alcun suo messo. Già un lungo mese a compier non è lunge, E pur anco di lui nuova non giunge.

L'amico a discolpar da pria si pone Richelmo, e con sollecito riguardo Si figura ogni di qualche ragione Che gli possa scusar tanto ritardo : Spaccia messi, ne chiede alle persone Che tornan dal nemico baluardo : Nessun l'ha visto; tacito e celato Vuolsi che il patrio lido abbia lasciato.

Ma si buccina intorno, come cosa Che in silenzio si ordía di lunga mano, Ch'ito egli è a Dongo per menarne sposa La figlia di quel ricco Castellano: Il qual si leveria dalla incresciosa Alleanza contratta con Milano, Per darsi a Como, insiem con la sua terra, Fin che fosse durata quella guerra. Venian frattanto dolorose e grevi

Nuove, che alla rival città vicina
Toltesi da Milano, le Tre-Pievi
Si fosser collegate e Valtellina,
E la riviera in arme si sollevi
Minacciandone l'ultima ruina :
Perchè temendo i nostri d'un assalto,
A munir diersi, a rinforzar lo spalto.

Contristato nel cor, Richelmo allora
Tradito veramente si credette:
E sconsigliato sè nomando, e fuora
Del senno, non aver posa promette
Fino al di che adempiute della suora
Sullo slcal non abbia le vendette,
Istigandol la madre, che bisogna
Lavar nel sangue reo quella vergogna.

Piange Lida, e accusando in suo segreto
L'amante, infido e traditor lo dice;
Ma irritar l'altrui genio immansueto
Paventa se lei scorgano infelice;

E però il volto quanto può più lieto
Mostra al fratello ed alla genitrice;
E se alla sua presenza alcun l'accusa,
Con soavi parole ella lo scusa.

Fidato essendo il tenitor che corre Da Lecco su pel lago a destra mano, La madre andossi tostamente a porre Colle figlie al Castello di Bellano; Ch'ivi ella campi in feudo ed una torre Tenea dall' arcivescovo Giordano, Signor di quella Terra e di quel forte, Ov' hanno gli Arcivescovi una Corte.

Da un pezzo la sua suocera ridotta Ivi pur s'era, omai dagli anni attrita, Che la natía de' monti aria incorrotta Era conforto alla cadente vita: E, fratello di lei, sulla dirotta D'un burrone vicin balza romita, Traea contento i giorni un vecchio abate, Chiaro intorno per senno e santitate.

CANTO SECONDO.

LIMPIDO, azzurro in sull'aurora è il cielo Da un vapor roseo, ove il sol nasce, tinto; Bianchi di neve e di notturno gelo Son valli e monti e il lido che n'è cinto: Il lago sol che non ne soffre il velo, Bruno fra quel candor spicca distinto;

E capovolti sotto l'onde quete
Rupi e capanne ed alberi ripete.
Sotto al candido incarco oppresse e do-
Vedi incurvarsi pei vicini člivi, [me
E nondimanco verdeggiar le chiome
Degli allor, dei cipressi e degli ulivi :
Grami augelletti che calâr, siccome
Falli il cibo, dai lor gioghi nativi,
Volan fra i rami, e cader fanno al lieve
Tocco in minuta polvere la neve.

Con un mesto pensier che la governa
Lida, la bella innamorata,
siede
Solinga nella camera superna
Di quella torre, ond' è la madre erede :
Bruna, quadrata in riva alla Pioverna
S'innalza, e il lago le flagella il piede;
Il battelier s'affretta a quella via
Se Val-Menaggio manda traversía.

Talor si leva la fanciulla, al vano D'un finestrel s'affaccia e l'occhio intende, Sovra il ciglio tenendo alta la mano, Che dal baglior del sole lo difende : Nulla dell'acque sull'immoto piano Le appar, per quanto il guardo si distende: Siede, poi torna a mirar l' onde avare Più volte, e nulla mai, mai non appare.

La sera del di innanzi, in sè raccolta, Mentr' ella orava in chiesa a capo chino, Le si accostò all' orecchio tra la folta, Chiamandola per nome, un pellegrino, Il qual sommesso le dicca: - M'ascolta, Con sei vele doman verso il mattino Passerà Ulrico: com' ei l'abbia addotte In salvo a Dongo, qui verrà la notte.

Di gaudio e di terror misto un affanno Alla vergin contese la parola: Fra gli stipati che sgombrando vanno Si mesce il nunzio intanto, e le s'invola: Cosi, pur dubitando d'un inganno, Lassú era corsa timidetta e sola, Celatamente innanzi al primo albore, Se spuntar veggia le aspettate prore.

Ed ecco finalmente in lontananza Le attese navi remigando a gara; Eran sei, tutte in fila, e una distanza A numerarle acconcia le separa: Dall' alber della prima che s'avanza Lunga all' indietro si distende e chiara L'insegna che ai prigion già vide indosso, Una candida croce in campo rosso.

Balzava alla fanciulla il cor nel petto,

Ed affisando pur la capitana,
Che di Menaggio omai giunta in prospetto
Prende il largo, volgendo a tramontana,
Le parea di veder come un'elmetto
Scosso a darle un segnal dalla lontana :
Non rispondea la bella, e tuttavia
Il navil con bramosi occhi seguia,

Che Nobial sinuoso, e la Gaeta
E i balzi d'Acqua-Seria trapassando,
Su che già i tralci s' educâr di Creta,
Recisi allor da nequitoso brando,
Corre a golfo slanciato alla pineta,
Ond'è ombrato Rezzonico; allorquando
Di qua dal lago ella ver Dervio guata,
E vede sollevarsi una fumata;

Poi dietro il promontorio ond' è pre

scritto

Varco angusto al distendersi dell'onda,
E breve dalla sua punta è il tragitto
A chi si rechi sull' opposta sponda,
Mira apparir più navi, e a cammin dritto
Sulla comense uscir flotta gioconda,
La qual, veduta la nemica insegna,
A tutta voga di fuggir s'ingegna.

Lo spazio che le due flotte divide
Vien seemando, seemando ad ogni istante;
L'assalitrice all' altra già precide
La fuga, e già le si attraversa innante :
Al fulgor delle scosse armi omicide
Vedi ad un tratto l'aria luccicante;
E un grido formidabil si diffonde
Cupo, incessante sulla via dell' onde.

Al di là intanto dell' estrema vetta S'alza da tramontana un gran nebbione: Una grigia rotonda nuvoletta

Sene spicca, e vien via dritto al Legnone:
Al vicin lido il pescator s'affretta
E la sua navicella in salvo pone :
Stride il guaíro folleggiante, e cala
Radendo il lago con prestissim' ala.

Odi un sordo fragor che di lontano
Sorge, e crescendo vien di monte in mon-
Vedi alzarsi in colonne al subitano [te,
Turbin la neve sui ciglion di fronte :
Tacito, immoto è ancor dell'acque il pia-
Sol che dal boreal fosco orizzonte
Basso un ruggito vien, che manifesta
L'imminente arrivar della tempesta.

[no,

Lida, dall' alto della torre, ov' era, Al di là dello stretto, in lontananza, L'onda vedea,ch'or spumeggiante, ornera Minacciosa e terribile s'avanza:

Eppur coi voti ella l'affretta, e spera Che di stornar la pugna avrà possanza : Ma ecco giungere il nembo, ecco le grosse Navi dai fieri cavallon percosse.

A furor salta di traverso il vento, Batte i navigli per le larghe sponde, [to Li caccia un contra l'altro, e in un momenTutti insiem li rimescola e confonde: Rimbomban sobbalzati al violento Impeto irresistibile dell'onde, E alle percosse che si dan talora Nel volteggiar, colla ferrata prora.

Qui fra i nemici Legni i Milanesi Mirano avviluppato un lor naviglio, Là veggonsi i Comaschi in mezzo presi; Dappertutto è un tumulto, uno scompiglio, Un gettar pietre e dardi e zolfi accesi, Un afferrarsi a furia col ronciglio, Un azzuffarsi su per gli orli estremi, Le spade, i pugni adoperando e i remi.

La capitana de' Comensi, quella Che sull'albero avea la rossa insegna, Lungi sbattuta vien dalla procella, E d'entrar nella mischia invan s'ingegna; Ma in fretta alzata un' agil manganella, Ov'è il più fitto de' nemici segna, E ne tempesta le impacciate navi Con sassi, e tronchi di segate travi.

Ingrossa tuttavolta la fortuna Che le sdrucite barche urta e travaglia: In poco spazio or tutte le raduna, [glia; Or piomba il turbo in mezzo e le sparpaE al fin qua e là travolte, ad una ad una Contra le rive di Bellan le scaglia, Di che alcuna si frange, alcuna viene Gettata in salvo sulle secche arene.

Per le Ville frattanto e per la Terra Sonavano a martello le campane; Traea la folla a quel segnal di guerra Armata a furia in mille fogge strane ; Chi picche e mazze e balestroni afferra, Chi spiedi e renche e falci rusticane; Ei naufraghi assaltando, con selvaggia Esultanza, gli uccidon per la spiaggia. Ma dei rotti Comaschi il maggior legno Che della torre al piè cacciato venne, Fesso quantunque e a mille colpi segno, Pur sempre galleggiante si mantenne; E fuggir forse anche potea, ma a sdegno L'ebber, nè alcun d'abbandonar sostenne I compagni infelici dell' impresa,

Benchè scorgesser vana ogni difesa.

Stando poco discosti dalla riva, Infestano con pietre e con quadrelli La folla che lunghesso incrudeliva Sui naufragati supplicanti e imbelli; Ma fuor de' moli una conserva usciva Di caichi, di burchi e di battelli, Lievi sopra le irate onde saltanti, La nave a circuir da tutti i canti.

La proterva cosi frotta de' cani S'affolta e gira balzellando intorno All'orso, che ferito han gli alpigiani, Anelante dal correr tutto il giorno; Che latrando da pria ne stan lontani, Ma imbizzarriti poscia al suon del corno, Stringono il cerchio, e avvisano la presa In quella parte ov' ha minor difesa.

La fanciulla atterrita e palpitante, Non può da tanto orror torcere il ciglio, Ch'ella riconosciuto avea l'amante Fra quei che pugnan dal maggior naviglio, E ognor più irreparabile e più instante Del misero vedea farsi il periglio: Qual ferito de' suoi, qual giacca morto; Già quasi era dall' onde il legno assorto.

Mentre i pochi rimasti egli rincora Dall' alta poppa, che difende a pena, Volteggiando un battel, sotto la prora Gli si caccia, e ne allerra la catena ; Poi batte i remi e, rimurchiando, fuora Tragge il legno malconcio in ver l'arena; Tutti plaudendo con feroce grido Dalle barche, dai portici, dal lido.

Ben tosto di nemici un grosso stuolo A precipizio dentro vi si spande; Rimasto in sulla poppa Ulrico è solo Punto e incalzato da tutte le bande; Vede più sempre farsi accosto il molo, Troppo di chi l'assal la schiera è grande; Al più infesto ei s'avventa, e dalla sponda Abbracciato con lui cade nell'onda.

Fu allor dal fondo della nave udita
Alta femminea voce di lamento;
Non l'intese, che fredda e tramortita
Lida in quella cadea sul pavimento,
Ove lung' ora dimorò, rapita
A sè medesma, e fuor d'intendimento,
A traverso la soglia, in giù ritorta,
Pallida, fredda, come cosa morta.

Al fin si scuote, con incerto piede,
Dubbia di quanto pur fosse avvenuto,

Corre al pertugio, guarda al basso e vede
Il lido fatto omai deserto e muto;
Un lento fiotto ancor l'arena fiede,
Ma l'orgoglio del vento era caduto;
Galleggianti pel vasto errano sparte
Vele e antenne qua e là, tavole e sarte.

Scorre col guardo pavido la spiaggia,
Ei cadaveri mira, in sull'asciutto
Altri gettati, altri che ancora oltraggia
Lungo le arene l'alternar del flutto:
Elmi, scudi, corazze il sol ne irraggia :
A parte a parte ella riguarda il tutto,
E alfin di speme accoglie un raggio amico,
Chè le note non vede armi d' Ulrico.

Fuggitivo però fu quel conforto, Ché pel cortil, per gli anditi frattanto E per le interne camere era sorto Un ulular di donne, un suon di pianto; Tende l'orecchio, ode una voce - É morE il gemito raddoppia in ogni canto: [to!Precipitosa allor scende, siccome Furente, sparsa le scomposte chiome.

Trova una folla della torre al basso, Che d'ogni parte irrompe dalle strade, E di guai tutto empiendo, e di fracasso, Il portico, l'andron, la corte invade. All' apparir di lei ciascun dà il passo Di riverenza in atto e di pietade. Verso le stanze, onde un fragor venia Di più acute querele, ella s'invia.

Vi giunse, e vide, ahi vista! in sul ter

reno

Un cadavere, e stretto intorno a quello
Battersi lagrimando il volto e il seno
Di sergenti e di femmine un drappello :
Sul morto ella slanciossi, in un baleno
La faccia ne scoverse: era il fratello.
Levò uno strido, e sulla fronte amata
S'abbandonò piangente e disperata.

Nessun sapea che il giovinetto ardito
Dirizzato si fosse a quella volta,
Chè a Lecco la Città l' avea spedito
A far di navi e d' uomini raccolta;
E nell' ufficio assunto, su quel lito
Stavasi travagliando tuttavolta,
Quand' ebbe spia che Ulrico in Valtellina
Un suo convoglio tragettar destina.

Brillo di gioja a quell'annunzio, e unita Una flottiglia a mezza notte, in fretta, Della sua Lida ch'ei credea tradita Corse per far sul mancator vendetta ; Ma al primo scontro vi lasciò la vita,

Ferito in mezzo al cor d'una saetta;
E, infranta poi la nave ch' ei saliva,
Fu dall' onde gettato in sulla riva.

Curva sopra il cadaver miserando
Lagrimò la sorella lungamente:
Ne rifuggì, lo ribaciò, ma quando
Ampio sfogo ebbe dato al duol presente,
Le tornò in core Ulrico, e abbrividando
A suoi primi terror corse la mente;
In piè rizzossi, e chieder ne volea
Ma una piena d'affetti il contendea.

In mezzo a tanta pieta, ecco a fatica Traendo il lento travagliato fianco, Guidar si fea la cieca avola antica, Scinta le vesti, squallida il crin bianco; Più grave il pianto alzò la turba amica, Ed ella-Oh date il passo! oh, grida, almanAlla misera vecchia non sia tolto [co L'ultimo bacio imprimer su quel volto!

Le si fe'incontro la fanciulla pia, E nella man di lei la sua man pose : Quella la riconobbe, e-O figlia mia, Disse con rotte voci dolorose, Ov'è Richelmo? a lui m' apri la via. Obbedi la fanciulla, e non rispose: Composto intanto sopra un ricco strato, Entro una bara il morto avean locato.

Come l'antica veneranda appresso Al cadaver si sente, lenta, lenta Posata una man tremola sovr' esso, Il petto, il volto, il crin muta ne tenta; Poi mormorava fra le labbra - É desso! Allor, levata al ciel la faccia spenta, Sclamò, facendo forza al suo dolore, - Giusti i giudizi tuoi sono, o Signore.

Ma tosto sopraffatta da uno schianto Che le affatica e gonfia il cor nel petto, Chinossi e ruppe in un dirotto pianto Sulla fronte del morto giovinetto; E fra i singhiozzi-Oh mia delizia e vanto! Sclamava, e il caro capo tenea stretto, Chi mi t'ha tolto? ahimè chi m' ha rapita La luce d'esta mia cadente vita?

Non più accorrendo stenderai la mano A sorreggermi il fianco vacillante; Aspetterò la tua parola invano, Che blanda mi volgevi e accarezzante; Però che tu, cortese a tutti e umano, Fin da quand' eri tenerello infante, Più ch'a ogn' altro eri dolce a questa grama Che coll'estremo fiato ora ti chiama :

Ne altrove mai che sul mio sen posata

La faccia, al sonno tu chiudevi gli occhi,
Né cibo nè bevanda t'era grata
Che non ti porgess'io sui miei ginocchi:
O cara mano! e qui la man gelata
Stringesi al petto, lascia ch' io ti tocchi!
Con che pietà m' accarezzavi il volto
Poiché il ben della luce mi fu tolto!-

Tacque un istante, chè del duol la piena
Le soffocò la voce ed il respiro;
E udiva il pianto che di larga vena
Versan gli astanti impietositi in giro;
Fra il mormorío dolente ebb' ella appena
Distinto della sua Lida il sospiro,
Che mosse le man tremule e dubbiose
Ver lei, sentilla e in capo gliele pose,
Dicendo -lo ne morrò, chè d'anni grave
Sono e già troppo dalle angosce attrita;
Ma tua madre, ma tu giglio soave,
Dannate in duri tempi a trar la vita,
Ahi! che farete, in mezzo a genti prave,
Sole senza consiglio e senza aita,

Su

questa infida maladetta terra Di civile rancor piena e di guerra?

Qui ammutissi la vecchia e con amore
Raccolse la nipote in fra le braccia,
Che dall' impeto vinta del dolore,
In seno a lei chinata avea la faccia;
Ne del fratello è sol pietà che il core
Affanni alla fanciulla, anco l'agghiaccia
Quella tema crudel non mai sopita
D'un altra ad essa ahi! troppo cara vita.
Tema crudel, che ammorza a poco a
poco

D'ogn' altra cura il senso, e tanto cresce
E le fa forza, che non trova loco
S'ella di tanta angustia alfin non esce:
Leva la fronte, e con accento fioco
Che ai singhiozzi e alle lagrime si mesce,
Di virgineo pudor tinta la bella
Gota, ne chiese a una vicina ancella.

La qual certificolla come illeso
Dall' onde Ulrico avea visto raccorre,
E che coi pochi che fur salvi, preso
Stassi nella segreta della torre.
Null' altro avesse la donzella inteso!
Ma l'indiscreta femmina trascorre
A dir che chiusa era in quel fondo cieco
Una fanciulla ancor ch' egli avea seco,
Di vago aspetto sul fiorir degli anni,
Che dal fianco di lui pende amorosa;
E sol per essa par ch'egli s' affanni,
Ne' pensiero lo tocchi d'altra cosa;

Che quella, e non v' ha dubbio che s'inganL'universal credenza, è la sua sposa, [ni Ch' egli ai feudi adducea di Valtellina Perchè alla madre sua stesse vicina.

Quest'ultime parole alla donzella In mortale veneno ebber tornata Subitamente la vital novella Che l'avea tutta quanta confortata: Senza moto restò, senza favella, Stupida un pezzo e come trasognata : Smorta, tremante alfin, col capo basso Volse improvviso alle sue stanze il passo.

Ma l'avola poi ch'ebbe al violento Materno affanno alcuna tregua imposto, Collocar con pietoso avvedimento Fa il cadaver nel loco più nascosto, Vuol che cessato in casa ogni lamento, Ai propri uffici ognun rieda tantosto: Che, tornando la nuora ch' era assente, Si gran duol non la fieda di repente.

Per Corte-Nova allo spuntar del giorno Essa con Odalinda era partita, Lasciando che farebbero ritorno La sera, chè di poche ore è la gita: Dell' avola il fratello in quel contorno Stavasi, il venerabil cenobita, Il qual spacciato aveale in fretta un messo Significando ch'ella corra ad esso.

Vide oscurarsi a un tratto l'orizzonte
La donna, e al basso la procella intese,
Allor che giunta ove s'innaspra il monte
Stette, ed al chiostro solitario scese:
Ahi! non sapea su quale amata fronte
Le furie di quei nembi eran sospese!
A che naviglio intorno furibonde
In quell'istante imperversavan l'onde!
Della bambina prese ella la mano,
Che stretta nella sua tremar sentia.
Il vecchio ad incontrarla, in volto umano,
Affrettossi con grave cortesia,

E per un corridor nel più lontano
Ridotto la fe'entrar della Badia,
Dove a seder la pose a un picciol foco,
Col maggior agio che consenta il loco.

Poi cominciava a dir del maritaggio
Dappria composto; e che non gli era asco ·
Com' ella figurandosi un oltraggio [so,
Di che innocente era il promesso sposo,
Respinto avea son pochi di un messaggio,
Siccome fassi d'un vituperoso,
Che a lei da quel leale era mandato
A discolparlo del non suo peccato.

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