Chè a lui contende tutta onesta speme L'ira che in cor delle due genti freme. Ma già trascorso era il secondo mese E innanzi a tutto si fermò per patto Chi il gaudio ridirà che il cor d'Ulrico Intanto a darne avviso a' suoi parenti Ritorni Ulrico alla natia dimora : Dubbio non avvi ch' ei non sian contenti Di tanto illustre e costumata nuora : Stupida resta a si insperati eventi Lida, e quasi sognar parle talora; E a tal ribocco di piacer non basta La mente verginal timida e casta. Andonne Ulrico, ed all' assenza porre Il più breve confin volle egli stesso : Ecco giugne aspettato, ecco trascorre Inutilmente il termine promesso : Giorni a giorni s'aggiungono, nè a sciorre La sua parola ei vien, nè alcun suo messo. Già un lungo mese a compier non è lunge, E pur anco di lui nuova non giunge. L'amico a discolpar da pria si pone Richelmo, e con sollecito riguardo Si figura ogni di qualche ragione Che gli possa scusar tanto ritardo : Spaccia messi, ne chiede alle persone Che tornan dal nemico baluardo : Nessun l'ha visto; tacito e celato Vuolsi che il patrio lido abbia lasciato. Ma si buccina intorno, come cosa Che in silenzio si ordía di lunga mano, Ch'ito egli è a Dongo per menarne sposa La figlia di quel ricco Castellano: Il qual si leveria dalla incresciosa Alleanza contratta con Milano, Per darsi a Como, insiem con la sua terra, Fin che fosse durata quella guerra. Venian frattanto dolorose e grevi Nuove, che alla rival città vicina Contristato nel cor, Richelmo allora Piange Lida, e accusando in suo segreto E però il volto quanto può più lieto Fidato essendo il tenitor che corre Da Lecco su pel lago a destra mano, La madre andossi tostamente a porre Colle figlie al Castello di Bellano; Ch'ivi ella campi in feudo ed una torre Tenea dall' arcivescovo Giordano, Signor di quella Terra e di quel forte, Ov' hanno gli Arcivescovi una Corte. Da un pezzo la sua suocera ridotta Ivi pur s'era, omai dagli anni attrita, Che la natía de' monti aria incorrotta Era conforto alla cadente vita: E, fratello di lei, sulla dirotta D'un burrone vicin balza romita, Traea contento i giorni un vecchio abate, Chiaro intorno per senno e santitate. CANTO SECONDO. LIMPIDO, azzurro in sull'aurora è il cielo Da un vapor roseo, ove il sol nasce, tinto; Bianchi di neve e di notturno gelo Son valli e monti e il lido che n'è cinto: Il lago sol che non ne soffre il velo, Bruno fra quel candor spicca distinto; E capovolti sotto l'onde quete Con un mesto pensier che la governa Talor si leva la fanciulla, al vano D'un finestrel s'affaccia e l'occhio intende, Sovra il ciglio tenendo alta la mano, Che dal baglior del sole lo difende : Nulla dell'acque sull'immoto piano Le appar, per quanto il guardo si distende: Siede, poi torna a mirar l' onde avare Più volte, e nulla mai, mai non appare. La sera del di innanzi, in sè raccolta, Mentr' ella orava in chiesa a capo chino, Le si accostò all' orecchio tra la folta, Chiamandola per nome, un pellegrino, Il qual sommesso le dicca: - M'ascolta, Con sei vele doman verso il mattino Passerà Ulrico: com' ei l'abbia addotte In salvo a Dongo, qui verrà la notte. Di gaudio e di terror misto un affanno Alla vergin contese la parola: Fra gli stipati che sgombrando vanno Si mesce il nunzio intanto, e le s'invola: Cosi, pur dubitando d'un inganno, Lassú era corsa timidetta e sola, Celatamente innanzi al primo albore, Se spuntar veggia le aspettate prore. Ed ecco finalmente in lontananza Le attese navi remigando a gara; Eran sei, tutte in fila, e una distanza A numerarle acconcia le separa: Dall' alber della prima che s'avanza Lunga all' indietro si distende e chiara L'insegna che ai prigion già vide indosso, Una candida croce in campo rosso. Balzava alla fanciulla il cor nel petto, Ed affisando pur la capitana, Che Nobial sinuoso, e la Gaeta Poi dietro il promontorio ond' è pre scritto Varco angusto al distendersi dell'onda, Lo spazio che le due flotte divide Al di là intanto dell' estrema vetta S'alza da tramontana un gran nebbione: Una grigia rotonda nuvoletta Sene spicca, e vien via dritto al Legnone: Odi un sordo fragor che di lontano [no, Lida, dall' alto della torre, ov' era, Al di là dello stretto, in lontananza, L'onda vedea,ch'or spumeggiante, ornera Minacciosa e terribile s'avanza: Eppur coi voti ella l'affretta, e spera Che di stornar la pugna avrà possanza : Ma ecco giungere il nembo, ecco le grosse Navi dai fieri cavallon percosse. A furor salta di traverso il vento, Batte i navigli per le larghe sponde, [to Li caccia un contra l'altro, e in un momenTutti insiem li rimescola e confonde: Rimbomban sobbalzati al violento Impeto irresistibile dell'onde, E alle percosse che si dan talora Nel volteggiar, colla ferrata prora. Qui fra i nemici Legni i Milanesi Mirano avviluppato un lor naviglio, Là veggonsi i Comaschi in mezzo presi; Dappertutto è un tumulto, uno scompiglio, Un gettar pietre e dardi e zolfi accesi, Un afferrarsi a furia col ronciglio, Un azzuffarsi su per gli orli estremi, Le spade, i pugni adoperando e i remi. La capitana de' Comensi, quella Che sull'albero avea la rossa insegna, Lungi sbattuta vien dalla procella, E d'entrar nella mischia invan s'ingegna; Ma in fretta alzata un' agil manganella, Ov'è il più fitto de' nemici segna, E ne tempesta le impacciate navi Con sassi, e tronchi di segate travi. Ingrossa tuttavolta la fortuna Che le sdrucite barche urta e travaglia: In poco spazio or tutte le raduna, [glia; Or piomba il turbo in mezzo e le sparpaE al fin qua e là travolte, ad una ad una Contra le rive di Bellan le scaglia, Di che alcuna si frange, alcuna viene Gettata in salvo sulle secche arene. Per le Ville frattanto e per la Terra Sonavano a martello le campane; Traea la folla a quel segnal di guerra Armata a furia in mille fogge strane ; Chi picche e mazze e balestroni afferra, Chi spiedi e renche e falci rusticane; Ei naufraghi assaltando, con selvaggia Esultanza, gli uccidon per la spiaggia. Ma dei rotti Comaschi il maggior legno Che della torre al piè cacciato venne, Fesso quantunque e a mille colpi segno, Pur sempre galleggiante si mantenne; E fuggir forse anche potea, ma a sdegno L'ebber, nè alcun d'abbandonar sostenne I compagni infelici dell' impresa, Benchè scorgesser vana ogni difesa. Stando poco discosti dalla riva, Infestano con pietre e con quadrelli La folla che lunghesso incrudeliva Sui naufragati supplicanti e imbelli; Ma fuor de' moli una conserva usciva Di caichi, di burchi e di battelli, Lievi sopra le irate onde saltanti, La nave a circuir da tutti i canti. La proterva cosi frotta de' cani S'affolta e gira balzellando intorno All'orso, che ferito han gli alpigiani, Anelante dal correr tutto il giorno; Che latrando da pria ne stan lontani, Ma imbizzarriti poscia al suon del corno, Stringono il cerchio, e avvisano la presa In quella parte ov' ha minor difesa. La fanciulla atterrita e palpitante, Non può da tanto orror torcere il ciglio, Ch'ella riconosciuto avea l'amante Fra quei che pugnan dal maggior naviglio, E ognor più irreparabile e più instante Del misero vedea farsi il periglio: Qual ferito de' suoi, qual giacca morto; Già quasi era dall' onde il legno assorto. Mentre i pochi rimasti egli rincora Dall' alta poppa, che difende a pena, Volteggiando un battel, sotto la prora Gli si caccia, e ne allerra la catena ; Poi batte i remi e, rimurchiando, fuora Tragge il legno malconcio in ver l'arena; Tutti plaudendo con feroce grido Dalle barche, dai portici, dal lido. Ben tosto di nemici un grosso stuolo A precipizio dentro vi si spande; Rimasto in sulla poppa Ulrico è solo Punto e incalzato da tutte le bande; Vede più sempre farsi accosto il molo, Troppo di chi l'assal la schiera è grande; Al più infesto ei s'avventa, e dalla sponda Abbracciato con lui cade nell'onda. Fu allor dal fondo della nave udita Al fin si scuote, con incerto piede, Corre al pertugio, guarda al basso e vede Scorre col guardo pavido la spiaggia, Fuggitivo però fu quel conforto, Ché pel cortil, per gli anditi frattanto E per le interne camere era sorto Un ulular di donne, un suon di pianto; Tende l'orecchio, ode una voce - É morE il gemito raddoppia in ogni canto: [to!Precipitosa allor scende, siccome Furente, sparsa le scomposte chiome. Trova una folla della torre al basso, Che d'ogni parte irrompe dalle strade, E di guai tutto empiendo, e di fracasso, Il portico, l'andron, la corte invade. All' apparir di lei ciascun dà il passo Di riverenza in atto e di pietade. Verso le stanze, onde un fragor venia Di più acute querele, ella s'invia. Vi giunse, e vide, ahi vista! in sul ter reno Un cadavere, e stretto intorno a quello Nessun sapea che il giovinetto ardito Brillo di gioja a quell'annunzio, e unita Una flottiglia a mezza notte, in fretta, Della sua Lida ch'ei credea tradita Corse per far sul mancator vendetta ; Ma al primo scontro vi lasciò la vita, Ferito in mezzo al cor d'una saetta; Curva sopra il cadaver miserando In mezzo a tanta pieta, ecco a fatica Traendo il lento travagliato fianco, Guidar si fea la cieca avola antica, Scinta le vesti, squallida il crin bianco; Più grave il pianto alzò la turba amica, Ed ella-Oh date il passo! oh, grida, almanAlla misera vecchia non sia tolto [co L'ultimo bacio imprimer su quel volto! Le si fe'incontro la fanciulla pia, E nella man di lei la sua man pose : Quella la riconobbe, e-O figlia mia, Disse con rotte voci dolorose, Ov'è Richelmo? a lui m' apri la via. Obbedi la fanciulla, e non rispose: Composto intanto sopra un ricco strato, Entro una bara il morto avean locato. Come l'antica veneranda appresso Al cadaver si sente, lenta, lenta Posata una man tremola sovr' esso, Il petto, il volto, il crin muta ne tenta; Poi mormorava fra le labbra - É desso! Allor, levata al ciel la faccia spenta, Sclamò, facendo forza al suo dolore, - Giusti i giudizi tuoi sono, o Signore. Ma tosto sopraffatta da uno schianto Che le affatica e gonfia il cor nel petto, Chinossi e ruppe in un dirotto pianto Sulla fronte del morto giovinetto; E fra i singhiozzi-Oh mia delizia e vanto! Sclamava, e il caro capo tenea stretto, Chi mi t'ha tolto? ahimè chi m' ha rapita La luce d'esta mia cadente vita? Non più accorrendo stenderai la mano A sorreggermi il fianco vacillante; Aspetterò la tua parola invano, Che blanda mi volgevi e accarezzante; Però che tu, cortese a tutti e umano, Fin da quand' eri tenerello infante, Più ch'a ogn' altro eri dolce a questa grama Che coll'estremo fiato ora ti chiama : Ne altrove mai che sul mio sen posata La faccia, al sonno tu chiudevi gli occhi, Tacque un istante, chè del duol la piena Su questa infida maladetta terra Di civile rancor piena e di guerra? Qui ammutissi la vecchia e con amore D'ogn' altra cura il senso, e tanto cresce La qual certificolla come illeso Che quella, e non v' ha dubbio che s'inganL'universal credenza, è la sua sposa, [ni Ch' egli ai feudi adducea di Valtellina Perchè alla madre sua stesse vicina. Quest'ultime parole alla donzella In mortale veneno ebber tornata Subitamente la vital novella Che l'avea tutta quanta confortata: Senza moto restò, senza favella, Stupida un pezzo e come trasognata : Smorta, tremante alfin, col capo basso Volse improvviso alle sue stanze il passo. Ma l'avola poi ch'ebbe al violento Materno affanno alcuna tregua imposto, Collocar con pietoso avvedimento Fa il cadaver nel loco più nascosto, Vuol che cessato in casa ogni lamento, Ai propri uffici ognun rieda tantosto: Che, tornando la nuora ch' era assente, Si gran duol non la fieda di repente. Per Corte-Nova allo spuntar del giorno Essa con Odalinda era partita, Lasciando che farebbero ritorno La sera, chè di poche ore è la gita: Dell' avola il fratello in quel contorno Stavasi, il venerabil cenobita, Il qual spacciato aveale in fretta un messo Significando ch'ella corra ad esso. Vide oscurarsi a un tratto l'orizzonte E per un corridor nel più lontano Poi cominciava a dir del maritaggio |