TRAGEDIA. Noi leggevamo un giorno per diletto, Di Lancillotto come amor lo strinse Soli eravamo e senza alcun sospetto. Per più fiate gli occhi ci sospinse Quella lettura e scolorocci il viso, Ma solo un punto fu quel che ci vinse. Quando leggemmo il disiato riso, Esser baciata da cotanto amante, Questi, che mai da me non fia diviso, La bocca mi baciò tutto tremante. PERSONAGGI. LANCIOTTO, signor di Rimini. GUIDO, signore di Ravenna. FRANCESCA, sua figlia e moglie di Lanciotto. UN PAGGIO. GUARDIE. La scena è in Rimini nel palazzo signo rile. ATTO PRIMO. SCENA PRIMA. Esce LANCIOTTO dalle sue stanze per andare all'incontro di GUIDO, il quale giunge. Si abbracciano affettuosamente. GUIDO. VEDERMI dunque ella chiedea? Ravenna Tosto lasciai; men della figlia caro Sariami il trono della terra. LANCIOTTO. Oh Guido"! Come diverso tu rivedi questo Che di me dica: Non v' ha rege al mondo GUIDO. Mi sforzi al pianto. - Pargoletta, ell'era Con preghiere continue ella stancava LANCIOTTO. Inconsolabil del fratel perduto Di generoso cavaliero i sensi. GUIDO. Lasso! e potevi?... LANCIOTTO. Il ciel disperda l'empio Giuramento! L'udi ripeter ella, Edorror n'ebbe, e a me le man stendendo: Giura, sclamò, giura d'amarlo: ei solo, Quand' io più non sarò, pietoso amico Ti rimarrà... Ch'io l'ami impone, e l'odia, La disumana! E andar chiede a Ravenna Nel suo natio palagio, onde gli sguardi Non sostener dell' uccisor del suo Germano. GUIDO. Appena ebbi il tuo scritto, inferma Temei foss'ella. Ah, quanto io l'ami, il sai! Che troppo io viva... tu mi intendi... io sempre Tremo. LANCIOTTO. Oh, non dirlo!.. Io pur, quando sopita La guardo... e chiuse le palpebre e il bianVolto segno non dan quasi di vita, [co Con orrenda ansietà pongo il mio labbro Sovra il suo labbro per sentir se spiri : E del tremor tuo tremo.- In feste e giochi Tenerla volli, e sen tediò: di gemme Doviziosa e d'oro e di possanza Farla, e fu grata ma non lieta. Al cielo Devota è assai : novelle are costrussi. Cento vergini e cento alzano ognora Preci per lei, che le protegge ed ama. Ella s'avvede ch'ogni studio adopro Onde piacerle, e me lo dice, e piange. Talor mi sorge un reo pensier... Avessi Qualche rivale? O ciel! ma se da tutta La sua persona le traluce il core Candidissimo e puro!... Eccola. Non per me mi pento. Iddio m'ha posto un incredibil peso D'angoscia sovra il core, e a sopportarlo Rassegnata son io. Gli anni miei tutti Di lagrime incessanti abbeverato Avrei del pari in solitaria cella Come nel mondo. Ma di me dolente Niuno avrei fatto!... liberi dal seno Sariano usciti i miei gemiti a Dio, Onde guardasse con pictà la sua Creatura infelice, e la togliesse Da questa valle di dolor!... Non posso Ne bramar pure di morir: te affliggo, O generoso sposo mio, vivendo : T'affliggerei più, s'io morissi. LANCIOTTO. O pia Perdona: amore è di sospetti fabbro. - Sguardi! Che ti fec' io? FRANCESCA. Di mie sciagure La cagion non sei tu?... Perchè strap parmi Dal suol che le materne ossa racchiude? Là calmato avria il tempo il dolor mio; Qui tutto il desta, e lo rinnova ognora... Passo non fo ch'io non rimembri...-Oh insana ! Fuor di me son. Non creder, no... LANCIOTTO. ... A Ravenna, Francesca, si, col genitor n'andrai. Prence, t'arresta. GUIDO. LANCIOTTO. Oh, a' dritti miei rinunzio. Dalla tua patria non verrò a ritorti : Chi orror t' ispira, ed è tuo sposo, e t'ama Pur tanto, più non rivedrai... se forse Pentita un giorno e a pietà mossa, al tuo Misero sposo non ritorni... E forse, Dall'angosce cangiato, ah, ravvisarmi Più non saprai! Ben io, ben io nel core La tua presenza sentirò: al tuo seno Volerò perdonandoti. Me benedisse? - Egli dal ciel ci guarda, LANCIOTTO. Vederti, udirti, e non amarti... umana Cosa non è. -Sien grazie al cielo, odiarti Ella, no, non potrà. |