Giá cultori apparecchia, artieri, esquadre A la patria d'eroi famosa madre. Crescete, o pargoletti: un di sarete, Tu, forte appoggio de le patrie mura; E tu, soave cura E lusinghevol esca a i casti cori. Le si dolci promesse? O quai d'atroce grandine furori Ne sfregiano il bel verde e i primi fiori? Fra le tenere membra orribil siede De la stirpe degli uomini flagello E la macchina frale O al tutto abbatte, o le rapisce il bello, Quasi a statua d'eroe rival scarpello. Tutti la furia indomita vorace, Da i tuguri conduce a' regi tetti; Ne le tombe condensa Prole d'uomini immensa. ODI. Sfugge taluno, è vero, a i guardi infetti; Ma palpitando peggior fato aspetti. Oh miseri! Che val di medic' arte Quando il morbo nemico è su la porta, Oh debil arte, oh mal secura scorta, [ta! Il fiero inevitabile demone. Poi che il buon punto ha colto, E lo astrigne ad usar ne la tenzone Del regnante velen spontaneo elegge Quel ch'e men tristo; e macolar ne suole La ben amata prole, Che, non più recidiva, in salvo torna, Va Pechino coperto; E di femmineo merto Tesoreggia il Circasso, e i chiostri adorna O Monteyù, qual peregrina nave, Diseppellendo antiqui regni e vasti, Di strana gemma c d'auro, Che a pareggiare, non che a vincer basti Rise l'Anglia, la Francia, Italia rise De la falsa ragione incontro alzosse. A le imprese tentate; [se, Contro al suo bene, e contro al ver si mosE di lamento femminile armosse. Ben fur preste a raccor gl' infausti doni, Che, attraversando l'oceano aprico, Lor condusse Americo; E ad ambe man li trangugiaron pronte. Gli avanzi sanguinosi, Strinser gioiendo; e da lo stesso fonte Tal del folle mortal, tale è la sorte: Contra natura che i suoi don gli porge. E il popol colto, che tropp'alto scorge, Sempre il novo ch'è grande, appar Mio Bicetti, al volgar debile ingegno; De' saggi dietro all'utile s'ostina. Così l'Anglia, la Francia, Italia vide Drappel di saggi contro al vulgo armarse. Lor zelo indomit' arse, E di popolo in popolo s'accese. Non più debole e nudo, Il tenero garzon cauto discese, Tu sull'orme di quelli ardito corri, Tu pur, Bicetti; e di combatter tenta La pietà violenta, Che a le Insubriche madri il core implíca. La superstizion, del ver nemica, E l'ostinata folle scola antica. Quanta parte maggior d'almi nipoti Coltiverà nostri felici campi! [ra! E quanta fia che avvampi Del pigro Imene, che infecondo or erra, Le giovinette con le man di rosa I giovinetti fronde coglieranno; Già circonda l'alloro, Intrecceran ghirlande, e canteranno : Questi a morte ne tolse, o a lungo danno. Tale il nobile plettro infra le dita Il duro sasso dell'umana mente; Con lusinghevol suono Verso il ver, verso il buono; Ne mai con laude bestemmiò nocente IL BISOGNO AL SIGNOR WIRTZ PAETORE PER LA REPUBBLICA ALTETICA. On tiranno signore De' miseri mortali, Oltre corri, e fremente Con le folgori in mano Al misero mortale Ahi! l'infelice allora I comun patti rompe; Ogni confine ignora; Ne' beni altrui prorompe; Mangia i rapiti pani Con sanguinose mani. Ma quali odo lamenti, Cola Temide armata Meco vieni al cospetto Anco il Bisogno è accolto. Le spade sospendete; Ma quale a tai parole Tu, Wirtz, uom saggio e giusto, Tu cui si spesso vinse LA EDUCAZIONE. TORNA a fiorir la rosa, La guancia risorgente I crin che in rete accolti Forma attendon novella Vigor novo conforta O mio tenero verso, Pur or cessò l'affanno Simili or dunque a dolce O pianta di buon seme, Vorrei di geniali Deh! perchè non somiglio Già con medica mano Quel Centauro ingegnoso Rendea feroce e sano Il suo alunno famoso; Ma, non men che a la salma, Porgea vigore all' alma. A lui che gli sedea Sopra la irsuta schiena, Chiron si rivolgea Con la fronte serena, Tentando in su la lira Suon che virtude inspira. Scorrea con giovanile Man pel selvoso mento Del precettor gentile, E con l'orecchio intento D'E cide la prole Bevea queste parole : Garzon, nato al soccorso Ben sul robusto fianco Ma in van, se il resto oblio, Di Teti odi o figliuolo, D'Eaco e di Peléo Altri le altere cune Lascia, o garzon, che pregi : Le superbe fortune Del vile anco son fregi. Chi de la gloria è vago, Onora, o figlio, il Nume, Giustizia entro al tuo seno Perchè si pronti affetti Si bei doni del cielo Che a la virtù si oppone. Da la lor meta han lode, Ma quel più dolce senso, Te questo ognor costante Tal cantava il Centauro. LA TEMPESTA. ODI, Alcone, il muggito Nell'alto mar de la crudel tempesta, Che con tuono infinito Scoppia da lungi, e rimbombar fa il lito. Ahime! miseri legni, Che cupidigia e ambizion sospinse, Per li mobili regni Lor speme a sciorre oltre gli Erculei segni! De la spiaggia nativa il basso fondo. Credeva altro d'immani Dare a gli abeti estrani, E dell' altrui tesoro empier suoi vani. Ma il tuono e il vento e l' onda Il forte remigar, l'urto che abbonda Vince, ne frena. E intanto, Serpendo incendioso, il fulmin fischia; E fra l'orribil mischia De' venti, e il buio manto Del cielo, ognun paventa essere infranto. E già più l' un non puote L'alto durar tormento: uno al destino Un contro all' aspra cote Di cieco scoglio il fianco urta e percote. E quale il flutto avverso Beve giá rotto; e qual del multiforme Monte dell'acque enorme Sopra di lui riverso [so. Cede al gran peso,e al fin piomba sommer Alcon, non ti rammenti Quel che superbo per ornata prora Di purpurei, lucenti Segni ingombrando gli alberi potenti? A quello d'ambo i lati Stendeansi piane a lui davanti; e aigremFregiati d'aurei lembi, De' canapi felici Spiravan ostinati i venti amici; Mentre Glauco e i Tritoni Pur con le braccia lo spingean più forte; Augurii intorno a lui con alti suoni. E lungo i pinti banchi Le Dee del mar, sparse le chiome bionde, Carolavan per l'onde, Che lucide su i bianchi Dorsi fuggian strisciando e sopra i fianchi Il beato nocchier timor che il roda, Al mattin primo e al bruno A te sia lode, o nume, Di cui son l'opre ognor potenti e grandi, O se nel suol ti spandi Con le fuggenti spume, O di Cinzia t'innalzi al chiaro lume. Tu col tridente altero A tuo piacer la terra ampia dividi; Scorrevole a i mortali apri sentiero. Rota per te le nuove, Non è di te maggior, superno Giove. Tale adulava. Or mira, Or mira, Alcon, come del porto in faccia, Lungi dal porto il caccia Nettuno stesso, e a dira Sorte con gli altri lo trasporta e aggira! E la ricchezza imposta Indi con la tornante onda ritoglie; Ne gitta e la scomposta Mole a traverso dell' arida costa. Ahi, qual furore il mena |