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Urge il tempo, ho deciso: ad ogni rischio Sol rimango io, ma Sigismonda è salva.» «Che dici o mio signor? »

« Sotto l'ammanto D'altra grave cagion, rapido cocchio E destrieri apparecchiansi : al tramonto Portator de' messaggi io di Rasperto Al re m'invio - ciò crederassi - il cocchio Tu guiderai; più prezioso un pegno In mio loco ivi fia. Non della corte D'Ugo il cammin, ma di Vinegia prendi: Sino al mar non ristarti : un agil legno Senza indugio v' accolga, ed al suo illustre Proscritto zio la vergine conduci. »

« Deh, l'arcano mi spiega!

« Odi : tu sai Che alla prigion della regal donzella, Fuor ch'a entrambi i tiranni e alle lor

guardie,

[gno,

Ad uom recarsi non è dato. Appena
Due antiche ancelle-e l'una a Sigismonda
Nutrice fu - ponno ogni di all' affllitta
Di compianto e amista porger ristoro.
Ad esse favellai. Della nutrice
Le spoglie io vesto, all'altra m'accompa-
In carcer resto, e assuntesi le spoglie
Della nutrice, Sigismonda fugge.
Ir non può in fallo il colpo: occhio severo
Su queste donne non s'estende. Inferma
Da lungo è quella onde la voce io tolgo:
Muta sol ivi penetrar, ravvolta

In ampio velo: al scender della torre
Al lor umile tetto uom non le segue.
Buje or sono le notti : al destro lato
Del vicin tempio le fuggiasche trovi.
Salgano il carro immantinente: sferza
Senza posa i cavalli. »

« O signor mio, Che fai? tua vita perdi: a' genitori Pensa. »

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Agli esempii lor penso: la vita Posposer sempre al maggior ben-l'onore!»> « Del finto personaggio a me la cura Dona, all'illustre zio tu stesso adduci La salvata donzella. »

༥ Oh, ben da tanto M'estimo io si! nè a tue virtù, la gloria Di morir per si giusto atto, minore Certo saria! Ma di soverchia mole É, Almadeo, tua presenza : in guisa niuna Dal travestir s'illuderian gli sgherri : Me affida inoltre il valor mio : l'acciaro Del padre d'Eloisa io sotto ai lini Donneschi porto, e allor che s'avvedranno

(Dopo molte ore, deh, ciò sia!) le guardie
Dell'inganno sofferto, io d'atterrarle
E scampar non dispero; e piena l'opra
Forse eseguir che il morto re domanda.»>

Resistenza e preghiere e ammonimenti Ripete invan l'antico. - I fatti egregi Pensa anche il vil talvolta: il sol gagliardo Li pensa e compie - e tra il pensiero e il fatÈ una ferrea catena, e niuna scossa [to Quella catena fa ondeggiar.

Le donne Alla torre presentansi. Il guardiano – « Dio ti ridoni la salute o inferma ! » E la sana risponde: « Oggi l'affanno Più dell'usato la meschina opprime, Ne a veglia quindi appo la dama a lungo Starci forse potremo. » E ciò dicendo, Al saluto venal porgea cortese Qualche mercede.

Inesplorate i neri Avvolgimenti della torre ascendono,

E lor la trista cella si disserra

Di Sigismonda; indi il guardian sen parte.
Tutto in breve ode la fanciulla. Invasa

Da sorpresa e rossor, confusi, incerti
Detti favella. Il giovin cavaliero
E la vecchia fedel con premurose
Istanze le fan forza. Ah, d'involarsi
Dall' infame imeneo trattasi, i dubbi
Stolti, funesta ogni esitanza fora!

Della nutrice a Sigismonda i veli
S'appongono.-L'inferma appo la dama
Lunga dimora far non può : al suo tetto
Già si ritira. In fondo era alla cella
Adel quando il guardian chiuse, e le donne
Fuor della torre addusse; ed osservato
Perciò non venne.

Poich'è sol, del manto Che il cingea si discioglie, e il suo guerriero Aspetto ripigliando, avido tende E inquieto l'orecchio. Ei di sventura Trema - non già per sè : sull'elsa ha il puI perigli ricorda in cui quel brando [gno: Conquistò a Giorgio la vittoria : stretta Si tien sul cor la zona d'Eloisa E sovrumnana forza alla sua destra Tal s' infonde, che intrepido i suoi giorni Venderia e cari a folta schiera innanzi, Ma alla fuggiasca pensa e per lei trema. « Che direbbero Italia e Valafrido, E i miei parenti e un di Eloisa, ov'io Con improvvida audacia a morte spinta Avessi Sigismonda? Eppur la scelta Di più partiti io non avea, e il peggiore

Era l'indugio. Strepito non odo:
Oh cielo, arriso avresti? Ale ai corsieri
Presta, lor tracce agli inseguenti ascondi!
Propizii sovra il mar spira i tuoi venti!
In porto adduci l'innocente afflitta,
E ch'io pera, se il vuoi, ma inglorïoso
Non sia il mio fato! »

Secoli son l'ore, Ma pur segue una l'altra, ed ogni istante Reca in Adel nova speranza e gioja.

Verso il mattin-prostratto era ei davanti A un crocefisso, e per la patria orava, E per tutti i mortali, e più pei cuori Che sono al suo più strettamente avvintiQuando un suono di passi e di parole Pei rimbombanti angusti anditi giunge Al prigioniero. Stridono le chiavi

E gli orrendi cancelli. In piedi ei balza : Ascolta e i ghigni scellerati scerne Dell'impudente Euger. Venia il malvagio Ad annunciar, che irrevocabil cenno Dell'empio sir, ferme ha in quel di le nozze.

Ma la porta dischiudesi - oh sorpresa
Spaventevole al reo, d'imbelle donna
In loco all'affacciarglisi improvviso
Incalzante guerrier! Pongon la mano
Alle spade i satelliti e il lor duce,
Urla mettono orrende, orrendi colpi
Metton, ma invan: già steso è al suolo
Eugero,

Già spiccia il sangue da più petti: in cerca
D'aita e in fuga altri si volge: umana
Opra questa non credon, ma prodigio
Invincibil del cielo. Adel si slancia
Con volo irrefrenabile atterrando
Tutti gl' inciampi, e della torre è uscito.

Al popol corre, con possente voce
Incita a compier l'alta impresa: ei narra
Dell'involata all' esecrande nozze
Figlia di Berengario.

« Avventuriero, Qual credeste, io non son, d'estrania terra! De' Saluzzesi monti, italo io sono, Figlio del sire Adel, che antico servo Fu dell'ucciso imperador! Vendetta L'adirata onoranda ombra a me chiese, A voi tutti la chiede. Oggi la taccia Si lavi che (già omai volge il terz' anno) Vi disonora e dican la fraterne Ed emule città - Giacea nel fango Per rio destin, non per viltà, Verona!» Il suo apparir maraviglioso, i caldi Accenti del guerrier, la reverenza E la pietà che spiran le ferite

Onde il volto gronda - e par ch' ei solo
Conscio non siane un inatteso effetto
Producon nella turba. Al denso stuolo
Delle feroci mercenarie lance,

Che con Rasperto irrompono, non cede
Come altre volte il volgo: aspra battaglia
Le vie e le piazze insanguina : le opposte
Ire in eroi trasmuta anco i più vili.
Adel s'azzulla col tiranno. Ivi era,
Ivi a mirarsi spaventevol cosa
Il furor de' gagliardi, il mortal odio,
E di disperazion l' ultima prova!
Lunga è la lotta, dubbia è la vittoria :
Si soffermano il popolo e i guerrieri,
E alterno è il plauso ed il terror. Ma alfine
Precipita il tiranno a quella vista
Sgomentati si sperdono gli sgherri :
Grida di gioja il popolo manda-e Adello
Trionfator, ma semivivo, cade

De' suoi compagni d'arme infra le braccia.
Dio quella vita ad altre angosce ed altre
Glorie serbava: ma all' esauste vene
Del campion di Verona a grave stento
Riedė salute.

Un dì, al suo letto ei vede
Inoltrarsi duc duci. Uno ei ravvisa:
È Valafrido. Di Lamagna i prenci
Questi trovato avea si nelle interne
Discordic avvolti, che niun d'essi cura
Prender potea dell'itale fortune.
Oh come Valafrido i dolci amplessi
Rende al ferito eroe! come gentile
Dal labbro suo suona la lode al forte
Fatto d'Adel! Ne men commosso e onesto
Favellando applaudia l'altro guerriero.

Il magnanimo zio di Sigismonda Quegli è che ad onorar venne l'ignoto Della nipote redentor : - Più giorni Con delicata indagine il vegliardo Spiò se in cor d'Adel fiamma d'amore, Eccitatrice d'alte gesta, ardesse Per l'augusta donzella, e dagli accorti E amici detti un raggio tralucea, Qual di desio che Adello osi a tai nozze Elevar sue speranze.

Il perspicace Garzon di quel linguaggio i sensi intende: Ma cortesia vuol che li ignori, e aperto Scansi rifiuto. Quindi uopo fingendo D'amichevol conforto e di fidanza A sollevar del mesto animo il pondo, Con fil e candor narra al buon vecchio L'umile istoria de' suoi giovani anni, E il foco inestinguibile che inceso

Le virtù d'Eloisa e la bellezza
Han nel suo petto, e tutto dice - tranne
Che riamato ei sia. - Ben gli era nota
La sfolgorante venustà e la dolce
Alma di Sigismonda, e come i prenci
Si contendan sua destra e quella destra
Porti forse venture alte di regno;
Ma più che ogni tesoro e più che i troni
É a lui la sua Eloisa - oh doloroso
Sovvenir d'un bel sogno! inutil culto!
Inutil no, giacchè sublima il core!

III.

Nell' arduo calle della gloria i primi Cantai passi d' Adello: or trasvolando Sull' ali rapidissime del tempo, Additerò sol come lampi i lunghi Patimenti e le gesta onde l'eroe Gli anni suoi segnalava.

Ugo, insultando
Delle città, de' vescovi e de' forti
Itali castellani a' privilegi

E schernendo i trattati ed impunita
La libidin lasciando e la rapacia
De' suoi baroni, acceso avea nel regno
Di civil guerra la esecranda face.

Dal furor della plebe i regii messi
Lacerati venian : le inesorate
Lance del sire offeso alla vendetta
Trucemente scagliavansi. Ammucchiati
I cadaveri ingombrano le strade,
Ne v' ha chi li sotterri: il pellegrino
Riede al natio villaggio, e indizio appena
Del loco ov' ei sorgea songli i mezz' arsi
Rottami delle pietre e pochi teschi –
Forse del padre e dei fratelli i teschi!
Tal de' Lombardi era lo stato. Adello
De' depredati borghi e monasteri
In difesa accorrea : di lui, nemico
Più formidabil non avea il tiranno. [imo
Ma in breve queste guerre han tratto all'
D'ogni miseria la contrada: il mese
Della messe venia, ma il sol versata
La sua virtù feconda avea ne' semi
Dell'ortica e del cardo; e da lontano
Il fuggiasco villan piangea sul brando
Che a' di più lieti gli falciava i campi.
Ride Burgundia. «Or tempo è di riporre
I nostri ferri agl' Itali divisi ! »
E già possente esercito calava
A sicura vittoria. Allora Adello
Vede la gran rovina: ad impedirla
Non v'è che la concordia, e alla concordia
Città rivali stringer sol può un scettro.

Del nome suo l'autorità sopisce
Gli odii: ei radduce le cosparse insegne
Appo la regia insegna. Or la salute
Dell' itala corona oprisi, e il guardo
Sulle colpe ond'è tinta uom non sollevi.

L'impulso dell'eroe quasi un novello
Spirto ne' pria diversi animi ha infuso.
Ugo, con maraviglia, in sua difesa
Color vede morir cui dianzi ha raso
Le castella o i tugurii: il crudo petto
A forza inteneriasi: ambir la gloria
Parve di scancellar co' benefizii
E con la giusta signoria le cieche
Ire sue prime. Adello, e altri guerrieri
D'onesta fama, sedi ebbero somme
Nel consiglio del re - ma quando piena
Fu de' Burgundi la sconfitta e saldo
Novellamente il trono, ecco, al tiranno
Ombra fa il nome del suo prode, cal dritto
Favellar suo magnanimo la taccia
Dassi ben tosto di ribelle orgoglio.

Dicon vetuste cantiche il giudizio Scellerato ch'espulso ha dalla patria Chi la patria avea salva.

Andò il ramingo
Del veneto leone agli stendardi
E lor sacrò la spada sua. - I superbi
Isolani, già tempo, avean le spiagge
Di Dalmazia predate e con la frode
Tolto di là tal venerando oggetto
Che da secoli e secoli a fraterno
Pellegrinaggio i Dalmati adunava
E fea d'un ricco monister la gloria:
Era la lancia d'un antico eroe
Che dal giogo pagano in molte pugne
Sottratto avea le natie valli. Il grido
Degli eccelsi miracoli, operati
Dalla reliquia di quel santo, al furto
I mal devoti veneti sospinse.

Ma intanto rotte più fiate, e sempre
Rinascenti nell' ira e più tremende,
Di padre in figlio le tribù selvagge
Con giuramento avvinconsi al racquisto
Dell' onorata lancia o a eterna guerra.

Un feroce lor capo, Adeoniro,
Col manto di pio zelo, infesta il mare
D' incessanti, audacissime, inaudite
Pirateric. Sui piccioli sui legni,
Di ladroni invincibili una turba
Ei raduno che d'uom, fuorchè l' aspetto
Null' altro serban; fama appo i lontani
Sparse ch' uomin non erano, ma mostri
Prodotti dai nefandi abbracciamenti
Delle dalmate streghe e de' demoni.

Niuna legge li stringe altra che un voto -
Pronunciato col rito abbominando
Di libare in un calice una stilla

Di caldo ancor veneto sangue - e il voto
È d'assalir qualsiasi veleggiante

Pin di San Marco, o scompagnato corra
O a torme, o debol sembri o poderoso,
E dalla pugna non ristar ch' o estinti
O vincitori. A queste anime atroci
Ogni pietà verso i nemici è ignota,
Ma tra loro mirabile è una gara
D'assistenza e giustizia e comunanza
Di beni e mali. Adeonir divide

Il bottin, nè maggior parte a sè dona
Che al più abbietto compagno. In gozzovi-
E in limosine sprecan, non curanti [glie
Tutti del pari, ogni tesor soverchio,
Quand'armi e barche e attrezzi hanno, ed
ai figli

E alle donne e a' feriti han provveduto.
Tal delle imprese loro è la ventura,
E con tali atti di barbarie han tinto
Di stragi l'onde, che il nocchier più ardito
Nell' adriaca laguna inoperose

Tien le sue sarte, e unanime la voce
Dell'atterrito popolo s'innalza
Perchè il furto s'espii ch' a furor tratto
Ha de' Dalmati il santo, e a' loro altari
Con doni la fatale asta si renda.

Il senato assenti: ma col ritorno
Della reliquia, pur mutar natura
Non pote l'indomato avido spirto
De' bugiardi pirati : e con più angoscia
Pianse Vinegia le nuove onte, e mosse
Con atte navi e prodi capitani
Ad estirpar di que' malnati il seme.

Ahime, che de' suoi prodi il morir forte
Non giovò alla repubblica! In tai giorni
Di lutto universale, uno straniero
Sorge e il linguaggio degli eroi parlando,
Radduce nelle curve alme il coraggio.
Quello stranier pugnato avea sui pini
Della sconfitta armata, e al valor suo
De' pochi avanzi si dovea lo scampo.
Era Adello! Il magnanimo senato
Plaude all'ardir del cavaliero ; un novo
Armamento decreta: Adel le prore
Capitanando, alla vittoria corre,
E sepolcro i pirati ebber nell'onde.

Favorita canzon del marinaro Divenne questa istoria, e tutti i liti D'Italia l'impararono, e ne' gioghi Più segregati d'Apennino - allora

Che un sir bandisce all'ospite il festino

Dice al suo vate: cantaci il bel nome
Del vincitor de' dalmati pirati.

Memoria non restò delle sciagure
O degli affronti perchè Adel partissi
Dalle bandiere del leone. Amalfi
Diede ospizio e onoranza al capitano,
E per lui prosperò; la terra e l'acque,
Più d'una volta, del suo sangue intrise,
Ma invitto il vider sempre e più tremendo.
Tacero quelle pugne e dirò il giorno
Che tempo era di pace e vincolato
D'Amalfi all'armi il brando ei non tenea-
Adel coll' oro suo recossi ai Mori
Che in Tunisi avean sede, e quanti schiavi
Poté redense. Il sacrificio ei compie
D'ogni suo aver, perocchè morti entrambi
Son gli adorati genitori, e il pio
Figlio all' anime lor schiudere il cielo
Spera con opre che al Signor sien grate.

Un di, secondi egli aspettava i venti Per la reddita, ed ecco entra nel porto Con festive urla un predator; parecchie Sbarca gementi vittime, e fra quelle Oh sorpresa! oh sciagura! Adel ravvisa Un cavalier troppo a lui noto, è desso, D'Eloisa lo sposo!

Ai primi amplessi (Ed oh quanti dolori in quegli amplessi Squarcian d'Adello il nobil cor! qual misto D'antica gelosia, di riverenza Per le virtù del sir, di generosa Compassion, d'affanno immaginando Le pene d'Eloisa in udir preda Ai scellerati masnadier lo sposo!) Ai primi sfoghi di pietà, succede L'interrogar sollecito dell' uno E il racconto dell'altro.

« Oh Adel compiuta
È la sventura mia! Tu vedi il figlio
Del felice Usignan, già di castella
Si ricco e d'armi, cui possenti trame
Di perfidi congiunti han da sei lune
Rapito ogni dominio. I figli miei

E lor misera madre (ah, poich' al duolo
Il tuo signore e mio, Giorgio soggiacque!)
In salvo a Nizza appo mia suora addussi.
Ivi una notte una masnada irrompe
Di Saracini. lo d'Eloisa, e quanti
Dolci pegni m' avanzano, la fuga
Combattendo proteggo: oh,almen per loro
M' arrise il ciel! Ma cinto, disarmato,
Carco di ferri io vengo. Anzi il mattino
Salpan le collegate arabe navi :
Quai di Spagna eran, quai del Sardo e quali

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« E anche il mio antico sire è nel sepolSi lunghi anni di gloria, e poi nel lutto Morir miseramente! ecco, empia terra, Il guiderdon che alla virtù largisci! Ma no, delle onorate opre la meta Non è il sorrider di mortal fortuna: Amaro a' giusti è il vivere, e beato Solo quel di che al mondo vil ti toglie!» Cosi esclamava Adel, sazio de' giorni Gloriosi, ma sterili di gioja Ch'ei tratto avea, da quando allontanato Erasi da Eloisa. E or par che tutta Da mal estinte ceneri risorga La giovenil sua fiamma : i detti, il volto D'Arnaldo lo riportano ai remoti Tempi del suo delirio. Ei vede i colli Della Sonna fioriti - il santuario Ove la pia fanciulla iva sovente A lagrimar sulla materna tomba L'inghirlandata barca ove ella, assisa Sulle ginocchia di suo padre, al canto Talor sciogliea la voce; e talor l'inno Era d'Adello; e allor della donzella Più timido era il canto e più pietoso! [pi Che pensa, Adel, tua nobil alma? I camE le rocche d'Arnaldo andrai col brando A racquistar pe' figli suoi? ma in ceppi Ei qui rimansi: squallido, languente È il suo sembiante: il duol forse e la dura Servitù in breve troncheranno il filo Di quella vita... Libera Eloisa? Oh pensiero infernal! Ma nella mente Anche de' giusti sfolgora i suoi foschi Lampi l'inferno - e più son giusti appunto Perchè talvolta eguali a' rei son quasi, Ed allor non soccombono, e con arduo Sforzo sopra il mortal fango s'innalzano.

D'altri schiavi al riscatto ogni tesoro Già avea consunto Adello: al predatore D'Arnaldo in cambio, egli offresi. Accet

tato

Venne il partito, perocch' egro il primo
Schiavo parea, e salute e forza spira
Del novel la persona. Il sir francese
Queste mosse ignorava, e i suoi voraci
Crucci addoppiava l'esser conscio, ahi
troppo !

Degli affetti d'Adello. Alta è la stima
Che la virtù dell' Italo gli desta;
Ma pur già scorge nel futuro, accanto
Alla donna (e ancor bella era Eloisa)
Il rival cavaliero, e quella stessa
Virtù che in esso ammira è il suo spavento.

Ma oh come in sè medesmo ei si vergoDi si bassi concetti, allor che tolte [gna Vede a se le catene, ed alle braccia Poste d'Adel!

«Che fia? Non mai! Sublime Insania, Adel, ma insania è questa! infermi Giorni redimer di chi tutte ha tronche Le vie di rimertarti e così all' imo Cadde che d'ogni grande atto la speme Da fortuna gli è tolta - e invece i giorni Preziosi immolar di chi seconde Tutte ha le sorti e per la gloria vive! »

mento

«Arnaldo, i pregi tuoi taccio che sommo Ti fer sempre a' miei guardi; or sol ram[cri Quanta importanza i giorni han di chi i saTitoli vesta di marito e padre: Appo tal, nulla è la deserta vita Di chi solingo passeggia la terra (E tal son io), di chi, s'allegri o gema, Niun bea il suo riso e niun piange al suo pianto. »

Volea soggiunger l'altro. Adel temendo D'aver con triste voci intenerito

Il suo rivale e forse appalesato
Della stanca dolente alma il segreto,
Apre un gentil sorriso - Va', gli dice,
A consolar la tua dolce famiglia;
Cura nostra primiera esser de' questa:
Indi per me non t'allannar: lontane
Non son l'itale sponde, e ivi si egregi
Cuori mi fean di loro amistà dono,
Che in me certezza è la lor gara al pronto
Riscatto mio.

« So, generoso Adello,
Che in sue nuove tempeste Ugo invocava
Il braccio tuo; so che anelò Vinegia
Di ritorti ad Amalfi, e che in ciascuna
Itala signoria ferve la brama

Di possederti a suo campion: ma esporti
Di fortuna a' capricci, ah no, non posso!
Sol crederei, se in mia balia fosse indi
Il tuo pronto riscatto: oh, ma ti dissi
La mia piena miseria ! »

Uopo ad Arnaldo Il ceder fu. Parti sulla primiera Cristiana prora: agl' Itali l'annunzio Esso, con altri dall' eroe redenti,

« ÖncekiDevam »