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Il canto appella, come certo e lieto
Che il francheggiavi tu d'alto sussidio,
Impalmó la deserta, inauspicata
Donna e la benda mortual disciolse.

Poco s'aprian però le dubitose
Alme a la gioia, nè d'eburnee tibie,
O del niliaco sistro iva l' arguto
Concento per le case; eran di fiori
Nude le soglie: vedovo il parete
D'istoriati drappi : erano incerte
L'arie de' volti, e non ridean le mense
Di giocondi parlari. Al fin la notte
Spunto del sonno amica, e palpitando
Sul caro capo del garzon leggiadro,
L'abbraccio Ragüele e dentro il mise
All'odoroso talamo. Ma questi,
Com' alto senno impone, il fior soave
Delle nozze non colse. Entro pulita
Concava pietra con adatte scheggie
Vivace fiamma suscito, poi v' arse
Del pesce fluvial le non corrotte
Interiora, e genuflesso innanzi
Quella mistica vampa, orò devoto.

Fuor di terrene spoglie erasi intanto L'angiol di Dio sul limitar locato Del ben costrutto talamo, nè umano Occhio il vedea ; dal capo al piè vestia Le tremende armi, in cui si fiaccan l'ire D'Averno, e tutto fiammeggiava d'oro : Se non che d' adamante avea lo scudo Maraviglioso e la infrangibil' asta, Pari a striscia di luce, onde l'azzurra Marina incontro al sol viva lampeggia. Parve ei si fatto: ed occupo gigante La soglia : ed ecco a quel notturno, amaro Scempio assueto, fuor dei laghi inferni Il reo démone uscire e tener forma D'un furial serpente il truce capo E il collo e il tergo in più veneni infetto E maculato; rivolgea l'enormi Spire e di sangue i focosi occhi aspersi Sibilando torcea; ma non appena Si scontrar quelli nel fulmineo sguardo Dell' angiol forte, istupidi, restrinse I volubili giri e immobil stette. Alzo allor Ralläele la possente Asta, che le città scuote dal fondo, E sovra il tergo irto di squame un colpo Rovescio spaventoso. Irrigidissi L'angue ferito, di cruor s'intrise E di schiume il terreno, e i livid' orbi Tra morte disciogliendo, in lungo tratto L'abbominata striscia si distese. Tingeasi in questa di rosato albore

Il mattutin Lucifero e dal sonno
Sviluppava i mortali. Entro le case
Allor di Ragüele un suon levossi
Di tutto gaudio; allor le cetre e i molli
Flauti, le danze, i bei purpurei panni,
I frequenti abbracciari, il gioco, il riso
Féro un misto di gioia, un indistinto
Che lingua nol diria. - Cieco vegliardo
E solo intanto ore traea di tedio
Importabil ricolme il venerando
Tobia, che del servaggio e della spenta
Luce e della inamabile vecchiezza
Tutti conforti avea nel figlio. Oh quanto
Il suo redir tardavagli! ne chiusa
A gelate paure avea la mente,
Ne picciol tempo gli quetava il core.
Traea il fiianco senile a ciascun giorno
Fuor le murali porte, e gli spuntava
Dolce una speme a ciascun giorno in petto
Di racquistar l'unico nato; ai passi
Dubbiosi e tremolanti avea per guida
Un fanciulletto, e di cammin compiuto
Quanto il dardo Getùlo in tre suoi corsi
Misura, e giunto ove metteano capo
Molti sentier, sostavasi l'afflitto
E s'assidea. Grato gli offrian riposo
Colà i rustici seggi, a'quali intorno
Giù dai rami spandean mestissim' ombra
I salci flessüosi alle declive
Onde cresciuti del repente Tigri.
Cosi fino al colcar del sole il vecchio
Dimoravasi, e spesso al pargoletto
Si volgendo dicea: guarda, mio caro,
Guarda, se in biondo crine e in giovanile
Sembianza alcun fuor di quel calle spunti,
Cui fan verde coperchio allori e palme.
Guarda; aver dee bel portamento, asciutte
Le membrra e un abbassar d'occhi soave
Tal che il farebbe ravvisar tra mille;
Cosi parlava sospirando il vecchio:
Poscia le ignote a lui sorti del figlio
Divinar procacciando e le cagioni
Del troppo indugio, assai fingea di casi
Varie nature e lo colpia di tema
L'ostinata al suo danno empia fortuna,
Ch'ogni ben disertogli e il riposato
Viver gli spense. Riccorreano allora
Nel commosso pensier le andate cose,
L'una appo l'altra, e del natío soggiorno
Relitto a forza in cor piangea soventi :
Piangea Neftali e Dano, antiche stanze
Dei Neftalidi, allor più belle e vive
Dagli occhi della mente affigurate.
Lucenti gli apparian tranquille e terse

:

L'acque de' laghi e sul Dapnéo lavacro
Gli aërei cedri alla montana auretta
Rombanti, e i discoscesi, ultimi gioghi
Dell' arduo Panio, donde spiccia il fonte
Del Giordan fragoroso. A tai dilette
Rammemoranze del tempo felice
Con più voglia il traeva un solitario
Levita, che cibo seco non rado
Lo scarso pane dell'esilio, e presso
Del roco fiume alle quete ombre amiche,
Come a consorzio di dolor sedea.
Ivi, qual' era usato entro il solenne
Gran tempio accosto ai fumidi olocausti
D'un soave arpicorde i lamentosi
Cercò flebili suoni, e pio talvolta
Inno sciogliendo in patria fiamma acceso,
Il cordoglio alleniva e dalle calde
Ciglia sgorgava meno amaro il pianto.
Narrò i travagli d' Israele e i fieri
Di Jeova sdegni e il crudel giogo Assiro;
Or salutò gemendo la perduta
Terra de' padri, il picciol Silo, i verdi
Colli di Moria; or la sassosa rupe,
Or'alto maggioreggia e tutto splende
Il marmoreo delubro. I santi veli
Dicea nunqua rimossi e il candelabro
E l'altar de' timiami e il bronzeo mare (1):
O l'ecatombi in un sol di svenate
Sulle porte d'argento. Ei si cantava
Mesto, e al cor di Tobia voglia infinita
Di lacrime sorgea. Pietà ten prese,
O divin Paraninfo, e i mali estremi
E gli estremi suoi di commiserando,
Gli ritornasti col figliuol la spenta
Virtù visiva, onde sul caro volto
Tramorti di piacere e l'angoscioso
Digiun saziò di quel beante aspetto.

Salve, o superno, e de' terreni allanni
Medico pio: quest' inno odi, che sorge
Tra il suon lento degli organi e lo sparso
Vapor sabeo. Pon mente in su gli altari
Alle fresche ghirlande e vedi sposa,
Che nel flüente vel tutta s'asconde.
Nutrita in solitario, umil reccesso
Innocenti ha costei l'alma e il pensiero,
E al bel virgineo nome il cor tien fede (2).
Fra i casti abbracciamenti e i desir casti
Deh! tu benigno la riguarda e mena
I suoi giovani di sembianti a schietto
Ruscel, che d'amenissima vallea

(1) Gli Ebrei così chiamarono un vaso di estrema ampiezza per uso delle abluzioni.

(2) Virginia, sorella dell'autore, pel cui maritaggio fu pubblicato la prima volta quest' Inno.

Parte le glebe, e sotto mirti e rose
Sempre quieto e puro si deriva:
Salve, o celeste, e al bel connubio intendi.

INNO A SANT' ELMO.

Ecco al tepido Sol ringiovenisce L'alma natura e a guisa di fanciulla S'inghirlanda di rose e di viole. Gitta per ogni siepe il biancospino D'ambra l'olezzo, e il fiore di siringa Nel color degli amanti si dipinge. Al mandorlo odoroso e al nuovo timo Volan le pecchie come grappol dense : E le lunghe lor trecce i sitibondi Salci bagnan nel vivo umor del lago.

Ora stagion comincia in cui le basse Navicelle dal porto osan levarsi : E lascia i figli e la consorte cara L'ardito pescatore insofferente Di povertate: al picciol muro appende Della casetta sua le reti e gli ami, E fatto mercator cerca le vaste Foci del Nilo e i regni di Soria. Pure innanzi al partir l'are devote Visita d'Elmo ai naviganti amico, Serti vaghi portando e cere ardenti: Fidato di recar nel suo ritorno E serti e cere di più nobil vista. Ecco all'impulso di propizio vento S'inturgida la vela : ei varca e il sommo Gia tien del dubbio pelago : ma nudi E negletti non son, lui dipartito, D' Elmo gli altari : che non rado a quelli Ne vien la famigliuola sbigottita, Umida gli occhi e pallida le gote: Da che la moglie pia sul prominente Balzo i segni avvisò della fortuna: Dalla region di Noto e di Libeccio Montar vide le nubi e a mezzo il volo Parer smarriti li marini augelli : Quindi ad Elmo si prostra e del possente Nome fa risuonar l'eco del tempio.

Ne indarno al cittadin delle sideree Contrade la tremante aura perviene D'umil preghiera. Chè più volte ai fiacchi Remigator da truce onda sommersi Fu prodigo d'aíta e di salvezza. Più volte sopra lor fe' graziose L'eterne intelligenze, a cui dell'etra Si commiser le sorti e delle stelle L'armoniche vicende. Al suo dimando,

L'angiol che i fuochi d'Orion governa,
Spavento dei nocchier, disperse i tristi
Equorei influssi e disgombrò le piogge
Dell' ladi nimbose ed in lor vece
Dei Gemelli brillar fe' la serena
Assidua luce. Con eburno scettro
Accenna imperioso ai quattro venti
Nobile un Genio che i furor ne regge,
Gl'impeti ne misura e il vol ne infrena.
All' aërea di lui sede talvolta

Ascese Elmo divino, e quel d'eterni
Fior redimito e chiuso in aurea stola,
Che de' raggi parea del firmamento
Tessuta, incontro a lui mosse i fragranti
Vestigi e il domandò del suo desire :
Il quale udito, scintillar fe' un riso
Di grato assenso ed inchinò lo scettro
Mirando. Si quetâr l'ire de' venti
Sul canuto Oceano e molli fiati
Di zefiro spirar nell'agil poppa.

Ma sovvente ei medesmo innanzi accorso
Ai periglianti nel marin travaglio
Della prossima aita un certo segno
Porse e dei mesti esilarò lo spirto;
Quindi il chiaror che subito lampeggia
Sull'antenne supreme e lambe e guizza
A quelle intorno con volubil fiamma,
Suo messaggio è creduto e di Sant' Elmo
Vien detto il fuoco e si dirà mai sempre..
Molta è ragion però se del benigno
Elmo ai devoti simulacri intorno
I peregrin del mare alzan le palme :
E se lacere vele, infranti remi,
Scheggiati rostri e vesti umide e rotte
In votiva ordinanza empion gran parte
Del sacro muro: nè copiose manco
Le pinte tavolette ornano il loco.
Questa ritragge un tempestoso orrore
Di pelago mugghiante in fra gli scogli
O d'Istria, o di Dalmazia, o dell' Egeo,
Dove un afflitto navicel trapassa
Illeso per portento: altra in su gli occhi
Figurata ti pon deserta spiaggia,
Su cui discapigliata e lacrimosa
Erra una madre con al fianco i grami
Figliuoletti, che al suo dolor fanno eco.
Vedi colà da negra onda gittato
Sulla sabbia un sommerso, a cui dal lembo
D'una sdrucita vela ascosto è il viso.
Sopra gli vien la donna impallidita
E con trepida man dubbiosamente
Alza la tela; il guata, il riconosce
E stà nell'atto di cader già vuota
Di senso e di respiro in sull' estinto.

Ma palesan le cifre ivi supposte
Come sorvenne a lei l'ausiliatore
Elmo in quel punto, eil naufrago dischiuse
Novellamente al sol l'erranti luci
Della casta moglier fra i dolci amplessi.
Ridir troppo ne fia quanti son casi
Ivi d'affanno in giubilo conversi,
E noi sospinge il largo tema. -

Salve

Dei regni della bella eternitade
Inclito cive. Numerose troppo
Son le tue lodi, e non parrà ieggiero
Se di tanto splendor poca favilla
Noi raccogliam, sembianti all'avvisato
Mietitor che pei solchi à le granose
Biche costrutto e misurar desía
L'accolta messe: ei move entro gli sparsi
Abbondanti manipoli e d'ognuno
Sceglie una colma spica : e noi scegliamo
Fra' tuoi merti così quelli che fede
Porgon di mille inenarrati. Salve,
O bene asceso all'immortal convito,
Salve, o pietoso ne' mortali affanni.

In qual parte raccorre ami tu spesso Gl'incensi e i prieghi? o quai son terre e prode

Al nume tuo più care? è forse il lido,
Ove su largo poggio entro gagliardo
Castello che del tuo nome fregiasti
Onor ricevi e la soggetta ammiri
Napoli belia e sua marina lieta,
Che d'incontro t' arride e fuor solleva
Le chiomate isolette, a cui per mezzo
D'innumerati schifi e saettie
Biancheggiano le vele? Ami più forse
L'erta costiera che l'armato inchina
Celeste cavalier dal qual difesa
Contro immane dragon fu la donzella,
E dove in foggia di mural balestra
Sul verde balzo e lungo il mar si stende
Genova che le sue marmoree logge
Fa di pensili fior d'arbusti e fronde
Come l'antica Babilonia piene?
Nè già ti prende oblio dell' umil sabbia
Che la Macra dirrompe e delle azzurre
Onde che il cigno Savonese udiro.
Te supplica, adorando, ivi una gente
Che per alpestri gioghi e per sassose
Ripide chine sue capanne ingiunca :
E col remo alternando asce e bidenti
Vendemmia or le sue vigne e delle apriche
Selve il rigoglio soperchievol tronca,
Or tenta l'Oceano e trova i regni
Dei dipinti Caíci al mondo estremo,

Seguitando quel solco che primiero
Il temerario Ligure dischiuse.
Te Albenga invoca e te la fertil Nizza,
Che tra i glauchi uliveti in su le fredde
Del precipite Varo acque fronteggia.
Te fra Cariddi acuta e fra i spumosi
Gorghi di Scilla il siculo nocchiero
Temendo e perigliando in cor rappella.
A te l'equorea calma, a te la brezza
Placida del mattino, a te che il grave
Sciroccal soffio a turbinar non prenda
Chiede, pregando, il Calabro pilota:
O ch' ei pel golfo Tarentino insegua
Gli snelli capidogli, o che d'intorno
Delle pomicee ripe erri all'inchiesta
De' ramosi coralli, a bianco petto
Vago monile, mentre portan l'aure
Dalla prossima rupe il molle suono
D'arguto flauto e la sottil fragranza,
Che partesi da' cedri e dagli aranci. -
Queste, o superno, al tuo cospetto sacro
Queste e non altre omai sorgon preghiere,
Sorgono voti dall' Ausonio seno,
Poi che t'invidia il fato aver dal cielo
Cura miglior che d'umili barchette.
Passò la gloria nostra e i di famosi,
Quando ogni porto ed ogni mar correvano
Temute selve di latine antenne.
Ben sai, ben sai sù nella tarda etade
Mentre il Norico brando alle disfatte
Nazion rendeva spaventevol luce,
Come un Tosco drapel d'Arno le foci
Tenne e sommise le marine intorno.
E vider la Capraia e la Gorgona
Tornar lucente di terribil ferro
Il Pisano navile e d'ampie prede
Carcato si che n' ebber pompa immensa
I rostrati trionfi. Allor qual prode
Arabo duce sopra il mar sanguigno,
O qual temuto Abencerage in riva
Dell' aureo Beti non cangiò sembianti
Delle trombe Tirene al forte squillo?
Fin per entro le sue torrite alambre
Con subito terror spezzârgli quelle
I sonni voluttuosi, onde arme intorno
Arme ci grido fra l'ombre, ed in un punto
Perder si pavento gli almi diletti
Dei tepidi lavacri e le fontane
Giù zampillanti in concavi alabastri,
L'ombre soavi, i profumati unguenti
E d'inaccessi talami le gioie.-

Prossimo segue dei Trion la luce
Boote in cielo e seguitò del pari
Dietro alla luce del gran nome tosco

La Ligure virtù; ma innanzi a tutti
I suoi concivi lampeggiò qual sole
Doria che non so dir se prode fosse,
O magnanimo più. Grave sen' gia
Dei destin genovesi il suo naviglio,
E sulla prora sua muta s'assise
La fortuna d'Europa. Un sol pensiero,
E della patria avea : nè trovò pace
Mai, fino al di che intera le riscosse
La dolce libertade. Entrår vittrici
Sue vele in porto. Egli scendea per mezzo
De l'onda popolar grave incedendo
Simile a un Nume: gli guerniva un' elsa
Il fianco, e sulle spalle ampie cadeva
Lo splendor della chioma. Innanzi stette
Ai convenuti padri e lor tai sensi
Disse : o patrizii, o cittadini, è salva
La patria nostra ; io dai Franceschi artigli
E dall' Ispana tirannia l'ho franca,
Or la serbate voi libera e forte.
M'offre Carlo il diadema; io sul suo capo
L'onta riverso del colpevol dono.
Libertà non comprende Egli e la spregia:
Ne sa che noi d'Itala madre figli
Le sante gioie conosciam di Bruto.
Tacque : e sull'alma di ciascun più viva
Lampeggio la letizia. -

In mare immenso
Corriam largo sentier, ma dal proposto
Segno non lunge; poi che tu dall' alte
Tue sedi al generoso, unico gesto
Sorridevi, plaudendo, Elmo divino,
Si care tieni e si fomenti e cresci,
Al tuo poter, l'Itale glorie tutte.
Ne dagli altri immortali eri discosto
Certo quel di che sull' Ionio scesi
Vider con liete ciglia i negri flutti
Di Crissa e l'Azio scoglio e le sassose
Echinadi fumar d'Odrisio sangue.
Che rivocando a se gli antichi spirti,
La dispersa sua prole in un restrinse
Italia e da barbariche ruine
Tutta salvo la sconoscente Europa.

Otto vele traean dalla fastosa
Palermo e dalla fertile Messina
I Siculi gagliardi ai quali il prode
Cardona impera; dai latini porti
Dietro il gran Colonnese eran salpate
D'Ostia le genti e di Nettuno in lievi
Agili pini come stral veloci.
Di Liguria venian più che cinquanta
Legni spiegando la vermiglia croce :
E trenta ne sciogliean dal verde margo
Di Partenope bella ai quali indice

Avaro Bazzanese. In prima schiera
Pur nondimanco e più dell' altre assai
Eccelse subblimavano e frequenti
Le venete galee sembianti a rupi
D'alpi scoscese fra minori altezze
D'erbosi colli. Tutto chiuso in arme
Sulla poppa sorgea dell'ammiraglia
Duodo invitto e simile splendeva
All' astro mattutin, se da la cima
D'un' aerea pendice il scintillante
Bel capo estolle.- O ninfe d'Adriano
Con le dipinte gondolette a prova
Fendete la laguna e giù versate
Nembo di fior dal ponte di Rialto,
Perocche dubbio non è il vincer, dove
Spiega le insegne il veneto valore:
Ed a' suoi duci son guerriere palme
Domestic' arte.-

O gemma d'Occidente,
O bel fior di cittadi, alma Vinegia:
L'immortal Genio dell' Enotrie genti
Fuor dell'umili canne e fuor del loto
D'erme isolette ti levò, t'assise
Altera sopra l'acque e maestosa,
Lungo portento ai secoli futuri!
Qui di valor, di libertà, di senno
Tutte nazion vincevi e qui ponesti
L'arduo seggio dei mar, stupenda Roma
Dell'Oceano. O quanto bella, quanto
Pomposa e ragguardevole risplendi
Pupilla d'Antitrite! In mezzo ai flutti
Giganteggi superba, e da la lunge
Le dorate tue cupule e le bianche
Torri d'incontro al Sol raggian tal lume,
Qual le imperlate mura e i cristallini
Alberghi del possente angiol che guarda
Dal ciel commesso i procellosi abissi.
Che fu? qual nebbia luttuosa infosca
L'aure serene tue, qual duol ti copre
Come una veste? or chi converte in pianto
La reggia del piacer, chi la moderna
Vaga sede d'Alcinoo funesta?
Ahi le mille triremi e i trofei mille
Chi t'ha rapiti? dove son le insegne
Dei popoli fiaccati, ove i sconfitti
Re feroci e le barbare reine

A spettacol menate in sulla prua Dell'alto Bucintoro? ove di Polo L'ardimentoso pino, allor che i lidi Sacri del Gange visitasti e i figli Pacifici di Brama, allor che nuove Plaghe scuopristi e le lucenti porte, Onde l'Austro procede? Ahi tutto sparve! Sepolcral solitudine e profondo

Squallor possiede i ricchi, ardui palagi,
Ove gran prenci e gran monarchi furo
Da liberal patrizio ospiti accolti,
E seder fra suoi pari eragli avviso.
Mute son fatte le marmorce sale
Del Veneto Senato, e più nessuna
Eco ripete la tonante voce
Del togato orator quando librava
Del mondo i fati sull' Adriaca lance.
Deh che val, se tuttora in sui fastigii
De' templi tuoi le trionfate spoglie
Torreggian di Bisanzio e di Nicéa ?
Che val se tutte le già corse etadi
S'odono ragionar di tua grandezza?
Ahi sotto l'ugna del difforme augello
Il tuo alato lion senz' alma cade,
Senza onor giace, e nella gola sua
Gli alti ruggiti si quetâr per sempre.
O del latino imperio ultimo seggio,
Gloria postrema della terra nostra,
Venezia, e tu peristi! in sull' avanzo,
Del tuo manto regal poser le sorti
L'Austro predone e l'infedel Britanno! -

Ma una fatidic' aura entro mi spira
Elmo, eterno veggente, e fremer l'odo
Qual bellica armonia che da vocali [na...
Trombe squillando in mezzo al cor rintro-
Ecco s'apron l'etadi, ecco lampeggia
Il ver che in esse è chiuso e il caldo ingegno
Ne' reconditi eventi s'infutura...
Udiste? in sulla fredda Itala polve
Trapassando grido forte una voce,
Assorgi, il suscitato onor degli avi
Torna e già vola, e già le stelle attinge.
Ricovra tu dalle ruine auguste

La lancia di Quirin, famosa Roma:
Tu il distrutto coviglio in sul Tarpeo
All' aquile componi, e ancor temute,
Venerabili ancor le veggia il mondo
Nelle orifiamme tue spiegarsi al vento.
Sorgete, voi, sul real fiume Insubre,
Sorgete, inclite ville, ed i torriti
Vostri diademi riponete ál crine :
E tu fuor delle palme, ove l'ascondi,
Leva la faccia per dolore attrita,
Vinegia, e siedi a signoria dell' acque:
L'eccelse sponsalizie or rinnovella,
Come usasti al buon tempo, e ai flutti avari
L'anel donando di molt' oro adorno,
Al truculento mar ti rimarita.

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