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Presso il vedovo letto il veglio mesto
Lagrimando s'assise, e poi ch'ei l' ebbe
Lungamente guatato; oh qui, dicea
Con un sospir, qui ci lasciava, e i lumi
Fissi in te, le bagnò l' ultimo pianto;
E rivolta a colui che al sen ci chiama
Con quelle braccia, che il dolore aperse,
Io vidi un riso che venia dal cielo
Splender sul volto doloroso e pio.
Seguia quel sacro detto al cor ti suona
Che per lei fu l'estremo, allor che invano
Ti cercava col guardo, e sol t' udia
Pianger prostrata al suo funereo letto,
E la gelida man ti benedisse?
Figlia, ubbidisci al padre; e lo giurasti,
E Dio l' udi, la cui sacrata immago
Alle meste cortine ancor sospesa,
Seco posò sull' origlier di morte,
Su cui lo spirto che dal ciel ti guarda,
Esalo con un bacio, ed un sospiro.

ANTONIO FOSCARINI.

Che rispondesti allora ?

TERESA.

lo piansi... il padre Seguitando dicea se a ignoto affetto, (E qui lo sguardo in me volgea, che i lumi Dechinava alla terra, e sentia tutte Correr le fiamme del rossor sul volto) Se a ignoto affetto non apristi il core, Ubbidirmi fia lieve: a nozze illustri Io ti destino, e tu fra breve andrai Sposa di Contareno.

ANTONIO FOSCARINI. Oh Dio !

TERESA.

L'altero

Non amo io già... quella potenza atroce...
Ei più non disse. Il genitor mirai
Aimiei piedi atterrarsi, e a me, che invano
Sollevarlo volea, bagnar di pianto
L'abbracciate ginocchia, e dir con voce,
Che ascolto ancora: questo capo vedi
Prono per la vecchiezza, e quella terra,
Che a se mi chiama, a rimirar costretto;
Non curvo è assai per la prigion crudele
Che a me la muta ira dei Tre destina.
Non cercarne il perchè... misero, forse
Troppo dissi alla figlia... Ah che tu sola
Salvar mi puoi colle richieste nozze
Dalle prigioni crudelmente arcane,
Dai... pel temuto nome un sudor gelido
Nelle membra mi corse, e vidi il padre,
Di quel carcere orrendo al dubbio lume,
Quel pan che getta una pietà crudele,

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Sorse in mezzo al mio pianto il di temuto
Che a te mi tolse, nè ad altrui mi diede,
Chè questo core è tuo. Siccome il reo
Che ode il palco funesto apparecchiarsi,
Tremante udii dei sacri bronzi il suono
Che mi chiamava al tempio: il mio tiranno
Cola mi trasse: io nol vedea, tu solo
M'eri presente in quel fatale istante.
Pallida, fredda, muta, e di me tolta
Caddi sul santo limitar, la gelida
Porta abbracciai della magion di Dio,
Sperando che per me si fosse chiusa,
Siccome senso di pietade avesse.
All' altare fui spinta, e innanzi a Dio
Stava col cor pieno di te. La cupa
Maestà di quel tempio, la materna
Tomba che vi sorgeva in faccia all'ara,
I riti, i canti, al sacrificio augusto
Di mille affetti, che non han qui nome,
M'empieano l'alma: io mi dicea : presente
All'occhio di Colui che tutto vede,
Che mi legge nel cor, che paragona
La mia risposta col desio celato,
S'anco il potessi, all' inuman dovrei
La mia fede obligar? ma in quel pensiero
Mirai del padre il venerato aspetto...

ANTONIO FOSCARINI.

Taci, dicesti assai... divien furore

La tenerezza mia... ma che? doveri

La vittima non ha... l' Angiol di Dio
Quella parola che non vien dal core
Nel suo libro non scrive, o scritta appena,
La cancella col pianto.

TERESA.

Oh ciel, che dici! Vorresti tu farmi proscritta, errante, Disonorata? se ti prese oblio Delle virtù che amasti, in me rispetta Teresa Contarini.

ANTONIO FOSCARINI.

Ahimè dovevi

Tu chiamarti cosi... perdona, un solo Istante io m' obliava : un' alma ardente Io chiudo in sen, mi punirò... Saprai Quel che far dee chi t' ha perduta...

TERESA.

Arresta: Credi che meno io t'ami?... a me pur dice L'indegno cor... ma pria ferirlo... Ah vivi; Vivi per me... Sai chi t' aborre, e quanto Permette all' odio una potenza arcana. Fuggirla dei; misura il tuo periglio Dall' ardir mio. Questa città corrotta Ai magnanimi incresce; e mal sapresti Cercar possanza invidiosa e breve, E di nobile amore il vile oblio Nell' ebrezza dei vizi. In altra terra E tempo e lontananza...

ANTONIO FOSCARINI.

Oh Dio! tu credi

Che cessi in me per lontananza amere?
Nell' ora del dolor l' alma solea
Volare a te come al suo fido asilo,
E del misero stato il sol conforto
Trovar nel loco ov'eri; e s'alcun dolce
Ebbe il cor tristo, io ti chiamai : credea
Al mio fianco mirarti; in ogni parte
Sempre io ti vidi, e ti facea più bella.
lo spesso errando degli elvezii monti
Sull' ardue cime, più di te pensava
Allor ch' io più m' avvicinava al cielo.
Nel mesto vaneggiar de' miei pensieri
Io dicea sospirando: oh se qui fosse
Colei che al par di questo cielo è pura,
Dolce come il primier giorno d' amore!...
Vane speranze!... ma tu piangi? almeno
Sull' agitato cor versa quel pianto.

TERESA.

O Foscaren, tu devi al fragil sesso Esempio di virtù.

ANTONIO FOSCARINI.

Donna dell' alma, Pera il mortal che una virtù celeste

Contaminare osasse... io viver deggio
Amato e non felice... abbia le brevi
Gioie del vizio quel poter crudele
Che a me di sdegno e di dolor spargea
Gli anni della speranza. Il tuo consiglio
Seguir potessi! La pietà del padre
Qui mi ritien ma se volere o sorte
Mi chiamerà sotto altro cielo, io degno
Sarò di tanto amor...

TERESA.

Breve conforto! Io già sento vicin l' ultimo fato; Ed a te di colei che tanto amasti Sol la memoria rimarrà nel core, E negli occhi una lacrima pietosa. Sul cammin della tomba io per te solo Mi volgo indietro; dei languenti e mesti Giorni tu solo desiderio e pianto. Ma finchè vivo io non avrò pensiero Che non sia tuo: benchè da te lontana lo sentirò quello che senti; in Dio Ci unirà la preghiera : ah tu potrai Piangere almeno in libertà... ci avvezzi Sulla misera terra un puro affetto A quella gioia che non ha rimorsi. Al par che la virtude, amor verace I suoi dolor compensa, e dolce il pianto Si fa negli occhi che son volti al cielo, Alla città dove non son tiranni, Ove in eterno ricongiunge Iddio Quei che l'uom separava... lo qui non deg. Vederti più.

ANTONIO FOSCARINI.

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BELTRAMO.

Signor, nol sai?

Foscaren si feri.

LOREDANO sommessamente.

Ben su nemico

Sangue si cade.

CONTARINI.

Io non lo sparsi... è poco.

LOREDANO.

Non vo'del reo la morte: in loco ei scenda Che fe' di libertade il primo amore,

E che più d'un sepolcro all'uomo insegna. (A Beltramo.)

Nel carcere sia tratto, ove l'altera
Fronte si curva a meditar la colpa.

SCENA III.

LOREDANO e CONTARINI.

CONTARINI.

È nostro alfin: già sopra lui si chiuse L'orrida porta.

LOREDANO.

A violar la legge

Sai qual cagion lo spinse?

CONTARINI.

Io!...

LOREDANO.

Tu pretendi,

Stolto, celarti a Loredano? io dotto
Nei vizi de' mortali, io veglio in tanta
Di rei costumi libertà concessa,
Che a molli schiavi le catene eterna.
Io veggo qui come dal fallo impune
Nei segreti del core nasce il delitto.
Tu fra cure di stato a folle amore
Osi dar loco, e comandar tu credi
A ciechi affetti da cui sei rapito?
Impeto è in te la crudeltà: dovrebbe
Essere un' arte... L' infedel consorte
T'offese, e vive?... se il fatal segreto
Svelasse il mite Badoer, tu perdi
La vendetta, l'onor... tosto divieni
Favola della plebe... empie di tema
Un gran delitto le città lascive,

Ma del vizio si ride.

CONTARINI.

Oh ciel ma come

Senza rischio punirla?

LOREDANO.

Abbiam fra i nostri

Tesori del poter, certo veleno

Rapido più d'ogni arme. Il labbro infido Gia chiuso avresti con silenzio eterno,

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