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PROCIDA.

In Arragona

Il rege ed i magnati han dritti uguali;
Nella Sicilia una corona ei viene
A raccoglier nel sangue, e un ferro istesso,
Esterminando il Franco, i suoi minaccia.

GUALTIERO.

Ad alto fine intendi: aver potremo E libertade e re.

PROCIDA.

Pensa, o Gualtiero,
Qual sia l'Italia: a un Ghibellin non dico
Quanto a grandezza è libertà nemica :
Qui necessario estimo un re possente:
Sia di quel re scettro la spada, e l' elmo
La sua corona. Le divise voglie
A concordia riduca: a Italia sani
Le servili ferite e la ricrei;

E più non sia, cui fu provincia il mondo,
Provincia a tutti, e di straniere genti
Preda e sepolcro. Cesseran le guerre
Che hanno trionfi infami; e quel possente
Sarà simile al sol mentre con dense
Tenebre ei pugna, ove fra lor combattono
Ciechi fratelli, e quando alfine è vinta
Quella notte crudel, si riconoscono
E si abbraccian piangendo.

GUALTIERO.

Ora ch'è volto A perigliosa impresa il tuc pensiero, Non parlerò di nozze... eppur d'Imelda...

PROCIDA.

So che l'ami, o Gualterio, ed io ricordo
La data fè... lo credi... un tempo è giunto
Opportuno a quel nodo : a molli alletti
Loco non v'ha, perché ad Imelda è dote
La mia vendetta, testimon la tomba
A feri patti, e della man richiesta
Il primo dono, un brando.

GUALTIERO.

Il tuo ritorno Palmiero e Alimo udranno: i mici vassalli Nelle tue case ascondo, e quindi esploro Se ognor nei Franchi la baldanza antica I sospetti addormenta: il tuo desio Poi m' aprirai, chè vendicarti io bramo, Ma da guerriero.

SCENA IV.

PROCIDA.

Olá, venga mia figlia : Io qui l'attendo. - Inaspettata e grave Verrà sul trono la sventura a Carlo,

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Che intesi mai! Figlia, consorte e madre,
Dubito, tremo, e in ogni mio pensiero
Veggo perigli e colpe. Or chieggo invano
Chi mi soccorra alla ragion smarrita.
È qui chiusa ogni via: lo sposo e il padre
Verran fra l'are al sangue, e in mezzo ai
brandi

Invan starò giusto, feroce,
:
immenso
È di Procida l'odio; eppur ch' io sono
Moglie a Tancredi il rivelargli è forza,
Or che d'altrui mi vuole : a' piè del padre
Tosto si vada ad ottenere perdono
Col pargoletto mio... Che far vorresti

O sventurata madre? al suo nemico
Tu sai pur ch'è nipote : in quell' aspetto,
L'ira per lui, non la pietà si trova. [de
Deh faccia Iddio che in queste soglie il pie-
Or non volga Tancredi! e nell' atroce
Pugna imminente ove porrassi Imelda?
Ahi senza patria, e voti, o rea preghiera,
Con un labbro che trema, alzando al Cielo,
Starà sospetta, abbominata e sola:
E nei siculi e i franchi, empia sorella,
Desterà fra le stragi e in mezzo all'armi
Un fremito concorde... il Ciel ne attesto,
Sono innocente: io non sapea che fosse
Figlio d'un Eriberto ed uom straniero
Quel prode a cui m'univa. O Re del mondo,
Mi volgo a te; sei d'ogni gente il padre.

ATTO TERZO.

SCENA PRIMA.

PROCIDA, GUALTIERO.

PROCIDA.

On portento dell'odio! al gran segreto Un popolo è fedele, e tutto arride Alla vendetta ch' io facea più lenta, Per renderla più certa.

GUALTIERO.

Obblia, disprezza, E gode il Franco: il suo guerrier favella Di quelle glorie che in Bisanzio aspetta, E d'ogni donna che sedotta ei lascia Sorride al pianto, e ne' suoi vizi audace Scopre l'ingiurie de' traditi letti.

PROCIDA.

Quell' esecrata stirpe al par desia L'armi, gli amori, e ciò che a lei promette Gioje e perigli.

GUALTIERO.

Alcun fra loro ardisce Dannar di Carlo la superba impresa.

PROCIDA.

La condanna e la segue. E tu credesti
Che odio a Manfredi, o del roman pastore
La sacra voce gli spingesse all' armi ?
Di Francia un volgo ruinò dall' Alpi
A cercar gloria ne' cimenti, e sempre
Trovò la patria ove il pudor s'oltraggia
E si rapisce l'oro: egli combatte
Per ogni causa con furore uguale,

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:

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Sai che largo di terre e di vassalli
Mi fu l' Arragonese, e di Valenza
Nel mollissimo regno io fui di lieti
Campi signor mi lusingò la fronte,
Che solcava il pensier della vendetta,
L'aura soave dell'esperio cielo,
E ricordai l'Italia: un cor gentile
Può l'Italia obbliar? Le sue ruine
Adorna la beltà della sventura.
Mutai coll' oro i miei dominii, e largo
Fui di quell' oro per comprar nemici
All' abborrito Carlo a ciò la terra
Mi parve angusta; ov' essa manca, io solo
Potea fermarmi, ed inviando il guardo
Sul temuto Oceán, bramai vi fosse
Per abborrir francesi un altro mondo.
A me, Gualtier, delle fortune avite
Sol questo ferro ed un sepolcro avanza.
La mia ricchezza è l'odio.

:

GUALTIERO.

È tale Imelda Ch'ella a sè stessa è dote: ampio retaggio Pur nel tuo nome avrà.

PROCIDA.

Figlia!... tu resti Nel silenzio del duol, quasi tu fossi Concessa in premio del fraterno sangue A un soldato di Carlo?

IMELDA.

Oh ciel, che dici!

GUALTIERO.

Non ti sdegnar; Carlo all' amore istesso Tolse la libertà, che spose ai Franchi Da le figlie dei vinti.

PROCIDA.

Itala donna

E dei barbari ancella e non consorte.

GUALTIERO.

È degna di pietà.

IMELDA.

Pur troppo!

PROCIDA.

Io piango,

Piango su lei che in talamo straniero Soffri l'ingiuria dei superbi amplessi : Ma chi lieta lo ascese, e disse, io t'amo, A un nemico d'Italia, abbia disprezzo Più crudel dell' offese, e sia feconda Sol perchè nasca matricida il figlio. Imelda, non temer: lascia ch' io scenda Nel fraterno sepolcro, e da Gualtiero Fede avrai di consorte. - 0 certo asilo (Accostandosi al sepolcro del figliuolo.) Dal furor dei tiranni, accogli un padre Nel tuo gelido seno : ei vi discende Del figlio inulto a ricercar la spada Nella polve ov' ei dorme, e non invano Viene a turbarla dal riposo antico. Sarà spento ogni Franco: un sanguinoso Mucchio d'ossa straniere al Ciel s'inalzi, Le strugga il foco e le sommerga il flutto; Al vento non spargetele, chè il vento Riportarle potrebbe... Oh ciel, deliro! Si vada.

(Entra nel sepolcro.)

SCENA III.

GUALTIERO, IMELDA.

GUALTIERO.

A te cangia a vicenda il volto Il pallore e il rossore: ugual mi sembri A chi teme sventure, ed ha delitti.

IMELDA.

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Gualtiero!...

GUALTIERO.

GUALTIERO.

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JMELDA.

Ei freme!

PROCIDA.

Io non credea, Gualtiero, Che l'odio in me crescer potesse, e l'ira Fosse così vicina al pianto. Imelda, Il crederesti?

IMELDA.

O padre!

PROCIDA.

Al tuo germano La fragil salma rispetto la morte, E non confuse le sembianze antiche Perche parlin vendetta: un caldo pianto Sulla ferita che gli parve aprirsi Procida sparse, e ai piedi suoi prostrato Ei nel delirio dell' amor paterno, Quasi risponder gli potesse il figlio, Parlo parole che non può ridire, Che vinta la memoria è dal dolore. Lo abbracciai, lo abbracciai... da quell' amplesso

Maggior di me sorgea: vedi la spada? Gli aprii la chiusa destra, e fuor la trassi... Stringendola, ei moria.

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