PROCIDA. In Arragona Il rege ed i magnati han dritti uguali; GUALTIERO. Ad alto fine intendi: aver potremo E libertade e re. PROCIDA. Pensa, o Gualtiero, E più non sia, cui fu provincia il mondo, GUALTIERO. Ora ch'è volto A perigliosa impresa il tuc pensiero, Non parlerò di nozze... eppur d'Imelda... PROCIDA. So che l'ami, o Gualterio, ed io ricordo GUALTIERO. Il tuo ritorno Palmiero e Alimo udranno: i mici vassalli Nelle tue case ascondo, e quindi esploro Se ognor nei Franchi la baldanza antica I sospetti addormenta: il tuo desio Poi m' aprirai, chè vendicarti io bramo, Ma da guerriero. SCENA IV. PROCIDA. Olá, venga mia figlia : Io qui l'attendo. - Inaspettata e grave Verrà sul trono la sventura a Carlo, Che intesi mai! Figlia, consorte e madre, Invan starò giusto, feroce, O sventurata madre? al suo nemico ATTO TERZO. SCENA PRIMA. PROCIDA, GUALTIERO. PROCIDA. On portento dell'odio! al gran segreto Un popolo è fedele, e tutto arride Alla vendetta ch' io facea più lenta, Per renderla più certa. GUALTIERO. Obblia, disprezza, E gode il Franco: il suo guerrier favella Di quelle glorie che in Bisanzio aspetta, E d'ogni donna che sedotta ei lascia Sorride al pianto, e ne' suoi vizi audace Scopre l'ingiurie de' traditi letti. PROCIDA. Quell' esecrata stirpe al par desia L'armi, gli amori, e ciò che a lei promette Gioje e perigli. GUALTIERO. Alcun fra loro ardisce Dannar di Carlo la superba impresa. PROCIDA. La condanna e la segue. E tu credesti : Sai che largo di terre e di vassalli : GUALTIERO. È tale Imelda Ch'ella a sè stessa è dote: ampio retaggio Pur nel tuo nome avrà. PROCIDA. Figlia!... tu resti Nel silenzio del duol, quasi tu fossi Concessa in premio del fraterno sangue A un soldato di Carlo? IMELDA. Oh ciel, che dici! GUALTIERO. Non ti sdegnar; Carlo all' amore istesso Tolse la libertà, che spose ai Franchi Da le figlie dei vinti. PROCIDA. Itala donna E dei barbari ancella e non consorte. GUALTIERO. È degna di pietà. IMELDA. Pur troppo! PROCIDA. Io piango, Piango su lei che in talamo straniero Soffri l'ingiuria dei superbi amplessi : Ma chi lieta lo ascese, e disse, io t'amo, A un nemico d'Italia, abbia disprezzo Più crudel dell' offese, e sia feconda Sol perchè nasca matricida il figlio. Imelda, non temer: lascia ch' io scenda Nel fraterno sepolcro, e da Gualtiero Fede avrai di consorte. - 0 certo asilo (Accostandosi al sepolcro del figliuolo.) Dal furor dei tiranni, accogli un padre Nel tuo gelido seno : ei vi discende Del figlio inulto a ricercar la spada Nella polve ov' ei dorme, e non invano Viene a turbarla dal riposo antico. Sarà spento ogni Franco: un sanguinoso Mucchio d'ossa straniere al Ciel s'inalzi, Le strugga il foco e le sommerga il flutto; Al vento non spargetele, chè il vento Riportarle potrebbe... Oh ciel, deliro! Si vada. (Entra nel sepolcro.) SCENA III. GUALTIERO, IMELDA. GUALTIERO. A te cangia a vicenda il volto Il pallore e il rossore: ugual mi sembri A chi teme sventure, ed ha delitti. IMELDA. Gualtiero!... GUALTIERO. GUALTIERO. JMELDA. Ei freme! PROCIDA. Io non credea, Gualtiero, Che l'odio in me crescer potesse, e l'ira Fosse così vicina al pianto. Imelda, Il crederesti? IMELDA. O padre! PROCIDA. Al tuo germano La fragil salma rispetto la morte, E non confuse le sembianze antiche Perche parlin vendetta: un caldo pianto Sulla ferita che gli parve aprirsi Procida sparse, e ai piedi suoi prostrato Ei nel delirio dell' amor paterno, Quasi risponder gli potesse il figlio, Parlo parole che non può ridire, Che vinta la memoria è dal dolore. Lo abbracciai, lo abbracciai... da quell' amplesso Maggior di me sorgea: vedi la spada? Gli aprii la chiusa destra, e fuor la trassi... Stringendola, ei moria. |