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Disimpari il furore: a quelle pugne
Che sien belle di pompe ed apparato
Voi siccome a spettacolo sedete,
E a porvi in fuga basterà la polve
Che sotto i pie' de' miei corsier si levi,
Vista da lungi. La temuta impresa
Guerra non fia, ma caccia : a dirti il vero,
Quest' Italia mi par stanza di cervi,
O d'altre belve a cui più tremi il cuore.

GRAVILLE.

Certo, o mio re, tu dubitar non puoi
Del francese valor, ma pure al cielo
Ergi il pensier. Qui t'ha condotto Iddio;
Dio col suo cenno allontanò la morte,
Che improvvisa parea pendere in Asti
Sul tuo capo diletto, e allorchè volto
Eri a studi di pace un suo profeta
Ti annunziava in Firenze: affaticato
Da furori divini il sacro petto,
E al ciel rivolte le pupille avea;
Dal pergamo esclamò : « Sopra la terra
Spada di Dio pronta, veloce... » Or sai
Ciò che dall' are sue ti grida il giusto?

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Pegno della mia fede. (Ed 10, nascoso, Che tenti osserverò.)

(Il Moro parte.)

SCENA VIII.

CARLO & GRAVILLE.

GRAVILLE.

Carlo, vedesti?

Impallidi quell' empio. Ei dir non osa Che in queste mura il tuo cugino alberga. Galeazzo infelice!... Ah! non sia tarda La tua pietà.

CARLO.

Dal suo tiranno in breve

Liberarlo saprò.

GRAVILLE.

L'Estense altera

Qui con tacite insidie esser potrebbe Complice del marito.

CARLO.

Ambo sgomenta

La grandezza del fallo e del periglio.

GRAVILLE.

Qui prigionier finchè splendesse il sole L'empio restar doveva.

CARLO.

E che potrebbe Ei senza rischio osar? Nostra è Pavia, Come la rocca: in te m'affido. Ah! scorgi Alle sue stanze il re; vedi, la notte Cade, e l'orror di questo loco accresce Più che quello d' Ambosa, ov' io fanciullo Orme tremanti impressi. Orrido, cupo, Tortuoso mi par questo castello Come l'alma del Moro; egli era degno D'edificarlo. O campi aperti e vasti Del regno mio!... come soave e mesta, Qual desiderio di lontano amico, Or l'immagine vostra al cor mi torna. Deh! venga il di che vincitor io possa Sedermi all'ombra delle quercie avite.

SCENA IX.

IL MORO.

M'arride il caso: a liberar l'oppresso
Si differía; loco all' insidia è dato,
Onde spento ei cadrà. Ma se fingesse
Vender l'amico e mi tradisse Oldrado?...
Allor mezzo contrario al mio disegno
Quel Bisignan sarebbe... Ah! dei perigli
Nei perigli ho rimedio. Io non potea
Rimaner sulla riva, o in agil legno

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Questo furor delle virù romane,
E tu meglio le imita. Il sol risplende
Sull' imprese dei forti : arde di guerra
La patria tua; pugna, trionfa, o muori
Come un Romano. Colla pia speranza
La misera ingannavi. Imbelle donna
A che qui conducesti? Esser non posso
A parte della gloria, o del delitto.

BISIGNANO.

Sottrarti al Moro io volli, e qui celai Pochi ma forti amici, a cui nel pettr Freme l'amor d'Italia, e a un cenno mio Apparir li vedrai.

ISABELLA.

Qui si nasconde

Una frode del Moro, e riconosco

Io l'arti sue.

BISIGNANO.

Laddove Carlo alberga Movo coi più feroci; ognun di loro Menti l'armi di Francia, e in quelle ascoso Penetrò nel castello. Or ch'esso venne In poter dei Francesi, ogni sospetto Nello stuolo cessò, che del tiranno Difende i sonni. Il vino, i turpi amplessi, Il disprezzo d'Italia han vinti e chiusi Gli occhi in battaglia intrepidi. Conosco A lunga prova i Franchi, e mai non vidi Che tenor di fortuna avversa o lieta Valesse a trargli dalla lor natura Improvvida e superba. In ogni caso lo qui desto un tumulto : allora i Franchi, Che la presenza accende ed il periglio Di tanto re, vedrai per ogni lato Trarre alle regie stanze, e dalle torri Correre e dalle porte; e tu non vista, O negletta, potrai co' miei fedeli, Onde consiglio avrai, scorta ed aíta, Di qui fuggirti, e del fatal castello Varcar le porte inesorate e chiuse Sempre per te, se non piacesse al Moro, Spento il marito tuo, di re lascivo Nelle mani rapaci e sanguinose Prigioniera riporti, e farti a Carlo E cupidigia, e preda, e strazio, e scherno. Già delle donne illustri al vitupero Ei fu dal Moro avvezzo. Or tu mi chiama Vile assassin.

ISABELLA.

Perdona: io tanto ardire Tremando ammiro: ma il periglio è certo, Dubbio l'evento.

BISIGNANO.

Della tua salvezza

Molta è la speme: e s'io corressi a morte,
L'ho meritata. Nell' Italia anch'io
I barbari chiamai. Voglio col sangue
Da quest'onta lavarmi. Ahimė! ch'io veggo
E fughe, e tradimenti, e nuovi modi
Di milizia crudele, e la baldanza
Sulle ciglia dei Franchi, e il labbro altero,
Tumido per comando e per minaccie,
Solo al dispregio aprirsi, e della nostra
Portentosa viltà volar gli scherni

In parole d' obbrobrio e di sventura,
Che ripeta ogni etade : i pianti ascolto,
E l'infinito maledir di quanti
Nasceranno al servaggio in questa terra,
Se qui Carlo discese a certa preda.
Ucciderlo potessi!

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ISABELLA.

Lo prometto.

BISIGNANO.

Io moro

Per l'Italia e per te : dal di fatale, Ch'io nel torneo portava i tuoi colori...

ISABELLA.

Che dir mi vuoi?

BISIGNANO.

Fin da quel giorno io t'amo.

ISABELLA.

Tu sei tradito e traditor: m'hai tolto Anche la fama!

BISIGNANO.

Ma tu sola udisti

Parole estreme d' infelice affetto,
Che speranze non ha fuorchè la morte.

ISABELLA.

L'infido amico il seppe, o se ne accorse
Da quell'impresa disperata e vana
In cui te perdi, e me non salvi: io fui
Incauta, forsennata... Una crudele
Luce ora sorge a illuminar gli orrori
Di quell'abisso ove caduta io sono.
All'egro mio consorte il cor geloso
Empie un sospetto che il morir gli affretta,
Espirando mi aborre. Ahi! ch'io non posso
Sostener quest' idea! Dammi il tuo ferro:
Tutto ho perduto, anche l'onor; m'uccidi:
Perdono avrai della tentata impresa.
Questa d'amor prova io ti chieggo.

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Comandar crede, e serve. Util mi sei, Però tu vivi.

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