Disimpari il furore: a quelle pugne GRAVILLE. Certo, o mio re, tu dubitar non puoi a Pegno della mia fede. (Ed 10, nascoso, Che tenti osserverò.) (Il Moro parte.) SCENA VIII. CARLO & GRAVILLE. GRAVILLE. Carlo, vedesti? Impallidi quell' empio. Ei dir non osa Che in queste mura il tuo cugino alberga. Galeazzo infelice!... Ah! non sia tarda La tua pietà. CARLO. Dal suo tiranno in breve Liberarlo saprò. GRAVILLE. L'Estense altera Qui con tacite insidie esser potrebbe Complice del marito. CARLO. Ambo sgomenta La grandezza del fallo e del periglio. GRAVILLE. Qui prigionier finchè splendesse il sole L'empio restar doveva. CARLO. E che potrebbe Ei senza rischio osar? Nostra è Pavia, Come la rocca: in te m'affido. Ah! scorgi Alle sue stanze il re; vedi, la notte Cade, e l'orror di questo loco accresce Più che quello d' Ambosa, ov' io fanciullo Orme tremanti impressi. Orrido, cupo, Tortuoso mi par questo castello Come l'alma del Moro; egli era degno D'edificarlo. O campi aperti e vasti Del regno mio!... come soave e mesta, Qual desiderio di lontano amico, Or l'immagine vostra al cor mi torna. Deh! venga il di che vincitor io possa Sedermi all'ombra delle quercie avite. SCENA IX. IL MORO. M'arride il caso: a liberar l'oppresso Questo furor delle virù romane, BISIGNANO. Sottrarti al Moro io volli, e qui celai Pochi ma forti amici, a cui nel pettr Freme l'amor d'Italia, e a un cenno mio Apparir li vedrai. ISABELLA. Qui si nasconde Una frode del Moro, e riconosco Io l'arti sue. BISIGNANO. Laddove Carlo alberga Movo coi più feroci; ognun di loro Menti l'armi di Francia, e in quelle ascoso Penetrò nel castello. Or ch'esso venne In poter dei Francesi, ogni sospetto Nello stuolo cessò, che del tiranno Difende i sonni. Il vino, i turpi amplessi, Il disprezzo d'Italia han vinti e chiusi Gli occhi in battaglia intrepidi. Conosco A lunga prova i Franchi, e mai non vidi Che tenor di fortuna avversa o lieta Valesse a trargli dalla lor natura Improvvida e superba. In ogni caso lo qui desto un tumulto : allora i Franchi, Che la presenza accende ed il periglio Di tanto re, vedrai per ogni lato Trarre alle regie stanze, e dalle torri Correre e dalle porte; e tu non vista, O negletta, potrai co' miei fedeli, Onde consiglio avrai, scorta ed aíta, Di qui fuggirti, e del fatal castello Varcar le porte inesorate e chiuse Sempre per te, se non piacesse al Moro, Spento il marito tuo, di re lascivo Nelle mani rapaci e sanguinose Prigioniera riporti, e farti a Carlo E cupidigia, e preda, e strazio, e scherno. Già delle donne illustri al vitupero Ei fu dal Moro avvezzo. Or tu mi chiama Vile assassin. ISABELLA. Perdona: io tanto ardire Tremando ammiro: ma il periglio è certo, Dubbio l'evento. BISIGNANO. Della tua salvezza Molta è la speme: e s'io corressi a morte, In parole d' obbrobrio e di sventura, ISABELLA. Lo prometto. BISIGNANO. Io moro Per l'Italia e per te : dal di fatale, Ch'io nel torneo portava i tuoi colori... ISABELLA. Che dir mi vuoi? BISIGNANO. Fin da quel giorno io t'amo. ISABELLA. Tu sei tradito e traditor: m'hai tolto Anche la fama! BISIGNANO. Ma tu sola udisti Parole estreme d' infelice affetto, ISABELLA. L'infido amico il seppe, o se ne accorse |