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BEATRICE.

E dar potresti

Fede n' suoi detti, o Carlo? E non ricordi
Che Aragonese ell' è, che nelle vene
Le scorre il sangue di quel vil Fernando
Che il tuo regno usurpava, e che sottrasse
Una morte opportuna alla vendetta
Dei popoli e di te? Piange sull' avo
Cinta di nero ammanto: inver fu pio
Lo spurio che serbò col sangue il regno,
Che la madre gli diè col vitupero!
Figlia è d'Alfonso, quel codardo Alfonso
Che prode si credea : non v'è mestieri
Dell'armi tue; già dai rimorsi è vinto.

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S'egli morrà, la colpa.

ALTRE VOCI COME SOPRA.

ISABELLA.

Ah vile! ah mostro! Qual sia la sorte che al mio sposo appresti, La tua pietà m'annunzia.

CARLO.

Morano i Franchi, e mora

L'empio che li chiamò! Morte al tiranno, A Lodovico morte!

CARLO.

Ove più ferve

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Che sai gli abissi ricoprir di fiori!

Albergo delle frodi! È qui periglio

E giustizia e clemenza, e tu mi rendi

Crudel come il sospetto.

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SCENA VIII.

CALCO e DETTI.

Col drudo suo.

ISABELLA.

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ALL' empie mani del tiranno astuto,
Sia giustizia o pietade, alfin sei tolta;
E se Carlo ti rende al tuo consorte,
Più commosso da me, che persuaso,
Ne incolpa i dubbi in cui lo avvolge il Moro.
Chi rintraccia la via de' suoi disegni ?
Di quel malvagio il consiglier crudele
Nelle stanze ove alberga il tuo consorte
Al delitto venía, non all' aíta,
Collo stuol che menti le nostre insegne.
Ma dell'armi cangiate il vile inganno
Il Moro ascrive a Bisignano ucciso:
Certo ei n'è reo; rimane occulto il resto,
E scevrarsi non può dal falso il vero,
Perchè, uguale alla notte, il tuo nemico
Dona a diverse cose un solo aspetto.

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SCENA II.

ISABELLA e GALEAZZO.

ISABELLA.

Rimirarlo non oso: ah, della colpa Quale il terror sarà, se io mi sgomento Sol perchè rea mi crede! O signor mio...

GALEAZZO.

E favellarmi ardisci ? Ah! nell' amaro
Calice del dolore omai non resta
Una stilla per me, che il sorso estremo
Tu porgesti al mio labbro!

ISABELLA.

E se tu puoi

Dubitar di chi t' ama, aver non posso Nella valle del pianto altra sventura. Odimi, e pace avrai.

GALEAZZO.

Quando la terra Sarà resa alla terra, e della vita Il sogno cesserà che mi tormenta, Io nella polve avrò dimora e pace.

ISABELLA.

Ah! fra le braccia mie...

GALEAZZO.

Venga la morte

A liberarmi dall' ingrato amplesso !

ISABELLA.

M' odia lo sposo mio!

GALEAZZO.

Taci, crudele; Non chiamarmi così: tu mi rammenti Quanto ho perduto. Ah! che a me questa

un giorno

Sembrò parola che dal ciel scendesse
Per calmarmi ogni duol! ne avrei voluto
Esser felice. Io mi dicea sovente,
Ci uni prima l'amor, poi la sventura
Strinse di più quel nodo; e se fortuna
Non mi serbava alle miserie estreme,
Chi tanto mi ama, io non saprei... Potesti
Tradire un infelice?

ISABELLA.

E tu mi credi Vile e atroce così? Ma pur non deggio Discendere a scolparmi. Allor che il piede A queste stanze io mossi, uscirne io vidi La consorte del Moro, e ben conobbi Al gaudio atroce della mia nemica, Ch' ella nell' egro petto i suoi veleni Allor versati avea. Tutta riprendo Io la mia dignità quando si vuole Abbassarmi cosi. D' un re la figlia,

Un' Isabella d'Aragona' afferma
Sull' onor suo che rea non è; ciò basti
Ad un consorte che di lei sia degno.

GALEAZZO.

Ebben, ti crederò. La notte, il loco,
Pur chi volger tentava al sen di Carlo
Quell' empia mano che t'offri per guida,
Obblierò ma tu speravi, o donna,
Che me cugino suo degnato avrebbe
Di sua presenza il re; perchè cercasti
Un segreto colloquio? A che furtiva
Dal mio fianco involarti?
ISABELLA.

Un' ora sola,
Un solo istante ch'io tardato avessi
A ricovrare il tuo capo diletto

Sotto lo scudo della sua clemenza
Mi parve un gran periglio. E sai qual gente
Carlo ha nelle sue squadre, e come a molti
L'empio fu largo di promesse e d'oro.
Tutto è pel Moro il tempo, e come l'onda
Incalza l'onda, nella mente cupa
Un pensiero a un pensier tosto succede,
Scaltro, atroce, improvviso : ei mai non
[sonno
Finchè un' opra non sia; mai chiude il
Gli occhi di sangue che miraro asciutti
Il tuo lungo dolor; sempre ha la notte
Opportuna alle insidie, e le ricopre
Tanto all' occhio mortal, che ancor ne!
giorno

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L'amo, e l'amai, signore; ei mi commise
Le cure dello stato, e da felici
Ozi mi trasse di miglior fortuna
Nella discorde reggia; e « siedi » ei disse
« Al fianco mio sul trono, e mi difendi
« Dalle materne insidie. » Io col mio senno
Ressi gli anni inesperti, e qui lo feci
Venerato e sicuro, e tanto peso
Deposto avrei se dell' iniqua moglie
Vil mancipio ei non fosse: a ciò mi strinse
La fe che ti giurai. Terrían Milano
Gli Aragonesi, e tu nemici avresti
Ove conti alleati.

(A Galeazzo.)

Ora che teco

Isabella non è, figlio diletto

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Qual sia costui; tu nol conosci ancora?
A magnanima impresa esser ti credi
Nell'Italia chiamato, e il tuo pensiero
Solo a Napoli è volto. A lui non basta
Su quella stirpe che cotanto abborre,
Nè la tua gloria, nè la sua vendetta.
Il fato mio più de' suoi voti è tardo.
L'occulte forze di mortal veleno
Che il perfido mi die, vincer potrebbe
La giovinezza mia; d'insolit' armi
Nel subito terror prepara il vile
Un secondo delitto, e tu combatti
Solo per lui. Spada di Dio ti credi,
Sei nelle man del Moro. Italia ei vuole
Tanto occupata delle sue sventure,
Che a me non volga un guardo, e neppur
Della vittima sua la debil voce [s' oda
D'un popolo nel pianto. E lo consenti,
E sei Francese e re? Questo perenne
Artefice di frodi, ei solo ordía
Il notturno tumulto, onde dovea
Scender in mezzo a la licenza e l'ira
Sull' egro petto del nipote inerme
Non visto il ferro di venal soldato.
A te l'infamia, il trono a lui, la morte
A me; chè la mia tomba all'empio è trono.

MORO.

Io non rispondo alle calunnie, e chiedi
Della trama ragion all'empia moglie :
Da testimone non sospetto avrai
Della innocenza mia certezza intera. [ma.
Vedrai se io bramo il regno; ei pur nol bra-
Di se l'impero alla consorte ei diede,
Darglielo or vuol dei popoli : ma in tanto

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