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Men bello è assai di te.

Vieni e la piuma candida, Che ondeggia mollemente

Del tuo turbante al vertice,
Il palpito frequente

Imiti del mio sen.

Vieni! e al tuo fianco il lucido Acciar sospeso splenda... E qui s'arresta, ed avida Sembra l'orecchio intenda, S'altri risponde o vien.

Ed io, cui ragion tolsero
Ira e vergogna stolta,
Salgo alla torre. Immemore
Stava ella, al ciel rivolta
In tutta sua beltà.

Forse sognava i fervidi
Baci e il gioir supremo!...
Ebbra del reo delirio,
Da tergo si la premo,
Che capovolta va.
Dall'alto ella precipita,
E nel cader si lascia
Addietro questo candido
Velo che il cor mi fascia,
Involontario don!

Parve gemendo l'etere
Al repentino pondo
Dividersi. Me misero,
Che udii de' flutti in fondo
Della caduta il suon!

Udisti? A che di lagrime
Porgi al tuo re conforto?
Piangi il tuo fato. Un genio
Maligno qui t'ha scorto,
E troppo ardente fè.

Tremendo, imperscrutabile,
Qual sotterraneo foco,
Ch' ove trabocchi esterinina
E fa deserto il loco,
L'arcano è del tuo re.
Finor celata agli uomini,
Nota a quest' ombre solo,
Primo l'atroce storia
Udisti del mio duolo,
Che non potrai ridir. -

E si dicendo, il lucido
Acciar tragge, e nasconde
In petto al fedel arabo,
E il lascia tra le fronde
Esanime languir.

GLICERA.

Io ti chiedea le rose,
Fiore che invita al riso;
Tu a me porgi il narciso,
Ch'è fiore di dolor.

T'intendo : non rispose
L'evento ai voti miei.
Mi lasci, eppur non sei
Men caro a questo cor.

La vita, a me si rea,
Fatta m'avresti lieta :
Tocco un' infausta meta
Sul verde dell' età.

La mano, che dovea
Accompagnarmi all'ara,
Sulla funerea bara
Il serto mi porrà.

Mi mormora vicino

Un suon sommesso e mesto.
Vi seguo! Eppur si presto
Io non credea morir.

Di nuovi fior lo spino
Ancor non si fe bianco,
La rondine non anco
S'è vista a noi redir.

Gelido torpe il sangue,
Che tanto un tempo ardea;
Un languor segue, e crea
Novi pensieri in îne.

Ma l'amor mio non langue;
Anzi più vivo e forte,
Mentre mi tragge a morte,
Non mi rapisce a te.

Muoio fedel: tu l'alma
Dischiudi a novo amore;
Ma come amò il mio core
Non saprà un'altra amar.
E forse fra la calma
Della solinga sera,
Glicera, udrò, Glicera,
Sul tumulo chiamar.

LA SERENATA. L'ACQUE del lago increspi La molle aura odorosa, Che fa sui verdi cespi Ondoleggiar la rosa;

Raggio di luna argenteo
Sia face al mio cammin.
In placida bonaccia
Del remo la percossa
Sola sentir si faccia
All'anima commossa,
Che affretta co' suoi palpiti
Del mio tragitto il fin.

Chi la magion diletta
Agli occhi miei contende?
È quella! Ivi m' aspetta
Colei che il cor m'accende,
E forse tra sè mormora :
Quanto il mio ben tardò!
Vedrò l'amabil volto,
Udrò la sua favella;
E se gioir m'è tolto
Dalla crudel mia stella,
Dolci saran le lagrime
Che seco io verserò.

Di lira un'armonia
Echeggia di lontano!
Della fanciulla mia

Sento la bianca mano,
Che sulle corde medita
Canzou nota al mio cor.
Fansi più miti l'onde
Al suon di quella lira,
Fremon d'amor le sponde,
L'aura d'amor sospira :
Scorra il battel più celere ;
Odia gl' indugi amor.

MARCHESE ARNOLDO.

NEL buio de' fati Chi aguzza lo sguardo Profeta bugiardo Non chiamisi più.

Ne' secoli andati Già visse un marchese, Di cui più scortese Al mondo non fu. Ne' chiusi ripari Dell'ermo castello Verun menestrello Non pose mai pie. Cantori e giullari Ne stanno lontani, Di sgherri, di cani Gran copia sol v'è.

Di danza o convito

Non mai si ragiona :
Non ama persona
Il crudo signor.
Al solo bandito,
Che rapido passa,
Il ponte s'abbassa
Con cupo fragor.

Il bronzo eminente
Che numera l'ore
È il solo romore
Che s'oda lontan.

Ma d'alma vivente
Respir non s'intende,
Per quanto si stende
Vastissimo il pian.
Arnoldo tal vive
Da quando geloso
Il petto amoroso
D'İdalba squarciò.

Lasciate le rive
Del Serchio natio,
Consorte men rio
Perchè non trovò?

Ma il giorno pur venne Che Arnoldo la figlia Legar si consiglia A prode guerrier; Renato, che ottenne Bel vanto di prode, Pugnando con lode Su lido stranier.

Più giovin, la mano
Gualtier ne chiedea;
Ma fiera n'avea
Risposta dal sir.

Giugnea di lontano,
E vista Golcosa,
Di farla sua sposa
S'accese in desir.

Non cede Gualtiero,
E armato, a cavallo,
A piedi del vallo
Disfida il rival.

Al giovin guerriero
Funesto è il conflitto,
E cade trafitto
Di piaga mortal.

Le nozze bandite
Con danze, con suoni,
Di conti e baroni
Ripieno è il castel.

Le sale romite S'adornan di fiori, E traggon cantori

In lieto drappel
A capo la stanza
Si mostra un ignoto,
E in sito remoto
Si pone a seder.

Ha fosca sembianza,
Non forma domanda,
Non tocca vivanda,
Sta tacito e altier.

A mezzo il banchetto
Arnoldo a dir prende:
- Signori, chi pende
Da labbro indovin?
L'avreste mai detto?
D'Arnoldo mirate

Le sorti cangiate,
Mutato il destin.

Quest'uomo che spenti
Ha sposa e rivale,
Che un odio immortale
In petto covo,

E i figli innocenti

Che

Di nodo esecrando
A vivere in bando
Perpetuo dannò;
Quest'uomo non fia
pace mai trovi;
Avran sempre novi
Affanni suoi di,
Finchè pieno sia
Suo fiero destino.
Il dotto indovino
Parlava così.

E aggiunse: La sola
Leggiadra fanciulla,
Che tenera, in culla,
Uccider non sa;
(Udite parola
Tremenda, ma vera!)
In lutto l'intera
Sua stirpe porrà.

O dotto profeta,
Perch'oggi al convito
Non siedi, che invito
Arnoldo ten fa?

Ventura più lieta
Verresti cantando,
La festa mirando
Che intorno mi sta. -
Ciò detto la tazza
In mano prendea :
- E viva, dicea,
Il dotto indovin! -

E viva! schiamazza

La turba gioconda,
Cui fa invereconda
Lo strepito e il vin.
Ma l'ospite strano,
Che rigido e muto
Non rese saluto,
Né cibo gusto,

Porgendo la mano
Com' uom che minaccia,
Mutatosi in faccia,
In pie si levò.

All' atto scortese
Attonito resta
Qualunque la festa
Godea convival.

Ma l'altro al marchese
In fronte mirava :
- Conosci, gridava,
L'antico rival?

Vendetta! vendetta!
Marchese ti desta:
Rodolfo la testa

Levò dall' avel.

Vendetta! vendetta!
Arcani di morte:
La suora è consorte,
Marito il fratel.

Vendetta! Di sangue
È l'atrio bagnato;
Fratello a Renato
È l'uomo che muor.

Marchese, l'esangue
Contempla ben fiso;
T'è figlio l'ucciso,
Figliuol l'uccisor.

Vendetta! vendetta!
La colpa è matura;
Il tetto, le mura
Minaccian crollar.

Vendetta! vendetta!
Al lume del giorno
Fan l'ombre ritorno
Arcani a svelar. -

-S'insegua, s'uccida
Quell'ospite indegno!-
Briaco di sdegno
Arnoldo gridò.
Accorso alle grida
Drappel di scherani
La torma de' cani
All'ospite aizzò.

Ma il cane non tocca
All'ospite il manto,
E indietro, da un canto

S'accoscia a fremir.
Spirò sulla bocca
D'Arnoldo l'oltraggio,
E tutto il coraggio
Sentissi fuggir.

Portento novello !
Rodolfo disparve,
E pallide larve
Si veggono entrar.

Risuona il castello
D'un tetro ululato;
Un feretro è alzato,
La mensa scompar.
Con gemiti lenti
L'antica campana
Infonde una strana
Temenza nei cor.
Di là tutte genti
Si fuggon lontane,
E solo rimane

Il fiero signor.

Ha il feretro presso, A' piedi un estinto, Un canto indistinto Pegli atrii suono.

Annoda un amplesso Fratello e germana : L'antica campana Di gemer cessò.

URRA DE' COSACCHI.

LA picca in resta, cosacco, e sprona; Il fren sull' erto collo abbandona Al corridore: ferisci e va.

Urrà! urra!

Urrà, cosacco la picca abbassa Al fuggitivo le reni passa, Pesta il caduto senza pietà.

Urrà! urra!

E sotto l'unghia del tuo destriero L'elmo spezzato del dragon fiero In suon di squilla rimbomberà :

Urra! urra!

L'ira nel sangue non venga manco, Più non rivegga l' Italo e il Franco, Per tua man spento, le sue città. Urrȧ! urra!

Trafitti i forti per la tua mano Pianga Parigi, pianga Milano, Italia e Francia cadute già. Urra! urrà!

Sotto le belle cupole d'oro, De' moscoviti templi decoro, L'ostil vessillo sventolerà. Urrà! urra!

Di ricche gemme, d'acciar lucenti, Che furo vanto d'estranie genti, Il tuo tugurio s'abbellirà.

Urra! urrà!

Fra il riso e i balli farà il tuo nome, Gelar il sangue, rizzar le chiome, Di chi veduto finor non t'ha. Urra! urra!

Già il tuo pensando valor guerriero
L'imbelle sposa dello straniero
Balza dal letto, bianca si fa.
Urrà! urra!

Ma invan si cruccia la dolorosa,
Che più non ode chiamarsi sposa
Da chi sul Neva sepolto sta.
Urrå! urrȧ!

MEZZA NOTTE.

Poco l'ora è omai lontana, Palpitando il cor l'aspetta... Già rimbomba la campana E tu dormi, o mia diletta? Ti fuggi forse del cor Mezza notte e il nostro amor?

Pari a nota di liuto Nel silenzio di quest' ora Odo il timido saluto Di colei che m'innamora, E ripeto a quel tenor : Mezza notte e il nostro amor. Volin pur fantasmi in giro; Un pensoso amabil volto Fra quest' ombre sol rimiro, E sonar soltanto ascolto, Faccia il vento o no rumor: Mezza notte e il nostro amor. Amor misero e verace Delle tenebre si giova, Tace il mondo ed ei non tace, Ma il suo gemito rinnova Finchè spunti il primo albor: Mezza notte e il nostro amor.

STRADELLA CANTORE (1).

I.

È di sua voce angelico
Il modulato suono,
Che il genuflesso popolo
Affida di perdono,
Quando fra i sacri portici
Si fa dall'alto udir.

Ed io straniera, io gelida
Al mistico richiamo,
Ardo in profane smanie,
Miseramente io l'amo.
E col fragor dell' organo
Confondo i miei sospir.
Perchè non todo, o tenera
Voce, quand'è la sera,
Dalla laguna ascendere
Alla magion severa
Ove solinghi muoiono
I voti del mio cuor?
Perchè, seguendo il fervido
Desio che mi consuma,
Del circostante pelago
Fender la molle spuma
Teco in barchetta celere
Non mi concede amor?
E tu fra i seggi morbidi,
Da lato a chi t'adora,
Mescer ai vaghi zeffiri
La voce che innamora,
E i lidi udir ripetere
Sommessamente il suon!
Farmi potessi rondine
Dell' aure pellegrina,
E alle tue chiuse battere
Finestre la mattina,
Dicendo amor mio, destati;
Vigile e teco io son!

Tutta la notte in gemiti

(1) Stradella nacque al secolo scorso in Venezia di povera gente, e come cantore di chiesa ebbe gran fama. Innamoratasi di lui una giovinetta patrizia, e rifiutandole il padre le nozze, fuggirono gli amanti, ed errarono per Italia gran tempo inosservati e securi. Non cessando il padre dalle ricerche, ebbe finalmente notizia de' fuggitivi; e, portatosi sopra luogo, uccise Stradella di propria mano, in Genova, come vogliono alcuni, o, come altri, in Torino. Della giovine si finge che, ricondotta a casa del padre, morisse impazzita. La storia ne tace.

Passai da te divisa;

Fioca ho la voce e languida,
Perchè nel duol conquisa;
Amami, o caro, e limpida
E piena tornerà.

Ahi! delirando perdesi
L'afflitta anima mia :
Nacqui a cordoglio assiduo,
E allor cessato ei fia
Che il gelido silenzio
Dei morti mi terrà.

II.

No, la gioia che l'alma m'invade Non più sogno, o delirio non è: V'abbandono, o paterne contrade, Ma il mio caro ne viene con me.

Fuggi, fuggi, barchetta veloce, Ch'oltre l'acque mi devi rapir; E tu, caro, solleva la voce, Ch' io non oda il paterno sospir.

Ahi la nebbia per l'aure vagante Non mi turbi quest' ora d'amor! Non mi mostri un antico sembiante Trasmodato d' affanno e livor.

Tu non sai, padre mio, le querele Che mi costa il doverti lasciar; Padre mio, non chiamarmi crudele, M'è destino altra terra cercar.

Tra le pompe di splendida cuna Furo al pianto educati i miei dì; Oggi solo, mutando fortuna, Alla gioia il mio petto s'apri. Mi son odio le nozze reali Che in silenzio apprestate m' hai tu; Il mio caro non soffre rivali, L'amai primo, a me l'unico ei fu.

Addio, patria! Di pianger non cesso, Ma le lagrime asciuga il mio ben : Il mio core è dai palpiti oppresso, Ma il mio fido mi chiude al suo sen.

O Vinegia, se dura memoria Di costei che la patria lasciò, Agli amanti fia lugubre storia, E il sospiro de' posteri avrò.

III.

Pallido, pallido L'hai tu veduto Quel veglio estranio Guatarci muto Nel tempio ov' abita Mite il Signor?

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