Men bello è assai di te. Vieni e la piuma candida, Che ondeggia mollemente Del tuo turbante al vertice, Imiti del mio sen. Vieni! e al tuo fianco il lucido Acciar sospeso splenda... E qui s'arresta, ed avida Sembra l'orecchio intenda, S'altri risponde o vien. Ed io, cui ragion tolsero Forse sognava i fervidi Parve gemendo l'etere Udisti? A che di lagrime Tremendo, imperscrutabile, E si dicendo, il lucido GLICERA. Io ti chiedea le rose, T'intendo : non rispose La vita, a me si rea, La mano, che dovea Mi mormora vicino Un suon sommesso e mesto. Di nuovi fior lo spino Gelido torpe il sangue, Ma l'amor mio non langue; Muoio fedel: tu l'alma LA SERENATA. L'ACQUE del lago increspi La molle aura odorosa, Che fa sui verdi cespi Ondoleggiar la rosa; Raggio di luna argenteo Chi la magion diletta Di lira un'armonia Sento la bianca mano, MARCHESE ARNOLDO. NEL buio de' fati Chi aguzza lo sguardo Profeta bugiardo Non chiamisi più. Ne' secoli andati Già visse un marchese, Di cui più scortese Al mondo non fu. Ne' chiusi ripari Dell'ermo castello Verun menestrello Non pose mai pie. Cantori e giullari Ne stanno lontani, Di sgherri, di cani Gran copia sol v'è. Di danza o convito Non mai si ragiona : Il bronzo eminente Ma d'alma vivente Lasciate le rive Ma il giorno pur venne Che Arnoldo la figlia Legar si consiglia A prode guerrier; Renato, che ottenne Bel vanto di prode, Pugnando con lode Su lido stranier. Più giovin, la mano Giugnea di lontano, Non cede Gualtiero, Al giovin guerriero Le nozze bandite Le sale romite S'adornan di fiori, E traggon cantori In lieto drappel Ha fosca sembianza, A mezzo il banchetto Le sorti cangiate, Quest'uomo che spenti E i figli innocenti Che Di nodo esecrando E aggiunse: La sola O dotto profeta, Ventura più lieta E viva! schiamazza La turba gioconda, Porgendo la mano All' atto scortese Ma l'altro al marchese Vendetta! vendetta! Levò dall' avel. Vendetta! vendetta! Vendetta! Di sangue Marchese, l'esangue Vendetta! vendetta! Vendetta! vendetta! -S'insegua, s'uccida Ma il cane non tocca S'accoscia a fremir. Portento novello ! Risuona il castello Il fiero signor. Ha il feretro presso, A' piedi un estinto, Un canto indistinto Pegli atrii suono. Annoda un amplesso Fratello e germana : L'antica campana Di gemer cessò. URRA DE' COSACCHI. LA picca in resta, cosacco, e sprona; Il fren sull' erto collo abbandona Al corridore: ferisci e va. Urrà! urra! Urrà, cosacco la picca abbassa Al fuggitivo le reni passa, Pesta il caduto senza pietà. Urrà! urra! E sotto l'unghia del tuo destriero L'elmo spezzato del dragon fiero In suon di squilla rimbomberà : Urra! urra! L'ira nel sangue non venga manco, Più non rivegga l' Italo e il Franco, Per tua man spento, le sue città. Urrȧ! urra! Trafitti i forti per la tua mano Pianga Parigi, pianga Milano, Italia e Francia cadute già. Urra! urrà! Sotto le belle cupole d'oro, De' moscoviti templi decoro, L'ostil vessillo sventolerà. Urrà! urra! Di ricche gemme, d'acciar lucenti, Che furo vanto d'estranie genti, Il tuo tugurio s'abbellirà. Urra! urrà! Fra il riso e i balli farà il tuo nome, Gelar il sangue, rizzar le chiome, Di chi veduto finor non t'ha. Urra! urra! Già il tuo pensando valor guerriero Ma invan si cruccia la dolorosa, MEZZA NOTTE. Poco l'ora è omai lontana, Palpitando il cor l'aspetta... Già rimbomba la campana E tu dormi, o mia diletta? Ti fuggi forse del cor Mezza notte e il nostro amor? Pari a nota di liuto Nel silenzio di quest' ora Odo il timido saluto Di colei che m'innamora, E ripeto a quel tenor : Mezza notte e il nostro amor. Volin pur fantasmi in giro; Un pensoso amabil volto Fra quest' ombre sol rimiro, E sonar soltanto ascolto, Faccia il vento o no rumor: Mezza notte e il nostro amor. Amor misero e verace Delle tenebre si giova, Tace il mondo ed ei non tace, Ma il suo gemito rinnova Finchè spunti il primo albor: Mezza notte e il nostro amor. STRADELLA CANTORE (1). I. È di sua voce angelico Ed io straniera, io gelida Tutta la notte in gemiti (1) Stradella nacque al secolo scorso in Venezia di povera gente, e come cantore di chiesa ebbe gran fama. Innamoratasi di lui una giovinetta patrizia, e rifiutandole il padre le nozze, fuggirono gli amanti, ed errarono per Italia gran tempo inosservati e securi. Non cessando il padre dalle ricerche, ebbe finalmente notizia de' fuggitivi; e, portatosi sopra luogo, uccise Stradella di propria mano, in Genova, come vogliono alcuni, o, come altri, in Torino. Della giovine si finge che, ricondotta a casa del padre, morisse impazzita. La storia ne tace. Passai da te divisa; Fioca ho la voce e languida, Ahi! delirando perdesi II. No, la gioia che l'alma m'invade Non più sogno, o delirio non è: V'abbandono, o paterne contrade, Ma il mio caro ne viene con me. Fuggi, fuggi, barchetta veloce, Ch'oltre l'acque mi devi rapir; E tu, caro, solleva la voce, Ch' io non oda il paterno sospir. Ahi la nebbia per l'aure vagante Non mi turbi quest' ora d'amor! Non mi mostri un antico sembiante Trasmodato d' affanno e livor. Tu non sai, padre mio, le querele Che mi costa il doverti lasciar; Padre mio, non chiamarmi crudele, M'è destino altra terra cercar. Tra le pompe di splendida cuna Furo al pianto educati i miei dì; Oggi solo, mutando fortuna, Alla gioia il mio petto s'apri. Mi son odio le nozze reali Che in silenzio apprestate m' hai tu; Il mio caro non soffre rivali, L'amai primo, a me l'unico ei fu. Addio, patria! Di pianger non cesso, Ma le lagrime asciuga il mio ben : Il mio core è dai palpiti oppresso, Ma il mio fido mi chiude al suo sen. O Vinegia, se dura memoria Di costei che la patria lasciò, Agli amanti fia lugubre storia, E il sospiro de' posteri avrò. III. Pallido, pallido L'hai tu veduto Quel veglio estranio Guatarci muto Nel tempio ov' abita Mite il Signor? |