Fuggiamo, involati, Mio dolce amor! Mio dolce amor! Non è fantasima Di mente accesa; Mio dolce amor! All' alma mia, Ma per esprimerlo Mio dolce amor! Tra i verdi margini Mio dolce amor! Mio dolce amor! Che se lo strepito Civil t'affanna, Ne sia ricovero Una capanna, Mio dolce amor! Se fido e incolume Mi sei vicino, Dell' Apennino Arriderannomi IV. Vi riveggo, vi conosco, Parti, è vero, ma promise Ma che veggo? Sul canale Nessun parla. Cosa strana! Hai tu alfine perdonato E bearti alla mia gioia? Là tra i fiori, nel boschetto Ei mi chiama, è alfin tornato; Delle nozze è l'ora giunta Presto ancelle! Il vel rosato, E la veste in or trapunta... Lassa me! Mortale è il duol! Langue il giorno, e ondeggia il suoi. Via quel serto! Nol vogl' io! Aspettate ch' io mi desti. Oh! si allora ei sarà mio, E fra i cantici celesti In eterno l'udirò! Diede un gemito e spirò. Ove sei? qual contrada t'asconde? Ad ogni ora domanda il primier. Mentre l'altro: ove sei? gli risponde, E s'invia per opposto sentier. L'un talvolta per calle romito Fende l'aure che l' altro fende; Mentre l'altro, di là già partito, Cerca il primo dov' ei più non è. Nell' assiduo lor volo anelanti, Sempre sordi agl'inviti d'amor, Obliár la dolcezza dei canti, Non curar le fraganze dei fior. Molli prati di fresca verdura, Cieli aperti al più vivido sol, Sono indarno a cessar quella cura, A frenar quell' indomito vol. Un istante scontrarci, un accento Susurrarci, un sorriso cambiar !... Una vita di tanto tormento Tal mercede non deve sperar? Sciagurati! Forzaro co' voti Il prudente rigor del destin. Meglio ad essi lo starsene ignoti, E sperando fornire il cammin! Si scontraro, ma indarno alla speme Si conobber, ma sol nei sospir; Uno sguardo cambiarono insieme, Susurraro un accento, e morir! Troppo lunge dal voto mortale Nasce il gaudio che il puote calmar ; Spirti audaci non reggon sull' ale Giunti al fine dell' arduo volar. Arde il core, ma tarda è la mente; Non risponde la lena al desir: A cercar il bel fior d'oriente D'occidente egli è indarno partir. IL MORO. I. - ODI, o Moro: di zecchini Avrai copia ad ogni inchiesta, Ma l'ingegno e il cor mi presta E sii fido esplorator. Genovesi e Narentini Vinse Foscari, ma invano; Ei d'Annina ebbe la mano, Ma non seppe averne il cor. Tra le giovani vezzose, Che trascorron la laguna, Cerco invan chioma più bruna, O sorriso più gentil. È l'invidia delle spose, Grande a tutti, a lei son vil. - E ai comandi avvezzo il Nero Incrocio le braccia al petto: Basta, disse, un vostro detto, Schiavo io sono, e voi signor. II. Soletta intanto nelle sue stanze Nel tedio Annina sepolta sta; Fugge i teatri, sdegna le danze, Raro ai conviti veder si fa. Ha spesso gli occhi sul pavimento, E qual da valle cannosa e bassa L'occulta pena che la divora Incubo, o quale più grave pondo A rota pari che mai non cessa Passi la luna per le sue sale, Crosci la pioggia nel suo cortil, Mestizia in volto le siede uguale, Ha vita o noia sempre simil. Musica dolce per lei non suona, Freschezza il vespro per lei non ha, Non può di fiori farsi corona, Langne ignorata la sua beltà. Che giova il sole, che allegra il mondo, A chi di nebbia ricinto ha il cor? Non può il tenace pensier profondo Seguir la varia sorte dei fior. III. E lo abborre ? Quell' alma innocente Non abborre, non sdegna persona. Esser nata per altri si sente, Con nessuno però ne ragiona; A sè stessa mistero ne fa, Fors' ancor ch'ella stessa nol sa. Visto mai non le venne quell'uno, E, destata, da canto si vide [chi, Che a guardar d'ogni parte ha cent' oc- D'un devoto ministro al consiglio E del pio consiglier la risposta! IV. Stizzita alquanto proruppe un giorno : Che vuol quel Moro che ho sempre intorno? Forse che starmi così da presso Dal mio signore gli fu commesso? Vergogna! sempre cacciarmi innante, Pien di sospetto, quel vil sembiante. E si dicendo, la prima volta Del gentil sangue l'impeto ascolta. Ma il Moro afflitto tra sè favella: Perchè sdegnata non sei men bella! Oh se sapessi la doglia mia, E con qual core l'occhio ti spia: Men forse irata mi guateresti. Che dico? in odio vie più m' avresti. Ah! m'odia, e possa l'ingiusto sdegno L'ardir celarti del servo indegno. Odiami! e spesso, sia pur per ira, Su me le ardenti pupille gira. Pur che mi parli, sgrida, minaccia; Pur ch'io ritorni, da te mi scaccia. Ah! del tuo fiero crudel signore Già non mi tiene schiavo il timore. Per te dei climi donde fui tratto Non ho più brama, non vo' riscatto. Colà non spira tra gli arboscelli molle effluvio de' tuoi capelli. Della capanna sull'uscio assiso Vedrei le stelle, ma no il tuo viso. Udrei il susurro delle foreste, Dal tuo verone sul mar sporgente E oh! quante volte, vista ritrarti, E fra quell' acque qualche conforto Trovar al cruccio che dentro porto. Oh! se sapessi tetri, gelosi Pensier ch'io covo mentre riposi; E penso all' uomo, che a te da lato Dormir ti sente, spira il tuo fiato. Ahi l'uom crudele! Da presso ognora Mi vuole al foco ch'arde e divora, Ch'io senta struggermi le vene e l'ossa Perchè tranquillo viver ei possa. Crudo! ma guai, guai se sormonta L'odio, e col lieto fasto s'affronta! Potrei mostrargli con questa mano Come non s' ama, nè s'odia invano. V. Fra gli olmi, fra i platani V'è un loco romito, Cui presso cammina Il limpido Sil. Ogni anno là recasi Col fosco marito -Non sali dell' agile Vedendoti l'occhio Deh! cessa le inutili Veduta, rammentati, Ahi cuore di femmina; E l'altro più infuria; -Son reo perchè il perfido E assiduo da canto Son reo, perchè lecito L'oltraggio va, Foscari, Che? Insulti?-E già, torbida La mente di sdegno, A vile minaccia Annina dall' impeto, Nel correre incespica, E l'altro, veggendo A tal la gentile, Acchetasi alfin. In casa ricovrano : Se non che, cadendo, La donna un monile Perde nel giardin. D'ancelle il sollecito Ritorno non vale, L'arnese pregiato Più visto non è. Cosi dell' ingiuria Dell' uomo brutale Annina l'ingrato Vestigio ha con sè. VI. Il palagio a tumulto è levato. Tradimento! Il padrone strozzato Tra guanciali, irto il crin, nero il volto, È tuttora col collo ravvolto Nella fascia del moro sleal. Quell' iniquo s'insegua, si prenda, De' suoi giudici tratto in presenza, Consiglier non avesti o compagno? Qual dal fatto speravi guadagno? Qual sembrasse cangiando color. [no, Negro, ei spesso, con voce di scher Mi chiamava,» tizzone d'inferno! » Eil fei tale. O signori, se visto Impassibili voi giudicate, Giudicate, punite, son pronto; Più non disse; e già il bruno corteo, Accalcate di popolo spesso Son le vie per cui deve passar. VII. Annina, indi a più di, trova il monile, Che nel fatal giardin perduto avea, Da carta involto, dove in rozzo stile Questa breve scrittura si leggea : Quindi innanzi non fia, Donna gentile, Chi levi a minacciarti la man rea. Tel giura il Moro. - Ebb'ella appena letto, Che le mancò la vista e l'intelletto. IL CAVALLO D'ESTREMADURA. BATTE il pian d' Estremadura Indomabile un destrier; Triste è il regno, e n'han paura Duci, prenci e cavalier. - Chi gli ponga freno e sella, Così va di terra in terra Di Granata e di Castiglia D'Oviedo e di Pamplona Ma un oscuro di Biscaglia, Ai magnati parve strano Non rispose, ma contenne Quivi giunto, tal ragiona; |