E mentre alle sorgenti ultime mete Del vecchio anno riguardo, e pronte sono Ad incontrarmi le speranze liete Onde il nuovo alle illuse alme fa dono, Te d'ogni mio pensier vagheggio in ciPer te il futuro ad arrivar m'è lento, [ma, Sol per te de' trascorsi anni fo stima; E ognor meco m' adiro e mi lamento Che non ti vidi dall' età mia prima, Unico a' giorni miei gaudio e tormento! XXI. Quanto più fiera e minacciosa sorge Fortuna, e s' attraversa in sul cammino, Che, qual co' pensier sempre, a te vicino Talor pur con la salma egra mi scorge; Tanto più forte e violento insorge L'affetto a guerreggiar gli anni e il destino, E al foco ove pensieri e detti affino Il conteso tuo volto esca mi porge. Così, diletta mia, lunge e da presso Uno è lo spirto che mie membra informa, Il desio di che vivo uno e lo stesso. Te, sempre te, non altro, o vegghi o dorma; Quel crin, quegli occhi, e, ad altra non Fresche rugiade, astri lucenti, e lieti Zefiri e sogni abbia la notte in dono, In cui de' primi tuoi vagiti il suono Allegrò le domestiche pareti. Chi letto avesse allora entro a' secreti Dell'avvenir, che aperti oggi ci sono, Dir potea Cortesia, come in suo trono, Avrà in lei seggio; e quanto de' poeti, Per far a belle amate donne onore, Finse cantando il mobile pensiero Spirerà da quel volto e da quel core. E soggiugner potea forse, o che spero : Nacque, sei lune or son, chi a lei d'amore Vivrà congiunto, e potrà girne altero. XXIII. E tu pur, o di guai sazio e di pianto, Anno funesto, al tuo nulla ritorni! Addietro guardo, e de' passati giorni Non trovo omai che la memoria e il canto. Ma tu, raggio d' amor, bello fra quanto Veggon quest'occhi miei, meco soggiorni, E di lusinghe l'avvenir m' adorni, Si ch' io risorgo avvalorato alquanto. E per la sconosciuta erta salita M'invio dicendo: il mio fido conforto Non m' è sempre da lato, e non m'aita? Oh! se il cammin da tal astro m' è scorDi che paventa la dubbia mia vita? [to, Dovunque è il caro lume, ivi è il mio porto. XXVI. PER LE NOZZE SANSEVERINO-PORCIA. (A lato il sonetto era disegnata una nereide.) L'alghe sono e i coralli alla mia testa Di lauro invece, e son pur musa anch'io : Il mar d' Adria m' alberga, e mi tien desta Degli alterni suoi fiotti il mormorio. Di qua, talor giuliva e talor mesta, La mia canzone all' aure e ai lidi invio, Seguo gli astri cogli occhi, e la tempesta Cesse non una volta al prego mio. E sorgo oggi a cantar chi fe dimora Su queste rive all' età sua novella, Ed or sposa all' altar move e s'infiora. Oh la gentil ch' io la conobbi e bella! L'astro, ch'ultimo in cicl sviene all'aurora, Quante volte: Ecco appar, dissi; ed era ella! ODI AMOROSE. IL DESTINO. A' MIEI baci chi vi ha tolti, Occhi languidi d'amor? O il più bel di tutti i volti, Chi si bea nel tuo pallor? Sul mio core ho pur sentito Segui l'uom che ti ha tradito, Obbedisci a' tuoi tiranni, Ne' teatri, ai balli, dove lo, straniero alle speranze, Non il tempo, non gli assanni LA LONTANANZA. ABBORRITO, (e pur t'amai!) Sconto falli non commessi: I tuoi giuri, i cari amplessi Altri ottiene, e m'odia ancor! Dura vita! i mesti lai Tu non odi, e mi condanni; Non han fine i nostri affanni, Disperato è il nostro amor. Quando il duolo i nodi sciolga Della vita e dell' affetto, Sul mio tumulo t'aspetto Poche lagrime a versar. Non t'udrò. Dov' io mi volga Non so dirti ignudo spiro; Ma l'estremo mio sospiro A te giuro di sacrar. LA FESTA. FRA i nappi e i profumi, Fra gl' ilari canti Di giovani amanti L'età, che nel pianto Chi è la quel sembiante Ah si lo conosco! O misera amante, A che ti consumi Fra i nappi e i profumi A pianger con te. IL RITORNO. TE vidi fanciulletta Quando sul caro viso Spuntava ingenuo riso, Interprete del cor; O ingenua lagrimetta Sedea sulla pupilla, Come notturna stilla Sul calice d'un fior. Quanto cangiata, oh quanto, Oggi che fai ritorno! Ben veggo il viso adorno Di florida beltà; Ma da quegli occhi il pianto Troppo n' andò lontano, E il riso cerco invano Della tua prima età. Nel novo tuo sembiante L'AURORA. CHE mi chiedi, fanciulla innocente? Che gli arcani del cor ti riveli, E sommerga l'ignara tua mente In tempesta di foschi pensier? Sull' estremo confine de' cieli Mira il sole che spunta sereno, Ed invia sul tuo candido seno De' suoi raggi il più puro, il primier. Non lasciarmi si misero e solo; Non intendi il pallor del mio viso Per fuggir dalla squallida cura Verrà giorno, che l' ansie e i tumulti D' una vita che fede non tiene Destin moti ch' or dormono occulti Fra la pace del puro tuo sen. Segui, o cara, le larve serene, Vita segue spiacevole e mesta Pari al suono dell' onda che cade LA PROTESTA. COME larva d'augurio funesto Per quel crocchio m'aggiro e per questo Dietro l'orme di cara beltà. Che mi vede si torbido in faccia Seguitar quell' amabile traccia, Qui costui, va dicendo, che fa? Uno speco, da taciti e bui Boschi cinto, ricetti costui, Ove intero non penetri il dì. Là ripari, novello eremita; Là d'un frutto sostenti la vita, E d'un sorso che il rivolo offri. Con un detto sentenza si ria Sperdi, o donna dell' anima mia : S'io son mesto, tu intendi perchè. Ah! tra i balli, i conviti, le feste Non discenda la cara parola, Chi si mostra ognor lieto e ridente, La virtù d'un tuo riso non sente; Che si vaglia non sa un tuo sospir. Mio quel riso, onde l'anime bei; Su me regna! vassallo devoto Obliando il leggiadro tuo velo, Amo i lochi ove attesa tu arrivi, Un tremore m' invade, se il muro Al mio orecchio gradevole è il nome Se tra i balli passandomi a lato Alle labbra tremante l'appresso, Se il tuo braccio al mio braccio sopponi, Se alla mensa ti seggo vicino, Manna il cibo, m'è nettare il vino, Parmi in ciel tra' beati seder. Ma se mai ti son fatto si presso Che respiri il respiro tuo stesso, Sento un fiero desio di morir. Ah! tal sempre la vita mi scorra: Se tu m'ami, ogni gente m' abborra; Se tu m' ami, so tutto soffrir. E dal ciel questo voto s'ascolti: Pria che al sole per sempre sian tolti, I miei lumi s'affisino in te. Dalla tua la morente mia mano Stretta venga; chè forse lontano, Cara donna, tal giorno non è. Ta l'estremo mio fiato raccogli, Ne pietosa al mio fianco ti togli, S'ogni palpito in me non cesso. Alle danze, ai conviti di pria Riedi allor; nè membrarti che sia Freddo il core che tanto t' amò. LA METAMORFOSI. OLTRE la tomba un nome Non dopo l'ultim' ora Ovver, s'oltre l'avello Se legge è di natura Di mutar forme ognor, Mutando la figura Non cangi il nostro amor. Se all' onde amor di figlia Se di cangiar contrada La dove l'armonia Dove son corpi attratti Se quanto ha senso e moto Dovesse alfin perir, L'interminabil voto Ci accolga in un sospir. LA PRIMAVERA. COLLA stagion novella E un inno dal mio core Vidi pur or del cielo Vidi le secche aiuole, Tal, se le tue parole Ma l'usignuol celato Tra i rami del boschetto Palesa il proprio affetto Come gli detta il cuor. Perchè non mi vien dato Anch' io nel modo istesso Far il mio gaudio espresso, Espresso il mio gioir? Ai carmi è ceppo l'arte E il perfido costume, Onde cantar presume D'amor chi nol provò. E ciò che dal cor parte APPIE d'un'ampia scala, Apparvemi tra il grave La man le porgo, e: Cara Parte di te mi svela E un nome il cor mi mormora, Tace; e la man mi stende, Sei dessa! Oh fido indizio! Il cor non mi menti. |