Celatamente, e a me giuraron patto E quelle, forti de' ristretti nodi, Sebben fortuna ad amendue me faccia Ancor secondo di possanza e gloria, Nè l'ala a simil vol ben si confaccia : Pur la recente di quel di memoria, Quando per me Montecatin sentio Tanto grido levarsi di vittoria; Merito e grazia m'acquistò tal ch'io Quanto per loro oprar là si dispose Fede ho quà giù di conseguir pel mio. Come verrà (questo ad ogni uom s'ascoEd or tu, per altezza d'intelletto, [se, Quarto sarai nelle secrete cose), Come verrà, che all'arduo mio concetto lo giunga, e veggia di cotal semenza Tempo a cogliere omai quel che m'aspetto; Subitamente e fuor d'ogni credenza Tutti, in un punto, di ciascun paese Segno a cotante e non pensate offese Mal starà fermo quel superbo in campo, Cui l'odio oculto si farà palese. Che se muova Filippo indi al suo Dante racceso negli affetti suoi, Non si tosto ebbe detto, che del santo (1) Re di Napoli. (2) Re di Francia, fautore de' Guelfi. In sull' entrar del tortuoso bosco. Allor que' duo, già vinti da un' ardente Brama di ragionar libero e chiaro, Pieni amendue d'alto pensier la mente, Pel selvaggio cammin si dilungaro. CANTO QUARTO. FACEAN ritorno al solilario albergo Mentre sul balzo oriental parea Quella che ha l'ombre innanzi, e il sole a tergo. Lieto Castruccio a l'Alighier dicea! Del ciel furaggio quel pensier, che in prima Tua sapienza ricercar mi fea. In me si largamente da la cima Magnanimo signor, Dante riprese, O alquanto il ciel de la sua grazia piova, E qui le genti per età lontane Il nome tuo benediranno a prova. Quando grave una voce: o menti umane, Voi nel tempo futuro edificate, Nè certo fondamento è la dimane! [te L'un ver l'altro, a quel suon, maravigliaVolser le ciglia, e tacquero, e fer sosta, Prestando orecchio il cavaliero, e 'l vate. Quella continuò: cangia proposta Tu che la speme a tanto ergi secura; Troppo da lungi la gran meta è posta. Oh quanta etade io passar veggio oscura, E calda ancor di civil odio insano Su la tua derelitta sepoltura! Ecco più chiaro secolo ed umano; Ecco più degna ai cor fiamma s' apprende, Ecco uscire un guerrier di Vaticano. Per quanto Italia si dilata e stende Bramoso dal Tarpeo lo sguardo ei volve, Poi d'arte armato e di valor giù scende. Ma un'ombra, che nel gran manto s'involA mezzo il corso trionfal l'arresta. [ve L'opra dell'empio innanzi sera è polve! Tacque; e i duo che venian per la fo resta, Giunti colà, donde quel suon procede; Parean tacendo dir: che cosa è questa? Videro allor dell' alta croce al piede Il fraticel che in pria pace lor disse, Uscendo il buon rettor di mezzo ad elli, Mira, a Dante gridò, come il ciel pregia Gli umili spirti, e si compiace in quelli. Questo santo romito, a cui non fregia Altro che fede e carità la mente, Spesso dell'avvenir Dio privilegia. E se vicina allor cosa, o presente, D'una secreta sua virtù lo sproni, Ivi spande il profetico torrente. O dolce padre, che colà ragioni, Ripiglio l'ispirato, a tal che fia Tra breve un nome che in eterno suoni, Vien qua, vien qua, chè per la lingua mia Al penitente tuo viver votivo Conforto il ciel non aspettato invia. Quel pargoletto, che di vita privo Piangi, mercè de la fedel nutrice (Sappilo, e godi, e Dio ringrazia) è vivo. Fia di casta donzella oggi felice, Che, spente l'ire, i tuoi nimici a lui Disposeranno e di cotal radice Verrà pianta, onde fia germe colui Che, dopo cinque secoli, di questa Notte dirà con non vil carme altrui. Oh come il veggio, oh come manifesta M'è nel cospetto quell'età si tarda! Oh quanta un vivo Sol luce le presta! Un Sol, cui stupefatto il mondo guarda, Qui ferve, dopo lui, più largo seme Qui tien mansuetudine ogni core, Dolce negli atti, e ne' sembianti amica; E parla caritade, e spira amore. Ma fortuna vegg' io, sempre nimica, Altri l'intera dell'uman legnaggio Parte, anelando all' arduo ver, perduta Sovra l'ali fantastiche, la traccia, Torna di nebulose aure pasciuta. Parte gl'ingegni d'allettar procaccia Dietro all'arte che il Figlio di Maria [cia. Sgombró del tempio, divampando in facO intenzion, forse benigna e pia, Indarno, indarno che riesca aspetti A meta liberal cupida via. Rendete il vital cibo agl'intelletti, Non ismarrite la verace stella, Rinnovellate di fortezza i petti. Ve' come sorge maestosa e bella E cinta di virtude ecco un feroce O immortal segno del trionfo nostro, Alto un silenzio, un meditar che adora Le arcane vie di Lui che sè consiglia, Segui d'intorno a quel giacente allora. Di gioia il duce de la pia famiglia Bagna le guance; l'Alighieri atterra, Castruccio tien nell' Alighier le ciglia. Aurea consolatrice della terra, Già percoteva quelle pensose fronti O lume d'ogni nobile intelletto, O face eterna di saver profondo Inusitata al mondo, O spirito che a' rai del primo Sole D'egual lamento ogni gentil favella Su le piagge divise Italia stassi, Ch' or, come vedi, alfin sente suoi danni : (Colpa d'antico mal che in lei s'alligna) Sul dritto calle de' bei studi in prima Ma tu se' gito a riposata parte Di lor, chiamato dal disio del vero, Porgevi in terra, e degli antichi savi Peregrinando per lo tempo andato, Sorger vedevi, e dichinar poi tosto; Furor nel sangue suo disío far pieno, Filosofia ti disvelava a un tempo Il tempo rapidissimo si volve; E l'opre umane incontra lui men frali Guasta, e famosi nomi Disperde, e luce d'alti esempli ammorta, A la foga antichissima rapisti Nova spandevi e di dottrina immensa Come di somma riverenza degno Unica in tanta gloria umil virtude Tra noi scendevi a far di te delizia Recavi in atto affettuoso e pio, T'accoglie al sen benignamente, e dice: Da' vilissimi pochi il guardo piega Come virtude in generoso core S'egli avverrà, Canzon, che Italia senta Tuo giusto sdegno e il van lamento insieme, VERDE e solingo colle Ch' al mio vate gentil tanto piacesti, (Quanto t'invidio), e di bei lauri cinto Trar sua vecchiezza a lenti passi e gravi Per queste ombre soavi, Quando del prisco italico valore -O Qui portava nel volto, ancor dipinto Che sospir più soavi unqua non spera: Si volge a l'urna dolorosa e guata; Benda, con mano a' tristi occhi fa velo : E Amor così le dice: La più gentil fra le gentili cose Pudico innanzi a giovinette menti, Che più a me si convegna il van disio Presi l'alme più schive e più selvagge Di mia beltate allor ch' ei mi diè veste Eletta, e si celeste Dolcezza che suonò per lunga etade : Or donna vil che il mio Nome si toglie, e i nuovi ingegni tragge Or cener muto che una pietra guarda, Volta quaggiù, la tua santissim' ombra Di quell'amor magnanimo e cortese Che ben d'altro l'accese, Che d'occhi rilucenti e di crin biondo. Reliquia hai vinto di barbaric' ombra, Canzon, sovra quest'urna Poni un serto di lauro ed un di mirto; Io bacio il suolo, e questa tomba adoro. |