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Signor, qnel giorno affrettane
Che immacolati andranno
Di fredda strage i regni ;
Che miti fien gl' ingegni
Come nel ciel sei tu.

Manda l'atre carceri

per

Questa beata spene, E sonno almen benefico Fra i ceppi e le catene Que' miseri addormenti, Che forse dei potenti L'asprezza traviò. Reggi per l' onde instabili

L'affaticata prora; D'ospizio salutevole Il peregrin ristora; Ogni dolor fa stanco In chi coll' egro fianco Le piume travagliò. Veglia me pur. Dell'animo E delle membra puro, Per poco il sonno vincami Nell' umile abituro: Poscia co' nuovi albori, Come l'odor de' fiori, Salga il mio prego a te.

Ma, se di morte l' alito

A me già spira intorno;
Se più non denno schiudersi,
Gran Dio, quest' occhi al giorno,
Succeda il riso al pianto,
Della vittoria il canto
All'inno della fe.

A MARIA VERGINE.

O DELL' eterno Artefice
Madre, Figliuola e Sposa,
Quando sono di cantici
La valle dolorosa;
Quando s'aperse un' anima
Senza parlar di te?

Fra le più degne immagini
Del creator pensiero,
Prima di porre i cardini
Al gemino emispero,
T'ebbe vicina, e piacquesi
Di tua bellezza il Re.

Eva miglior, le vergini

Porte chiudendo al senso,

Davi tremando all' Angelo
Il verecondo assenso :

E di te sol vestivasi
La diva Umanità.

A te sorrise il Parvolo
Nel solitario sasso:
L'almo tuo sen lattavalo;
E la favella e il passo
Tu gl' insegnasti a scioglere
Nella mal ferma età.
Teco solea dividere
La mensa giornaliera,
Teco il sudor del povero,
Il senno e la preghiera,
Gli allanni, le vittorie
Dell' operoso amor.
Lo seguitasti ai pubblici
Trionfi di Sionne :
Immota sovra il Golgota
Fra le piangenti donne,
Fornisti senza piangere
Il calle del dolor.
Ma poi che dove accogliesi
La gente rediviva,
Nel sen dell'Impassibile
Ti risvegliasti, o Diva,
Chi gli potria per gli uomini
Parlar, se non sei tu?
Però di te s'abbellano
L'are, le tombe, i riti;
Col volgo i Re t'invocano,
T'invocano i Leviti;
Narran delubri, e memori
Giorni la tua virtù.

Qual simulacro abbracciasi
Se trema, o Dea, la terra,
Se rio malor propagasi,
S'arde fraterna guerra,
Se il mar trabocca, o l'invida
Campagna inaridi?

A chi sen vanno i miseri

Nell'ultimo sconforto;

Qual dono appende il naufrago
Nocchier che torna in porto;
Dall' egro a cui si votano
I conservati di?

Tue son, Maria, le unanimi
Lodi, son tuoi gli onori :
Tu la virtù dei deboli,
La guida dei migliori,
La porta dell' Empireo,
La stella del mattin.

Te pur l'ansie agitarono

Di questo esiglio un giorno,
E tu fra i cori e il giubilo
Dell' immortal soggiorno
Ti levi, o Madre, al gemito
Del mesto peregrin.

Odilo. A te l'angelico
Saluto intuonar suole
E quando l'alba infiorasi,
E quando ferve il sole,
E quando par che il tremulo
Raggio si spenga in mar.

A te le prime suppliche

Del bambolo innocente;
A te lo sguardo e l'ultimo
Sospiro del morente :
Più quete l'ossa dormono
Presso il tuo santo altar.

Non reggia, non tugurio,
Sentier non sia, non cella,
Che a te ricusi un titolo,
Un fiore, una facella;
T'avran custode i popoli,
Dolce Maria, così.

E, senza i troni scuotere,
Senza destar le spade,
Con ala placidissima
Sull' Itale contrade
Della paterna gloria
Ritorneranno i dì.

LA DIVINA PAROLA.

Sr. cade umor vitale

Da nuvola feconda,

Non torna, non risale
Quivi la neve o l'onda;
Ma tutta inebria e bagna
La fertile campagna,
E rende i semi al vigile
Colono, e pan gli dà.
Così, qualor sen vola

Dal mio segreto uscita,
A me la mia parola
Non riede senza vita,

Ma in terra e nel mio regno
Compie quant' io disegno,
E pel gran fin vi prospera
Perch'io la mando e va.

Al giuro dell'Eterno
Risposero gli eventi.
Dell' íra e dell'inferno
Retaggio eran le genti,
E per arcana via
Dal patrio ciel venía,
Conforto a tante lagrime,
Il Verbo del Signor.

Nella stagion più bruna
Mille Veggenti e mille
Drizzaro alla sua cuna
L'estatiche pupille;
E, fatti omai sicuri
Dei profetati auguri,
Franchi per lui si tennero
I figli del dolor.

Le sorti son compite:
Vincemmo; è sciolto il laccio.
Uscite, o madri, uscite
Co' pargoletti in braccio ;
Dite in sermon novello

Ai forti d'Israello :

Son nostri, e il reo non portano
Suggel di servitù.

Chi come il Santo, allora
Che medita perdono?
Perchè il ribel non mora,
Perch'abbia dritto al trono,
Dalle stellate porte

Ai gemiti, alla morte
Manda per mezzo ai perfidi
L'istessa sua Virtù.

Di culto verecondo
La salutaron primi

Pastori oscuri al mondo,
Ma innanzi a Dio sublimi,
Quando con santo zelo
Gloria all' Eterno in cielo,
E pace in terra agli uomini
L'alato stuol cantò.

Nuovo da lei conforto

Nei pescator discese
Quando il Messia risorto
A trionfar li chiese.
Terribile, veloce,
Mite di Dio la voce
Ai tracotanti, agli umili
Sui labbri lor sonò.

Essa di loco in loco

Corse per ogni terra;
Vinse le spade, il foco,
Le ritrosie, la guerra:

Fra gli archi e le colonne Di Roma e di Sionne Per lei s'erse il purpureo Vessillo della Fe. Per lei l'ingegno astuto Del tentator fu vinto; Ebbe loquela il muto, Ripalpitò l'estinto; Ai fonti, ai paschi eletti Leoni ed agnelletti Mossero insien, corcaronsi Dello stess' orno al piè. Al suon delle parole

Arcane, onnipossenti, Dal padiglion del sole La Speme dei redenti, Fra l'estasi, fra i voti Dei popoli devoti, Discende ostia e pontefice Sull' odorato altar. Terge le macchie in fronte Dell'uomo, e lo risana Colla virtù del fonte La voce sovrumana; Lui salva, lui proscioglie, Quando il demón lo coglie, Come sparvier fra i turbini, Come corsaro in mar. Dell'ermo nei recessi

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Santifica gli amplessi
Di gioventù pudica;
Fuga il malor che nacque
Dagli aquilon, dall'acque;
Serba le messi e gli alberi
Sul prodigo terren.
Fra 'l sangue, fra i delitti
Placa, sgomenta il tristo;
Ne' vigili conflitti
Regge i campion di Cristo;
Rende securo e forte
Sul letto della morte,
E infonde al pio letizia
Di paradiso in sen.

Allo scoppiar de' tuoni,
Al suon di mille tube,
Siccome Iddio ragioni
Dalla squarciata nube;
Come tremar ne faccia
La divina minaccia,
Del circonciso esercito
Il condottier l'udi.
Noi popolo redento,
Eredità verace,
Ascolterem l'accento
Di carità, di pace.
Chiamane, o Dio, se vuoi;
T'udranno i figli tuoi:

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MEDEA,

TRAGEDIA

DI DELLA VALLE

(DUCA DI VENTIGNANO).

MEDEA.

PERSONAGGI.

GIASONE,

CREONTE.

GLAUCA.

LICISCA.

EUMELO.

CORINTII.

La scena è nella reggia di Creonte in Corinto.

ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

CREONTE, CORINTII.

CREONTE.

ALTA cagion, fidi Corintii, al vostro
Signor d'intorno oggi v' aduna. A parte
Brama pur voi Creonte della immensa
Letizia sua ché aver letizia vera
Giammai non puote un re, finchè divisa
Col popol suo non l'abbia.-Io già dagli anni
Fatto infermo e cadente, a' danni vostri
Sorger vedea molti nemici e feri,
Perchè spesso impuniti; e Glauca dolce,
Unica figlia a me dal ciel concessa,
Priva ancor di consorte. Ond' io mi volsi
Un prode a rinvenir, che fosse insieme
Difensor di Corinto e a Glauca sposo;
E'l concedeano i Numi. - A queste sponde
Giunse di Colco il vincitor, traendo
La vittoria seguace: a lui commessa
Fu la nostra vendetta, e 'l san le vinte
Falangi ostili se il suo braccio è fiacco.

Il vedeste pur voi, la fronte asperso
Di polve e di sudor, recar sovente
Del trono appie le sanguinose spoglie
De' trafitti nemici. E Glauca il vide,
E sen compiacque : e, progenie di forti,
A nobil fiamma il suo bel cor dischiuse;
Ne il tacque al padre. Alle proposte nozze
Giason consente e chi narrarvi or puote
Quanta è mia gioia? In un sol di compiuta
Del re, del genitor la speme io veggio;
Paga la figlia, ed un eroe sul trono. -
Però non fia che ad imeneo si lieto
Pur breve indugio si frapponga. Al tempio
Precedetemi voi. Pria del meriggio
Vuo' che il rito si compia.

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E tu Creonte, ch'io non so se deggia
Padre o amico appellar; pria che il solenne
Rito si compia, un alto arcano è d'uopo
Ch'io vi palesi. A ciò mi sforza il vostro
Tenero affetto e i beneficii vostri,
Ond' io sicuro ed onorato e lieto
Vivo così, che, quanto il ciel m' ha tolto,
Tutto ritrovo nell'amor d' entrambi. -
Delle vicende mie gran parte ignota
Ancor vi resta, e la men lieta. Ad ambi
Tutto fia chiaro, e insiem perchè taciuto
Finor l'avessi. Allor, se degno ancora
Del vostro amor mi crederete, allora
Vi sieguo al tempio.

CREONTE.

Intenti a udir siam noi.
GIASONE.

L'alta vittoria, onde mia fama eterna
Al mondo suonerà, forza è pur dirlo,
Meno al mio braccio che all'amor degg'io.-
Nell' aureo vello il regnator di Colco
Credea riposto il comun fato e il suo :
Però di feri sgherri e di feroci
Belve e d'occulte insidie avea la selva
Accerchiata così, che un passo in quella
Era morte secura. - E già due lune
Splendeano indarno sulla mia speranza;
Ed i seguaci eroi, me sol lasciando
Quasi stolto alla impresa, a' patrii lidi
Facean ritorno. All' alma dea di Cipro
Devoto allor mi prostro, e incensi e preci
Ferventi io porgo. Ed ecco un di, mentr'io
Son presso all'ara, ecco a quell'ara istessa
Medea venirne, del signor di Colco
Figlia diletta. - Qual sembiante avesse
Tacerlo io vuo': te sola or amo; e sovra
Tutte leggiadra or io te sola estimo. -
Amor ne accese entrambi; madre quindi
Medea divenne, io genitor di vaga
Gemina prole. Allor con sacro rito
Il dolce nodo a lei fermar propongo,
E, immemore del vello e del mio regno,
Presso al suo genitor miei di trar seco.
«Non hai tu trono? E qui servir vorresti ? »
Ella altera risponde: indi soggiugne:
« Mal tu conosci il padre mio : secura
a Morte, me'l credi, a te sovrasta e ai figli,
« Ove del fallir nostro abbia contezza:
« Solo il fuggir ci avanza, e il fuggir tosto. »
Raccapriccio a que' detti: orbare un vec-
Genitor della figlia a me parea [chio
Colpa maggior, che l'involargli il vello.-
Al mio dubbiar di tanta ira s'accende,
Si feri sensi nel bollor dell' ira

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