Te, madre, membrando, gli amici, i fratelli
Te, dolce compagna de' giorni più belli, Che acerbe memorie s' affollano al cor!
Qual pianta in uggioso terreno intristita Si strugge in cordoglio dell' esul la vita; Gli sdegni codardi cessate, egli muor. Se i lumi dischiude nell'ultimo giorno, L'amor de' congiunti non vedesi intorno, Estrania pietade gli terge il sudor.
Al sol che s'invola rizzò la pupilla : Non è il sol d'Italia che in fronte gli brilla, Che un fiore al compianto suo fral nutrirà, Spirando anzi tempo sull'ospite letto, Gli amici, la patria che tanto ha diletto L'estrema parola dell' esul sarà.
Di memorie è questo un fiore
Sacro al duol, sacro all' amore : Pur negletto e senza nome Non vedeasi un di brillar D'una vergin fra le chiome, Di bellezza in su gli altar.
Ma fu caro, da che i pianti
Lo sacrár di fidi amanti. Tremolava la mattina, Che doveva il prode Ugger Trar d'Italia in Palestina Della croce coi guerrier. Lisa, il primo, il solo affetto
Ei premeasi al mesto petto: Fra i consigli, fra il lamento: - Sarai fida?» addomandò: Ed un si fu il giuramento, Ed un bacio il suggello. Dei sospir fra il mormorio Ripeteano il tristo addio : E l'umor di lor pupille Cadde sovra un fiorellin, E nel calice alle stille Si confuse del mattin.
Di tal pianto rugiadosa
La viola in seno ei posa : Porge il cespo a la sua Lisa: - Tu il coltiva, ed al pensier, Finchè stai da me divisa, Ti richiami il fido Ugger. » E parti. Nel suo giardino Pianto Lisa il fiorellino : Ogni aurora la donzella Su quel cespo rimirò; Là di Venere la stella Ogni giorno la trovò. Non di mirto allegra fronda,
Non più rose al crin circonda : Al suo fior, presso la sera, Cauta versa il fresco umor: Se minaccia la bufera, Sol paventa pel suo fior.
- Spunterà del gaudio il giorno; Amor mio, farai ritorno: Vago il fior ritroverai Studiato di mia man, E vedrai - che ripensai Sempre a te, benchè lontan. >> Giunge ottobre, e il fresco verde Poco a poco il cespo, ahi! perde. Pel suo fior del mite Aprile Sempre invoca i nuovi di : Venne Aprile; - e il fior gentile Le sue foglie rinverdi.
Poverina! ma quel fiore
Non preluse un lieto amore: Poverina! Da Soria Ritornando un pellegrin Con un gemito le offria Appassito un fiorellin. Era il fior, che inumidio
La mattina dell' addio: Era il fior, che il fido Uggero Notte e di portò con sè: Egli al reduce palmiero Da tornarti, o Lisa, il diè, Quando sotto Odrisio brando
Versò l'alina. A te pensando Colla tremula pupilla La viola ricercò : V'è rappresa ancor la stilla, Onde in morte la bagnò. Lisa, ahi Lisa! il tuo dolore Lo dirà chi intende amore. Ne più mai giulivo un riso Fra' tuoi labbri baleno :
Ne più mai lo smunto viso La speranza colorò.
Non cercarla all'esultanza Del liuto, della danza! Desolata, sola sola, Trasse muta i lunghi di : La patetica viola
Di suo pianto inumidi.
Oh l'afflitta! e i crudi affanni Disfioraro i suoi verd' anni: Tra le memori preghiere Che morendo singhiozzo La viola del pensiere Sul suo feretro pregó. Le compagne in bruna veste, Di quel fior le trecce inteste, Della pace nel soggiorno La composero a giacer, E piantaron tutt'intorno Le viole del pensier.
Da quel punto venne il fiore
Sacro al duol, sacro a l'amore; Non è vergin che non voglia Farne bel l'ardente sen: Non è giovin che la soglia Non ne inliori del suo ben. D'un amante timoroso
Spesso apri l'alletto ascoso : In sul nastro del suo vago Ogni bella il ricamò, Ed ogni esule l'imago Dell'amata vi cercò.
Salve, o Nina: e il Trovadore Or che parte e lascia il cuore, Col tenor de la canzone, Ch'era un giorno il tuo piacer, Qui depone al tuo balcone La viola del pensier.
I MORTI DI TORNO (1). Naviganti che il lago fendete Presso Torno sul far della sera, Fermi il remo su l'onde quiete, La devota dei morti preghiera Alternate con flebile voce Degli sposi davanti alla croce.
(1) Torno è un paesello sporgente sur un capo, a destra di chi, partendo da Como, solca quel lago.
L'aura udite che intorno le freme? A lambirla vedete quel fuoco? Là due fidi riposano insieme. Ne bramate la storia? per poco Date ascolto la storia va al core Come i detti d'un padre che more.
Là in quel tetto di fianco alla torre Visse Linda sospiro di mille: Ma per lei non v'è gioja; ma scorre Sempre il pianto dall'egre pupille Da quel di che un severo comando Le strappo dalle braccia Fernando.
Quante volte, fissata sul lago, Il mattin le ricorre al pensiero, Che ha veduto partire il suo vago Da' Francesi arrolato guerriero, Quattro di dopo l'alba festosa Che la fe gl'impromise di sposa.
Li a quel salce alla misera avvinto I begli occhi coi baci asciugò: Qui da truci scherani sospinto
- Linda, addio » fra i singhiozzi iterò : Dal battello fin qui l' ha veduto Accennarle il compianto saluto.
Or del duol coll'ingegno la mesta Cerca i campi di là da Pirene, Fra i cimenti di guerra funesta Päurosa seguendo il suo bene. Oh! pensate se un solo momento Abbia posa di Linda il tormento.
Del giardin più le ajole non cura : A chi dar le primizie dei fiori ? Quando aprile ravviva natura Più non guida i festevoli cori : Dell'ottobre a la gioja vivace Le memorie e il timor non han pace.
A te, Diva; a te, Madre di doglie, Fida il pianto, offre i candidi voti. Del Bisbin, del Soccorso alle soglie (1) Chiede il prego de' pii sacerdoti: Ma una voce presaga di guai : - No, le grida, non più lo vedrai. »
Pure un dì, dalle Spagne tornato, Chiuso foglio recolle un guerriero. Lo conobbe, il baciò : dell'amato Era un foglio di gioja foriero : Sette di, poi nel patrio terreno Strignerà la diletta al suo seno.
(1) La Madonna sull'altissima vetta dei Birbisno
e quella del Soccorso fra il riso incantevole della Tremezzina, sono santuari frequentati dalla.confidente devozione dei laghisti.
- Ei ritorna: ei ritorna ». La bella
Del tripudio all' eccesso manco. - Ei ritorna! » La fausta novella Alle amiche, ai parenti recò : A Te, madre dei mesti Maria, Di sue grazie il tributo offeria.
Del di settimo l'alba sen venne, La trovò su le piume destata : Ella è fuor del desio su le penne S'è tremando alla spiaggia recata, Donde il guardo sospinge bramoso Se discerna il tornante suo sposo.
Ogni prora che avvisa lontano - Egli è desso» e distinguer lo crede; Ma la nave sul liquido piano Oltre passa e coll' aura procede: Ecco un'altra dal fondo s' avanza; Ride il cor di novella speranza.
Ma passò l'ansiosa mattina; Già le squille nunziar mezzogiorno, Dietro i monti il grand' astro dechina; Buffa il vento, s'annuvola intorno. Lo sapete voi pur, naviganti, Se a chi aspetta son pigri gl' istanti!
Or sicura la gioja figura D'abbracciarlo, di vivere insieme : Oh i bei di! - ma un' ignota paura Ogni fior le recide di speme. Sol disvia que' pensieri funesti Te invocando, o Regina dei mesti. Alla fin non s'inganna; alla fine Egli è desso in un picciol battello : Verde assisa, il caschetto sul crine, Mostre rosse, alle spalle il fardello: Egli è desso in tripudio d'affetto Par che il core le sbalzi dal petto.
Ma il tuon s'ode: più l'aura crescendo Dalla sponda il naviglio ricaccia. Ella trepida, qua, la correndo L'occhio aguzza, protende le braccia : - Lo vedro da quel balzo più bene - E alla cima del balzo sen viene.
Per la rupe di muschio coverta E di foglie che l' olmo perde Su su poggia: ma a mezzo dell' erta Mal posato le sdrucciola il piè - Vergin santa! - Dall' ispida china Capovolta ne' flutti rovina.
La conobbe Fernando, dall' alto Cader videla, e più non frenossi: Gonfio è il lago - che importa? d'un salto
Ei si lancia fra i gorghi commossi, E là drizza ove scossi dall' onde Mira i veli e le chiome sue bionde.
Quanti seco venian nel naviglio Di spavento levaron un grido. Del guerrier, della bella al periglio Molta accorse la turba sul lido : Qua battelli, qua corde - ma tutto Rende vano lo sdegno del flutto.
Pur Fernando alla cara si spinge, Che lo vede, il conosce, ed ansante Col viger moribondo si stringe Contro il sen del suo trepido amante : L'onda avversa con forza egli fiede; Ma una piaggia ove approdi non vede.
Ingrossando più sempre il maroso Gl'irti scogli del lido flagella. Già il meschin, per lei sola affannoso, Vinto cede all'infausta procella - Dalla riva odi il prego dei morti Suffragar gli annegati consorti.
Come il mite dell' alba respiro Appiano l'agitata laguna, Tutti afflitti sul lido reddiro Compatendo all'indegna fortuna : Fur trovate le salme là dove L'aura i rami a quei salci commove.
Linda ancora premevasi al petto Del suo fido... oh che abbracci funesti! Questo è il gaudio nuzial? questo è il letto? Dell' imene gli evviva son questi? - Solo a tocchi la squilla risona Come il cor di morente persona.
C'è nessun fra di voi che sia padre? Ha nessuno perduto un suo caro? Il lor padre, la povera madre Deh, pensate che doglia provȧro! garzon, le piagnenti donzelle Li fiorir di viole e mortelle ;
E il suffragio per essi offerendo, Ne composer in uno le salme. La sant'acqua i Leviti spargendo, Luce eterna pregaron all' alme :
Quella croce ed un carme pietoso Mostra il suol del congiunto riposo.
Lungo tempo ogni padre alla sera, Quando in mezzo de' figli adunati Ripetea l'uniforme preghiera, Disse un Pater pei fidi annegati: Chi vogando la croce rimira Prega requie, e passando sospira.
L'aura udite che intorno le freme? A lambirla vedete quel foco? Son gli amanti che vagano insieme Ogni notte al tristissimo loco : Ed alcun nel più bujo talvolta Il lugubre lor gemere ascolta.
Naviganti! la storia va al core Come l'ultimo addio degli amanti. Se il cammin vi propizii il signore, Se vi guardino l' Alme purganti, Dite un requiem con flebile voce Degli sposi davanti alla croce.
Sicut lilium inter spinas. Come il giglio fra le spine. Cantico di Salomone.
CHI ti dipinse sulla fronte blanda Il casto riso che d'un angiol pare? Chi ti cinse a la chioma una ghirlanda, Chi ti tempro, o fanciulla, aure si care? A te il mio cor deserto un voto manda, Come a una santa imago in ermo altare: Cosi accogli la mia mesta preghiera, Dimmi l'incanto dell' età che spera!
Te, sovvenir dell'innocenza prima Pose il Signore in questa ora caduca; Fiore educato nel celeste clima, Che i nostri rei pensieri a Lui conduca! Chi di vecchio disdegno in cor si lima, Chi nel cielo non ha stella che luca, Te di miglior speranza animatrice, Te contempla, o gentil, te benedice.
Perchè, quando l'Eterno al tempo apriva
L'ampia fecondità della natura, Non ha locato l'angioletta diva
Fra i fior dell' Eden, nell' orezza pura ? Che forse ancor della beata riva Ospite eletta, ignota alla sciagura, E figlia al ciel per cui guaggiuso nacque Saria l'opra in che Dio tanto si piacque.
Ma poi che della vita ebra fidanza L'innocente virtude ebbe conquisa, Sol' essa in questa dell'esilio stanza Le memorie dolenti imparadisa.
Di perdon creatura e di speranza Lassù, dond'è venuta, ognor s'affisa ; Ne sa che pianto grondi in sulla terra Ne dell'ira mortal crede a la guerra.
Quando lo splendid'etra in sua tranquilBeltà sorrida, e posi il vento e l' onda, [la Leva al ciel disiosa la pupilla,
Come se il suo nativo astro nasconda; E poi si terge una soave stilla,
E non ha gioja il cor che le risponda; Ma una prece non conta, una parola: Cosi tutti i dolori, o Dio, consola!
Oh la vid' io da la materna faccia Non movendo i pensosi occhi sereni Atteggiata d'amore aprir le braccia, E dire accenti di dolcezza pieni! Errar la vidi con aerea traccia Di cespo in cespo sui sentier più ameni; E sciolta giù per gli omeri la bella Treccia aleggiar diffusa in vaghe anella.
Ve'! sul fior più recente ella s' inchina, E lo coglie, e lo bacia, e in sen lo pone: Odi! all'aura gentil della mattina, Ella confida la sua pia canzone! Seguila via pel colle, a mezza china, Dove all'ombra si cela una magione: È l'obbliato asil della mendica; Perchè il piè ve la guidi, il cor tel dica.
Benedetta di pianto e di parole
Ella n'usci; ma fia che vi ritorni Anzi che al monte dica addio quel sole? Oh avventurosi immacolati giorni! Cosi pieta v' educhi e vi console, Finch'essa al ciel, ch'è la sua patria, torni! -
Ma se l'ale ver te quest' angiol spieghi, Chi fia, Signor, che per noi pianga e
Io t'amo, o mia fanciulla, allor che
Ti stai seduta a la minor sorella, E sul grembo ti posa il libro santo Che del popol di Dio a noi favella: E tu il ripeti a lei con un incanto, Con una fede, una virtù sì bella, Ch'essa n'esulta e leva gli occhi intenti, E beve l'alma tua ne' cari accenti.
Io t'amo, se nel tempio a Dio prostrata, Nel sacro giorno che da Lui si noma, Posi all'altar la fronte consolata, Raccogli il vel sulla lucente chioma! E anch'io chieggo pietà di mia giornata, E pace all' alma che il cordoglio ha doma: E anch'io prego con te, perchè l'oscura Mia prece colla tua salga più pura.
Deh se il Signor ti vegli in questa pia Candida gioja con assiduo sguardo, Se infido amor terreno a te non sia Auspicio impuro d'avvenir beffardo; Nascondi i giorni tuoi, fanciulla mia, Che il mal qui presto alligna, e il ben si tardo!
Serbailtuo core e aspetta il tuo richiamo: O del ciel creatura, io t'amo, io t'amo! 27 luglio 1837.
Quod Deus conjunxit, homo non separet. Quel che congiunse Iddio, l' uom non separi. Nell' Evangelo.
Timida, assorta nel pensier de' nuovi Giorni venturi che l'amor promette, Tra il festoso corteo dal tempio movi, E ancor ne senti l'aure benedette : Quel dolce affanno che nell' alma provi Sulla pallida fronte si riflette, E il pudico levarsi occhio non osa, Quasi paventi dir che tu se' sposa.
Pur or col nome di tuo padre a' piedi Dell' altar ti prostrasti in faccia a Dio. Fù un momento! ma al fianco ancor ti vedi Colui che il cielo a te per sempre unio; E sul suo braccio inchina, ecco già riedi, Quasi ignara del rito che finio, Con un nome non tuo, riedi alla casa Ov'è tua madre a piangere rimasa.
Ma non fia più che posi in quel soggiorOve i tuoi voti e le memorie stanno : [no
Le sollecite amiche a te d'intorno Con garruli conforti insiem si fanno; E che questo è di tutti il più bel giorno Con voci accorte ripetendo vanno : Tu nol comprendi, tu nol sai, chè troppo Le lagrime rompenti al cor fan groppo.
Ma pensi agli anni tuoi liberi e lieti, Quando ancor fanciulletta ingenua errasti, Folleggiando tra i fiori, e ne' mirteti Del paterno giardin che tanto amasti; E pensi a' primi tuoi dolci segreti Che soltanto a tua madre allor fidasti, Alle speranze, all'avvenir si bello, Che giunto alfin, non è, non è più quello.
Eppur tu l'ami quel garzon felice, Che coll' anello suo t'ha disposata ; E in faccia a tutti amarlo oggi ti lice, Che lassù la tua fede è consacrata ! Ma spesso anche la gioja il pianto elice, E trema il cor nell' ora più beata; E il di che più non torna, allor si veste D'una luce d'amor quasi celeste.
Ai segreti sorrisi ed alle ardenti Parole bisbigliate al casto orecchio, Sale pudica fiamma alle innocenti Gote e alla fronte che dell'alma è specchio: E ritrosa ti volgi, e le piangenti Pupille godi riposar sul vecchio Servo che pensa a te, quando fanciulla, Le fedeli sue braccia eranti culla:
Oh della madre tua che ti domanda Ritorna al noto amplesso un' altra volta; Siedile accanto e di sua voce blanda Le sante note preziose ascolta : Ne' consigli che Dio ispira e manda La fida anima sua tutta è raccolta; E trema perché sa che un altro amore Non può donarti un cor, come il suo core.
Vanne al fianco di lui che Iddio t' elesse Solo compagno nell'età ventura; Nutra sempre l'amor le tue promesse, E in quelle tu vivrai forte e secura : Ama il dover, nè volgi alle inconcesse Gioje l'ardor della tua fiamma pura ; E il viver tuo così, quando fia pieno Parrà trascorso come un di sereno.
E allora ti vedrai come novelle Piante d'ulivo intorno i cari figli, E col sorriso delle luci belle Ti ridirà ciascun che a lui somigli: Fiorenti al par di rose tenerelle, Candidi e puri al par di casti gigli,
« ÖncekiDevam » |