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G. RICCIARDI.

CANTO

PER GL'ITALIANI DI SAN MARINO (1).

O di gioja, o di pace unico asilo
In questa patria del perenne lutto,
Libera San Marino, io ti saluto!
Così fossi robusta, o poverella!
Come se' lieta, chè in periglio vive
La mite agnella tra feroci lupi.
O TITAN, da le tue cime,
Dove stanza abbiam sublime,
Nembi e turbini sfidiam.

Spunta il sole e noi sorgiam,
E suoi rai sfolgoreggianti
Salutiam con lieti canti.
Poi moviam per varii calli,
Soli o a torme, inver le valli,
Colla zappa o colla marra,
Mentre schiudesi la sbarra
De l'ovile, e qua sul prato
De le agnelle odi il belato,
Là saltar su per le vette
Vedi l'agili caprette,
Ed errar le vacche e i tori
Senza guardia di pastori.

Il di muoresi, la squilla
Ne richiama a l' ardua villa.
Cessan l'opre e ognun s'affretta
Verso l'umile casetta,
Ve' il sorriso ne consola
De la cara famigliuola.
Viene il babbo, i putti gridano
A la mamma affaccendata...
Presto il desco, presto a tavola...
E la mensa è apparecchiata;
Frugal mensa a cui provvide
Il modesto campicello,
Frugal mensa a cui s'asside
Spesso l'esul poverello.

Ma più fitto il vel si stende
De la notte; ed ecco placido
Sui nostr' occhi il sonno scende,
Dolce sonno cui non turbano

(1) Togliemmo questo canto ed il seguente con graziosa licenza dell' autore dall'operetta intitolata, Gloria e Sventura, Parigi, 1839. (L' Editore.)

Cupe larve, del rimorso
A noi sendo ignoto il morso,
Come ignoti ne son pure
I sospetti e le paure...

Un pensiero ne molesta...
Il pensier d'Italia mesta!...
Lieti siam, ma ne circonda
Una doglia si profonda!...
San Marino è come il monte
Sovra il quale alza la fronte,
Il Titan che queto resta
Nel furor de la tempesta...

[mo
Sommo Iddio, che il primo, il massi-
De' tuoi doni a noi largisti,
Sommo Iddio, deh fa che liberi
Tutti gl' Itali sien visti!...
Non son essi umana prole?...
Dunque a che lor nieghi il sole
De la diva libertà ?...

Ah sovr' essi di pietà

Volgi un guardo, o in noi pur scenda La tua folgore tremenda!

CANTO

PER GL'ITALIANI DI SICILIA.

Quando fulgea la sicula
Terra d'immenso lume,
Del Campidoglio l'aquile
Avean mal ferme al vol
Le giovinette piume,
E non ardian nel sol
Fissar lo sguardo.

Cento sorgean marmoree
Di popolo frequenti
Vaste città... sparirono,
E il soffio d'aquilon,

E de l'onde frementi
Sul mesto lido il suon
Solo s'ascolta!

Su le reliquie, ahi miseri!
De la grandezza avita
D'ogni contrada il barbaro
Ruinoso affrettò,

E noi molle, invilita
Progenie soggiogò
Senza fatica.

A che ne giova il limpido
Cielo, e il terren cui tanta
Beltade ingemma, e l'aëre
Puro, ed il vivo ardor
D'un sol che d'ogni pianta,
Ogni frutto, ogni fior
Ne fa larghezza ?

Lassi ! a che pro se in lacrime
Viviam, da che languente
È in noi la vampa indomita
De l'antica virtù ?...
Pur si levò repente
Da l'empia servitù
Sicilia un giorno,

Pur l'abborrito, estraneo
Signor la polve morse :
Chè al rintoccar funereo
D'una squilla fatal
D'ogni Siculo corse
Sul vindice pugnal
Cupido il braccio...

L'inclito fatto, o Procida,
Fu tua mercè. Tu piena
Del gran disegno l'anima,
L'ire de' venti e il mar
Sfidavi, e in ogni arena
Correvi a suscitar
L'odio di Francia.

E come il viso argenteo
Di vaga stella ardente

Conforto è in mezzo ai turbini
A lo stanco nocchier,
La tua lena cadente
Un fulgido pensier
Gía rinfrancando.

Cinta di ferro, libera
Per opra tua la cara

Sicilia a te pingeasi
Nel magnanimo cor,
E in ogni secol chiara
Del sicano furor
La bella fama.

Deh sorga per Italia
Un uom che t'assomigli,
E la corona infrangere
Si vegga ai re crudel,
Ei turpi, infami artigli
Al bicipite augel
Che ne diserta,

E ricacciarlo esanime
Su l'Istro abbominato!...
Salve, o stranier, che Italia
Ti rechi ad ammirar,
Ma se v'irrompi armato
Un glorioso acciar
T'apra le vene!

Oh de l'alta giustizia
Dia questa terra il segno,
E le tremende folgori
Che fero accender suol
Di Mongibel lo sdegno
In ogn' italo suol

Déstin la fiamma!

Ma già il gran monte siculo
Suona e fiammeggia, e tutto
L'agro flegreo rispondere
S'ode de l'Etna al tuon,
E de l'adriaco flutto
E del Tirreno il suon
Più e più s'accresce.

E quinci del Romuleo
Fiume e de l'Arno l'onda
Tutta ribolle e gonfiasi,
E quindi l'Eridan
In su la doppia sponda
Va infuriando, e invan
L'ira non spende.

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La farfalla errante e vaga, Il muggir lento de' tori, L'innocenza che n'appaga, Tutto va parlando ai cori.

Quest' auretta insinuante
Reca un nembo di desiri;
Accarezza ogni alma amante,
E ridestane i sospiri.

L'alma allor tutte le porte
Apre estatica al diletto.
Solo indegno è di tal sorte
Chi non chiude amore in petto.
Solo è reo chi può mirare
Duro e immobil questa scena!
Ma lo stesso non amare
È delitto insieme e pena.
Donna vaga senza amore
E una rosa sculta in cera,
Senza vezzi, senza odore,
Che mentisce primavera.

Tu non parli, o Fille? oimè!
Quel silenzio mi spaventa :
È possibile che in te
Qualche affetto non si senta?

O che l'alma inebriata
Dalla dolce voluttà,
In un'estasi beata
Tutta assorta se ne sta?

Il tuo cor privo di foco
Come credere potria,
Se guardandoti per poco
Vengon fiamme all'alma mia?
Fiamme, oimè, che l'occhio esala,
E ch'io bevo e anelo ognora,
Come beve la cicala

Le rugiade dell' aurora.

Quelle languide pupille
Mi convincono abbastanza
Che in lor parla Amore, o Fille,
Che v'è foco in abbondanza.

Oh almen fossero in concerto
Con gli stral che il guardo scocca
I tuoi labbri! O fatto certo
Pur ne fossi a mezza bocca!

Fosse almen quel lusinghiero
Grazioso tuo rossore
Testimon non menzognero,
Fido interprete d'Amore!

Ma che forse al cor severo,
Novo ancor, faria paura
Un amor fervente e vero,
Un alletto di natura?

Ah! mia cara pastorella,
Avria forse il ciel prescritto

Che nascessi così bella,

Se l'amor fosse un delitto?
È l'amore un casto raggio
Che dal grembo il ciel disserra,
E che avviva in suo viaggio
Sole, luna, mare e terra.

Esso mesce negli affetti
La dolcezza più squisita,
Ed asperge di diletti
Le miserie della vita.

Mugge l'aria a suo dispetto,
Il pastor in compagnia
Stringe al sen l'amato oggetto,
E gli affanni e il nembo oblia.
Quando poscia col leone
Febo par che fiamme scocchi,
Il pastor dentro un macchione
Pasce l'anima cogli occhi.

Ma se tutti gli elementi
Poi cospirano in favore,
Oh che amabili momenti!
Oh delizie dell' amore!

Ah! se provi la dolcezza
Di due cori amanti amati,
Piangerai l'insipidezza
De' tuoi tempi già passati :

Ed ogn' erba ed ogni fiore
Che ti parve freddo e muto,
Ti dirà, parlando al core,
Cara Fille, io ti saluto.

Poichè al foco degli affetti
Ogni erbetta ne fa coro,
E un commercio di diletti
S'apre allor fra l'alma e loro.
Cedi, o Fille, o mio conforto :
A tal legge il core avvezza:
E non far così gran torto
All' etade e alla bellezza.

Sappi, o Fille, almen gioire
Dell'istante che t'è dato;
Non è nostro l'avvenire,
E perduto è già il passato.

LA PRIMAVERA.

ODE SICILIANA DEL MELI, IMITATA
IN TOSCANO.

Passò il verno, e già la pura
Aura vien che i fior nutrica:
Dalla grotta alla pianura
Esci e vieni, o Clori amica.

Già m'invita, già mi chiama Primavera in ogni fiore:

Ogni fronda mi dice ama,
L'aria stessa spira amore.

E quai cor fian sordi e lenti
A un diletto così grato,
Quando tutti gli elementi
Sol respirano il suo fiato?
Sente l'alpe inculta e dura
Dell' amor la possa immensa;
Già s'ammanta di verdura,
Ed i pascoli dispensa.

Vola un Zefiro amoroso Entro un nuvolo d'odori, Che soave e grazioso

Ride e scherza in grembo a' fiori.

Di letizia sempre nuova
Manda lampi risplendenti
Il Pianeta che rinnova,
Che abbellisce gli elementi.
Un tal foco delicato
Scorre, e va di cosa in cosa,
Che feconda e tinge il prato
Ed imporpora la rosa.

Al torel già s'accompagna
La giovenca non avvezza;
E risuona la montagna
Di muggiti d'allegrezza.
S'imbarazza la quaglietta
Tra le felci in mezzo al piano :
Corre il can, la leva in fretta,

Poi ci abbaja da lontano.

E mentr'ella in ciel squittisce,
Dispiegando il chiuso ardore,
Già la fulmina e colpisce
Lo spietato cacciatore.
Dolce dolce pigolando

In fra i rami (oh lui beato!)
Colla femmina scherzando
Sta il cardello innamorato.
Ma la tortora infelice
Sfoga sola il tristo affetto,
Quasi esprima: Or chi mi dice
Dov'è andato il mio diletto?
Per amor la pellegrina
Rondinella un sol momento
Non ha posa; or s' avvicina,
Ora fugge come il vento.

Che più? l'aspide s'accende,
E d'amor sente i desiri;
Che il diletto lo sorprende
Fra gli obliqui e torti giri.

E tu sola, o Clori amata,
Per mia barbara sventura,
Sarai sorda ed ostinata
Al parlar della Natura?

Dolce amore, vita mia,

Deh! quel bel ch'è in te un portento, Per te inutile non sia,

E per me non sia tormento!

G. ROSSETTI.

CANTI CIVICI (1).

IL DI 9 DI LUGLIO DEL 1820
IN NAPOLI.

SEI pur bella con gli astri sul crine
Che scintillan quai vivi zaffiri,
È pur dolce quel fiato che spiri,

(1) Alcune di queste poesie quando vennero in luce destarono vampe d'amor di patria nel cuore degli Italiani e fruttarono l'esiglio all'insigne poeta che le scrisse. Ora divenute rare a cagione della prepotenza che le distrusse faranno comparsa di nuove e sveglieranno grate e dolorose rimembranze in coloro che le hanno lette in tempi di belle speranze. (L' Editore. )

Porporina foriera del di. Col sorriso del pago desio

Tu ci annunzi dal balzo vicino Che d'Italia nell'almo giardino Il servaggio per sempre fini. Il rampollo d'Enrico e di Carlo, Ei che ad ambo cotanto somiglia, Oggi estese la propria famiglia, E non servi ma figli bramò; Volontario distese la mano Sul volume de' patti segnati, E'l volume de' patti giurati Della patria sull'ara posò. Una selva di lance si scosse All'invito del bellico squillo, Ed all'ombra del sacro vessillo

Un sol voto discorde non fu;
E fratelli si strinser le mani

Dauno, Irpino, Lucano, Sannita:
Non estinta, ma solo sopita
Era in essi l'antica virtù.
Ma qual suono di trombe festive!

Chi si avanza fra cento coorti?...
Ecco il forte che riede tra i forti,
Che la Patria congiunse col Re.
Oh qual pompa ! le armate falangi
Sembran fiumi che inondan le strade!
Ma su tante migliaia di spade
Una macchia di sangue non v'è!
Lieta scena! chi plaude, chi piange,
Chi diffonde viole e giacinti!
Vincitori confusi coi vinti
Avvicendano il bacio d'amor.
Dalla reggia passando al tugurio
Non più finta la gioia festeggia,
Dal tugurio tornando alla reggia
Quella gioia si rende maggior.
Genitrici de' forti campioni

Convocati dal sacro stendardo,
Che cercate col pavido sguardo?...
Non temete, chè tutti son qui.
Non ritornan da terra nemica,

Istrumenti di regio misfatto,
Ma dal campo del nostro riscatto
Dove il ramo di pace fiorì.
Oh beata fra tante donzelle,

Oh beata la ninfa che vede
Fra que' prodi l'amante che riede
Tutto sparso di nobil sudor!
Il segreto dell' alma pudica

Le si affaccia sul volto rosato,
Ed il premio sinora negato
La bellezza prepara al valor.
Cittadini, posiamo sicuri

Sotto l'ombra de' lauri mietuti,
Ma co' pugni sui brandi temuti
Stiamo in guardia del patrio terren.
Nella pace prepara la guerra

Chi da saggio previene lo stolto:
Ci sorrida la pace sul volto,
Ma ci frema la guerra nel sen.
Che guardate, gelosi stranieri?
Non uscite dai vostri burroni,
Chè la stirpe de' prischi leoni
Più nel sonno languente non è.
Adorate le vostre catene,

Chi v'invidia cotanto tesoro ?

Ma lasciate tranquilli coloro
Che disdegnan sentirsele al piè.
Se verrete, le vostre consorti,
Imprecando i vessilli funesti,
Si preparin le funebri vesti,
Chè speranza per esse non v'ha.
Sazierete la fame de' corvi,
Mercenarie falangi di schiavi :
In chi pugna pe' dritti degli avi
Divien cruda la stessa pietà.

Una spada di libera mano
È saetta di Giove tonante,
Ma nel pugno di servo tremante
Come canna vacilla l'acciar.
Fia trionfo la morte per noi,

Fia ruggito l'estremo sospiro;
Le migliaia di Persia fuggiro,
I trecento di Sparta restar.
E restaron co' brandi ne' pugni

Sopra mucchi di corpi svenati,
E que' pugni, quantunque gelati,
Rassembravan disposti a ferir.
Quello sdegno passava nel figlio

Cui fu culla lo scudo del padre,
Ed al figlio diceva la madre:
Quest'esempio tu devi seguir.

O tutrice de' dritti dell' uomo,
Che sorridi sul giogo spezzato,

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pur giunto quel tempo beato Che un monarca t'innalza l'altar! Tu sul Tebro, fumante di sangue, Passeggiavi qual nembo fremente, Ma serena qual' alba ridente

Sul Sebeto l'assidi a regnar. Una larva col santo tuo nome

Qui sen venne con alta promessa; Noi credendo che fossi tu stessa Adorammo la larva di te; Ma nel mentre fra gl'inni usurpati Sfavillava di lume fallace, Ella sparve qual sogno fugace Le catene lasciandoci al piè. Alla fine tu stessa venisti

Non ombrata da minimo velo,
Ed un raggio disceso dal cielo
Sulla fronte ti veggio brillar.
Coronata di gigli perenni,

Alla terra servendo d'esempio,
Ti scegliesti la reggia per tempio,
Ove il trono ti serve d'altar.

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