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Italia, vedova, abbandonata all'arbitrio dei singoli, senza alcuna legge moderatrice per tutti, quanto sia sconvolta dai venti e battuta dai flutti dir non riuscirebbe a parole, e gl' infelici Italiani appena possono darne la misura col pianto »>.

Dunque far contro l' Impero vuol dire mettersi contro Dio. E voi Fiorentini l'avete osato, primi e soli in Italia, negando la vostra sottomissione con la folle pretesa ch'essa sia prescritta, quasi che il diritto imperiale, ch'è lo stesso diritto pubblico, abbia mai limiti o di spazio o di tempo. E ostinati in questa follia, sfidate l'ira divina. Ma se non temete Dio, temete almeno il principe.

Qui la lettera si fa quanto mai commossa. e commovente, ne' suoi torbidi colori biblici di fame, di rivolta, di distruzione, di morte, d'esilio, senza perder di mira la critica concreta dei vani e folli propositi di resistenza. Forse Dante non ha mai amato tanto la sua città, quanto in questo momento. Non amarono i profeti Gerusalemme quando più, la sgomentarono con le loro paurose visioni? Egli è Farinata che salva la patria non contro l'odio furioso di fuori, ma contro quello cieco di dentro, ch'è impresa anche più ardua. « Stolti, che non comprendete e neanche supponete quanto il cammino della vostra mente insana devii nelle tenebre della notte, per,chi vi guarda con senno maturo e con animo incolpevole. Ché gli uomini saggi e intemerati vi veggono stare sull'orlo del carcere e che pure, s'uno ha com

passione di voi e cerca di liberarvi dalla prigionia, e dai ceppi e le manette che vi stringono, voi lo allontanate perché non vi liberi.... ».

La lettera è del 31 marzo 1311. A quella data i Fiorentini erano riusciti a stringere accordi con le città di Lucca, Siena, Perugia, Bologna e con Roberto re di Napoli. Forse Dante non lo sapeva ancora, altrimenti non avrebbe potuto credere riparabile un atto così decisivo.

III. Ma presto dovette cambiare opinione, perché nella lettera ad Arrigo, ch'è del 16 di aprile, egli passa dalla persuasione allo sdegno, dalla esortazione al ben fare, ai ripari contro il mal fare, sollecitando il principe al castigo.

La pace, retaggio di Cristo, è mancata al mondo a causa degli empi che han potuto distruggerla, nell'assenza di chi doveva tutelarla. Di qui le nostre lunghe lacrime e il vano implorare della giustizia. Le nostre speranze si riaccesero alla tua venuta, quando cantammo con Virgilio i tempi nuovi sorgenti. Ma tu ti indugi o t'arresti, e noi siamo costretti ad esclamare con la voce del Precursore: «Sei tu che devi venire, o è un altro che aspettiamo? » Non già che io e gli altri per cui scrivo abbiamo perduto la fede in te: né lo potrebbe chi ti ha visto benigno e clemente, com'io t'ho visto, e ha baciato i tuoi piedi. Ma rimaniamo sorpresi e perplessi di vederti come inretito nella Lombardia, e trascurare la Toscana, ch'è

il centro della protervà rivolta; quasi tu pensassi che il tuo dominio si ferma ai Liguri e abbandonassi il compito di ristabilire nel mondo. l'autorità dell'impero: nel tuo nome, e pel figliuol tuo Giovanni, che noi crediamo destinato a succederti, quando il tuo astro ora appena sorgente tramonti.

Ma tu passi a Milano l'inverno e la primavera e credi di spegnere l'idra pestifera amputando le singole teste. Non s'estirpa la pianta tagliandone i rami. La mala bestia, la volpaccia che non molestata dai cacciatori schizza il veleno e ammorba il mondo col suo fetore, è Firenze. Questa bisogna colpire per toglierle più oltre il mezzo di nuocere. «Allora il nostro retaggio, che senza posa piangiamo a noi tolto, ci verrà restituito intero; e come ora, memori della sacrosanta Gerusalemme, piangiamo esuli in Babilonia, così allora, restituiti alla città e alla pace, ricorderemo nel giubilo le miserie della confusione ».

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E l'atto solenne, e grave, che suggella la tragedia di Dante. Più che mai d'ora · innanzi egli dovrà vivere peregrino tra gli uomini del tempo suo, cittadino pei secoli nel mondo.

UNIV. OF

VINNOJJITVO

VITA NUOVA

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