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allontanarcene troppo dietro apparenze cui arbitrariamente diamo corpo di realtà, perché mireremo a ricreare in noi il senso stesso dell'autore.

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Questa canzone montanina ', per sé presa, non dà più ragione a chi la giudica scritta per una donna che a chi lo nega, perché è perfettamente indifferente la realtà e la figura. Riflettendo invece ai casi dell'esule poeta, mentre non si nega la possibilità di tali ardori erotici, se ne mette volentieri in dubbio la probabilità e si pensa ad altra passione capace di ugual turbamento alla città natale, sì bella' sì 'ria', ch'è il primo pensiero che ricorra e l'ipotesi che soddisfi meglio. Certamente della casentinese gozzuta della leggenda nessuno vorrà farsi il paladino; e quanto alla lettera a Moroello, che si crede accompagnasse questa canzone, il vero è che basta intenderla.... (ma una volta tanto il lettore sia messo in guardia della mia debole disciplina alle opinioni fatte).

Traduco la lettera : «Perché il mio signore non ignori che il suo servo è preso e che l'amore.. che lo domina è dato invano, e perché gli altrui rapporti, che assai spesso seminano false credenze, non divulghino ch'io mi son lasciato acchiappare perché non mi son saputo guardare, voglio fermare al cospetto della magnificenza vostra la catena del presente oracolo.

Ecco che varcata la soglia della vostra curia, subito poi sospirata, dove, come spesso vedeste con meraviglia, io ero tornato piena

mente padrone di me, appena posi il piede sulle rive d'Arno sicuro e senza cautele, improvvisamente, per la mia iattura, come folgore in cielo, mi apparve una donna non so dir come in tutto conforme nell'abito e nell'aspetto ai miei voti. O come rimasi attonito alla sua apparizione! Ma lo stupore fu vinto dal terrore del tono che seguì. Giacché, come al folgoreggiar diurno seguitano i toni, così, balenata a me quella fiamma, mi prese un amore terribile e imperioso di quella bellezza; e questo amore feroce, come signore cacciato dalla patria che dopo lungo esilio ritorna nel suo paese, tutto quello che nella mia mente era contro di lui o uccise o cacciò o mise in catene. Uccise dunque quel lodevole proposito pel quale avevo abbandonato le donne e i loro canti; e bandì le assidue meditazioni con le quali scrutavo le cose del cielo e della terra, quasi persone sospette; e insomma, perché l'anima non si rivoltasse più contro di lui, legò il mio libero arbitrio, sicché non dove io voglio, ma dove egli vule, m'è d'uopo di volgermi. Regno dunque l'amore in me, senza alcuna forza di oppormi; e come mi goverri, cercatelo qui sotto fuor delle pieghe di questo discorso ».

Questa lettera, così intesa, senza quegli apporti di cui è stata gravata di troppo dotta filologia e di storia e di biografia, che non c'entrano, appare un brano di quel grimoire poetico del tempo, indirizzato a persona ch'era in grado di entrarci dentro, quale appunto

doveva essere il Malaspina, anche pel contatto avuto con l'ospite poeta. E curioso osservare che vi ricorre schietto un modo della Vita Nuova : « quidquid contrarium fuerat intra me, vel occidit vel expulit vel ligavit » ha piena corrispondenza in « Ciò che m'incontra ne la mente, muore, quando io vegno a veder voi.... ». Il tutto crea l'impressione ben definita dell'irreale, del fittizio: Dante non era un fantastico Don Giovanni, o un allocco, per esasperarsi a quel modo di una donna appena vista! Invece par molto naturale che le aure d'Arno gli riaprissero e gl'inasprissero la piaga dell'esilio.

Della canzone « Così nel mio parlar voglio esser aspro» il tema è: pareggiare con la violenza del rimprovero la durezza della donna amata. C'è una doppia esasperazione fantastica: nella rappresentazione della provata crudeltà e in quella della propria impotente rivolta. E una gara paurosa. Un accento di preghiera e di speranza sulla fine non sperde, ma solleva alquanto questo incubo.

E una canzone in cui la mente del lettore oscilla di continuo tra la sorpresa ammirativa della tecnica, dell'arte, e quella della poesia: e basta questo fatto a dar plausibile ragione di disputa sul tempo della composizione, se più giovanile o d'età più matura, e a che specie di passione s'ispiri. Ma, quanto alla tecnica, non mi par fuori di probabilità il sospetto che Dante potesse tentare esperimenti e avvia

menti nuovi (questa volta da Arnaldo Daniello) anche in età alquanto matura; e, quanto all'oggetto proprio della passione, s'anche non fosse quello cui penso io, crederei poco che si trattasse di una donna reale. Certe espressioni più violente, come « perché non latri.... » o «s'io avessi le belle trecce.... » e simili, che altri additano a prova di sensualità (con troppa asseveranza! per vero), paiono a me invece, pel criterio che mi son fatto delle forme espressive di Dante lirico, buon documento che tali inconsuete audacie avessero a essere spiegate e giustificate per figura, perché pensate in figura. Qui non si tratta di dar saggio di spregiudicatezza (non serve), ma di avvicinare la verità! Perciò io francamente propendo a credere che la canzone sia del tempo dell'esilio e in relazione con l'esilio che sarebbe anche questa volta la passione cui meglio si possa, storicamente, far aderire l'esasperazione del poeta, cantata sub specie mulieris.

Tratta espressamente il tèma dell'esilio la canzone << Tre donne intorno al cor mi son venute »; sicché, quanto all'idea centrale, essa non si può chiamare allegorica. E se piaccia di conservare l'appellativo per riguardo alle personificazioni che vi compariscono, sarà bene avvertire che tali figure portano qui le loro brave dichiarazioni, come le solenni tavole dei noştri antichi maestri. Sono la Drittura (la giustizia), la Larghezza (nel concedere), ja Temperanza (nell'usare), che si rifugiano al

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cuore del poeta, dove siede Amore, ch'è il sentimento e la volontà del bene contro il male nel mondo corrotto. Son peregrine e discacciate, perché il posto loro legittimo l' hanno usurpato la Lupa, il Leone, la Lonza, se conviene richiamar qui quella figurazione a questa antitetica. S'annunciano in modo solenne, epico', come piace al Parodi; ed effondono il loro pianto e lo sdegno, insieme con la loro fede, con sublime magnificenza. E tutto, la superba scenografia, come l'appassionato crescendo in cui il dramma s'esalta, tutto è preparato per questo grido d'umarità eroica e straziata, umiliata ed altèra :

E io che ascolto nel parlar divino
consolarsi e dolersi

così alti dispersi,

l'esilio che m'è dato onor mi tegno:

ché se giudizio o forza di destino
vuol pur che il mondo versi

i bianchi fiori in persi,

cader co' buoni è pur di lode degno;

e se non che de gli occhi miei 'l bel segno

per lontananza m'è tolto dal viso

che m' have in foco miso,

lieve mi conterei ciò che m'è grave.
Ma questo foco m' have

già consumato sì l'ossa e la polpa

che morte al petto m' ha posto la chiave:

onde, s' io ebbi colpa,

più lune ha volto il sol poi che fu spenta,
se colpa muore pur che l'uom si penta.

Vibra in questi versi l'intero dramma spirituale e politico del grande ribelle; e per tale umanità svelata i lettori amano sulle altre

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