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SONETTO CIIL.

Pace non trovo, e non ho da far guerra;
E temo, e spero, ed ardo, e son'un ghiaccio;

E volo sopra 'l Cielo, e giaccio in terra;
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E nulla stringo, e tutto 'l mondo abbraccio.

Tal m'ha in prigion, che non m'apre, nè serra;
Ne
per suo mi riten, nè scioglie il laccio ;
E non m'ancide Amor', e non mi sferra;
Nè mi vuol vivo, nè mi trae d'impaccio..

Veggio senz'occhi; e non ho lingua, e grido;
E bramo di perir', e cheggio aita;
Ed ho in odio me stesso, ed amo altrui:

Pascomi di dolor; piangendo rido:
Egualmente mi spiace morte, e vita.
In questo stato son, Donna, per vui.

CANZONË XVIII.

Qual più diversa, e nova

Cosa fu mai in qualché stranio clima;

Quella, se ben si stima,

Più mi rassembra: a tal son giunto, Amore,

Là, onde 'l dì ven fore,

Vola un'augel, che sol senza consorte

Di volontaria morte.

Rinasce, e tutto a viver si rinnova:
Così sol si ritrova

Lo mio voler, e così in su la cima
De' suoi alti pensieri al Sol si volve;"
E così si risolve;

E così torna al suo stato di prima:
Arde, e more, e riprende i nervi suoi;
E vive poi con la Fenice a prova.
Una pietra è si ardita

Là per l'Indico mar; che da natura
Traggé a se il ferro, e il fura

Dal legno in guisa, ch'i navigj affonde:
Questo prov'io fra l'onde

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D'amaro pianto: che quel bello scoglio Ha col suo duro orgoglio

'Condotta, ov' affondar conven mia vita : Così l'alma ha sfornita

Furando 'l cor, che fu già cosa dura:

E me tenne un, ch' or son diviso, e sparso; Un sasso a trar più scarso

Carne, che ferro. O cruda mia ventura!

Che'n carne essendo, veggio trarmi a riva Ad una viva dolce calamita.

Nell'estremo Occidente

Una fera è soave, e queta tanto,

Che nulla più, ma pianto,

E doglia, e morte dentro agli occhi porta:

Molto convene accorta

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Esser qual vista mai ver lei si giri:

Pur che gli occhi non miri,

L'altro puossi veder securamente.

Ma io incauto dolente

Corro sempre

al mio male; e so ben quanto

N'ho sofferto, e n'aspetto: ma l'ingordo. Voler, ch'è cieco, e sordo;

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Si mi trasporta, che 'l bel viso santo,

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E gli occhi vaghi fien cagion, ch'io pera, Di questa fera angelica innocente.

Surge nel Mezzogiorno

Una fontana, e tien nome del Sole

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Bollir le notti, e'n sul giorno esser fredda;
E tanto si raffredda,

Quanto 'l Sol monta, e quanto è più da presso.
Così avven' a me stesso,

Che son fonte di lagrime, e soggiorno:
Quando'l bel lume adorno,

Ch'è'l mio Sol, s'allontana; e triste, e sole
Son le mie luci, e notte oscura è loro;
Ardo allor: ma se l'oro,

E i rai veggio apparir del vivo Sole;
Tutto dentro, e di fuor sento cangiarme,
E ghiaccio farme: così freddo torno.
Un'altra fonte ha Epiro;

Di cui si scrive, ch'essendo fredda ella,
Ogni spenta facella

Accende; e spegne qual trovasse accesa.

L'anima mia, ch'offesa

Ancor non era d'amoroso foco;

Appressandosi un poco

A quella fredda, ch'io sempre sospiro.
Arse tutta; e martiro

Şimil giammai nè Sol vide, nè stella:

Tomo I.

t

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Ch'un cor di marmo a pietà mosso avrebbe.
Poi che'nfiammata l'ebbe,

Rispensela vertù gelata, e bella.

Cosi più volte ha'l cor racceso, e spento: I' 'l so, che 'l sento ; e spesso me n' adiro. Fuor tutt'i nostri lidi

Nell'Isole famose di Fortuna

Due fonti ha: chi dell' una

Bee, muor ridendo; e chi dell'altra, scampa.

Simil fortuna stampa

Mia vita, che morir poria ridendo

Del gran piacer, ch'io prendo,
Se nol temprassen dolorosi stridi.
Amor, ch'ancor mi guidi

Pur'all' ombra di fama occulta, e bruna,
Tacerem questa fonte, ch' ognor piena,

Ma con più larga vena

Veggiam, quando col Tauro il Sol s'aduna:
Così gli occhi miei piangon d'ogni tempo;
Ma più nel tempo, che Madonna vidi.
Chi spiasse, Canzone,

Quel, ch'i' fo; tu puo' dir: Sott' un gran sasso
In una chiusa valle, ond' esce Sorga,
Si sta: nè chi lo scorga,

V'è, se nò Amor, che mai nol lascia un passo;

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