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E l'immagine d' una, che lo strugge:
Che per se fugge tutt' altre persone.

SONETTO CIV.

Fiamma del Ciel sulle tue treccie piova, Malvagia, che dal fiume, e dalle ghiande Per l'altru'impoverir se' ricca, e grande; Poi che di mal oprar tanto ti giova:

Nido di tradimenti, in cui si cova
Quanto mal per lo mondo oggi si spande:
Di vin serva, di letti, e di vivande,
In cui lussuria fa l'ultima prova.

Per le camere tue fanciulle, e vecchi

Vanno trescando, e Belzebub in mezzo Co'mantici, e col foco, e con gli specchi.

Gia non fostu nudrita in piume al rezzo; Ma nuda al vento, e scalza fra gli stecchi: Or vivi sì, ch'a Dio ne venga il lezzo.

SONETTO CV.

L'avara Babilonia ha colmo il sacco D'ira di Dio; e di vizj empj, e rei, Tanto, che scoppia ; ed ha fatti suoi Dei Non Giove, e Palla, ma Venere, e Bacco.

pur

Aspettando ragion mi struggo, e fiacco: Ma nuovo Soldan veggio per lei; Lo qual farà, non già quand' io vorrei, Sol' una sede; e quella fia in Baldacco.

Gl'idoli suoi saranno in terra sparsi,
E le torri superbe al Ciel nemiche,
Ei suoi torrier di fuor, come dentr' arsi.

Anime belle, e di virtute amiche

Terranno 'l mondo, e poi vedrem lui farsi
Aureo tutto, e pien dell'opre

antiche..

PARTE.

SONETTO CVI.

Fontana
ontana di dolore, albergo d'ira,
Scola d'errori, e tempio d' eresia,
Già Roma, or Babilonia falsa, e ria,
Per cui tanto si piagne, e si sospira :

O fucina d'inganni, o prigion dira,
Ove 'l ben more,
e'l mal si nutre, e cria;
Di vivi inferno; un gran miracol fia,
Se Cristo teco al fine non s'adira.

Fondata in casta, ed umil povertate,
Contra i tuoi fondatori alzi le corna,
Putta sfacciata; e dov' hai posto spene?

Negli adulteri tuoi, nelle mal nate

Ricchezze tante? Or Constantin non torna: Ma tolga il mondo tristo, che 'l sostene.

SONETTO CVII.

Quanto

anto più disiose l'ali spando
Verso di voi, o dolce schiera amica;
Tanto Fortuna con più visco intrica
Il mio volare, e gir mi face errando.

Il cor, che mal suo grado attorno mando, È con voi sempre in quella valle aprica, Ove il mar nostro più la terra implica: L'altr' jer da lui partimmi lagrimando.

I'da man manca,
e'tenne il cammin dritto:
I' tratto a forza, ed e' d' Amore scorto:
Egli in Gerusalemme, ed io in Egitto.

Ma sofferenza è nel dolor conforto:
Che per lungo uso già fra noi prescritto
Il nostro esser, insieme è raro,

e corto.

SONETTO CVIII.

Amor, che nel pensier mio vive, e regna,

E'l suo seggio maggior nel mio cor tene;
Talor' armato nella fronte vene:

Ivi si loca; ed ivi pon sua insegna.

Quella, ch'amare, e sofferir ne 'nsegna,
E vuol, che 'l gran desio, l'accesa spene
Ragion, vergogna, e reverenza affrene;
Di nostro ardir fra se stessa si sdegna:

Onde Amor paventoso fugge al core, Lassando ogni sua impresa; e piagne, e trema: Ivi s'asconde, e non appar più fore.

Che poss'io far, temendo il mio Signore,
Se non star seco infin' all' ora estrema?
Che bel fin fa, chi ben' amando more.

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