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SONETTO CLXXI.

Dolci ire, dolci sdegni, e dolci paci;
Dolce mal, dolce affanno, e dolce peso;
Dolce parlar', e dolcemente inteso,

Or di dolce ora, or pien di dolci faci.

che n'ha offeso,

Alma, non ti lagnar; ma soffri, e taci,
E tempra il dolce amaro,
Col dolce onor, che d'amar quella hai preso,
A cu'io dissi: Tu sola mi piaci.

Forse ancor fia, chi sospirando dica
Tinto di dolce invidia: Assai sostenne
Per bellissimo amor quest' al suo tempo:

Altri: O Fortuna a gli occhi miei nemica ! Perchè non la vid'io? Perchè non venne Ella più tardi, ovver'io più per tempo?

Tomo I.

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CANZONE XIX.

S'il dissi mai'; ch'i' venga in odio a quella,

Del cui amor vivo, e senza 'l qual morrei
S'il dissi; ch'i miei di sian pochi, e rei,
E di vil signoria l'anima ancella:

S'il dissi; contra me s'arme ogni stella,
E dal mio lato sia
Paura, e gelosia,
E la nemica mia

Più feroce ver me sempre, e più bella. S'il dissi; Amor l'aurate sue quadrella Spenda in me tutte, e l'impiombate in lei: S'il dissi: cielo, e terra, uomini, e Dei Mi sian contrarj, ed essa ognor più fella: S'il dissi; chi con sua cieca facella Dritto a morte m'invia,

Pur, come suol, si stia;

Nè mai più dolce, o pia

Ver me si mostri in atto, od in favella. S'il dissi mai; di quel, ch'i'men vorrei, Piena trovi quest'aspra, e breve via:

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S'il dissi; il fero ardor, che mi disvia,
Cresca in me, quanto il fier ghiaccio in costei.
S'il dissi, unqua non veggian gli occhi miei
Sol chiaro, o sua sorella,

Nè donna, nè donzella,
Ma terribil procella,

Qual Faraone in perseguir gli Ebrei.
S'il dissi; co i sospir, quant'io mai fei,
Sia pietà per me morta, e cortesia:
S'il dissi; il dir s'innaspri, che s'udia
Si dolce allor, che vinto mi rendei:
S'il dissi; io spiaccia, a quella, ch'i' torrei
Sol chiuso in fosca cella,
Dal di, che la mammella
Lasciai, fin che si svella

Da me l'alma, adorar: forse 'l farei.
Ma s'io nol dissi; chi sì dolce apria
Mio cor'a speme nell'età novella,
Regga ancor questa stanca navicella,
Col governo di sua pietà natìa;
Nè diventi altra; ma pur qual solia,
Quando più non potei,

Che me stesso perdei,
Nè più perder devrei.

Mal fa, chi tanta fè si tosto oblia.

Io nol dissi giammai, nè dir poria
Per oro, o per cittadi, o per castella:
Vinca 'l ver dunque, e si rimanga in sella;
E vinta a terra caggia la bugia.

Tu sai in me il tutto, Amor: s'ella ne spia,
Dinne quel, che dir dei:

I' beato direi

Tre volte, e quattro, e sei,

Chi, devendo languir, si morì pria, Per Rachel ho servito, e non per Lia: Nè con altra saprei

Viver': e sosterrei,

Quando 'l ciel ne rappella,

Girmen con ella in sul carro d'Elia.

CANZONE XX.

Ben mi credea passar mio tempo omai,
Come passato avea quest'anni addietro,
Senz'altro studio, e senza novi ingegni:
Or, poi che da Madonna i̇'non impetro
L'usata aita; a che condotto m'hai,
Tu 'l vedi, Amor, che tal' arte m'insegni:
Non so, s'i' me ne sdegni;

Che 'n questa età mi fai divenir ladro
Del bel lume leggiadro,

Senza 'l qual non vivrei in tanti affanni.
Così avess' io i prim'anni

Preso lo stil, ch' or prender mi bisogna:
Che'n giovenil fallire è men vergogna.
Gli occhi soavi, ond'io soglio aver vita,
Delle divine lor' alte bellezze

Furmi in sul cominciar tanto cortesi;
Che'n guisa d'uom, cui non proprie ricchez-
Ma celato di for soccorso aita,

Vissimi: che nè lor, nè altri offesi.
Or, bench'a me ne pesi;

(ze,

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