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ghetto, incoraggiava il nostro Magino col concedergli la licenza di dimorare colla sua famiglia per quindici anni fuori di quel quartiere. Del resto, quanto alla sua intrapresa della seta, mi affretto a conchiudere, che non ebbe buona riuscita. Magino, per mostrar la propria riconoscenza verso Sisto V, mise a parte della metà dell'utile netto donna Camilla Peretti, con una formale donazione inter vivos rogata dal notaio Cavallucci, ai 10 di luglio 1587. In essa è da notarsi la patetica espressione dell'ebreo nell'indicare la causa della donazione: ob amorem et dilectionem quibus ipse Maginus hebreus prosequitur eamdem illmam dominam Camillam 1. Tuttavia non solamente mancano ulteriori indizî che accennino a qualche risultato di cotesta fabrica, ma si trova qualche documento che attesta il contrario, l'aver cioè d." Camilla dato in affitto al napolitano G. Battista Corcione le dieciotto botteghe di sua proprietà prossime al palazzo, affinchè questi vi esercitasse l'arte della seta che intendeva introdurre in Roma. Ciò accadeva nel 1589, due soli anni dopo le rodomontate del Magino, che sparisce nell'oscurità. Resta dunque il Corcione come secondo impresario del nuovo setificio romano. Non può negarsi peraltro che a prima vista generi confusione la presenza di due concessionarii pieni tutti e due di privilegî per la stessa speculazione; l'uno il Corcione, l'altro il bicipite intraprendente, o società Chiavari-Fabri; tutti e due nello stesso anno 1589. Mi aiuterò colle date per poter conciliare la difficoltà, cioè la confusione che nasce dai due contratti. Quello di d. Camilla col Corcione porta la data del 7 novembre; questo chirografo, in favore della nominata società, la data del 25 gennaio Il tenore del chirografo esclude la concorrenza di altri fabricatori di seta in Roma, dicendovisi chiaramente che per 20 anni niun altro possa non solo in Roma, ma in altra città dello Stato, eccettuate Bologna e Perugia, lavorare la seta. L'eccezione di queste città si spiega colla nota priorità delle medesime nell'industria in discorso. Del resto, come mai poteva d." Camilla stipolare un atto 1 MASSIMO, loc. cit.

di quel genere con un introduttore dell'arte serica in Roma, se la espressa dichiarazione, contenuta nel chirografo, avesse avuto effetto? Ora la differenza della data mi fa supporre che quando il Corcione si presentò, la società Chiavari-Fabri fosse già caduta dai suoi diritti perchè non avesse adempiuto le incombenze alle quali s'era obligata, ovvero per qualsiasi altro motivo. Infatti alcuni degli oblighi assunti dai socî doveano essere eseguiti in tempo abbastanza ristretto, come per esempio quello del prendere stanze accomodate nella città di Roma con gli apparati et provisioni necessarie notisi bene, due mesi dopo la consegna dei 50,000 scudi1; e l'altro d'impiantare entro tre mesi trenta telai, che lavorino varie sorte di drappi di seta. Se alcuna pertanto di queste condizioni non fu soddisfatta, l' industria della ditta fu, non che sospesa, intieramente distrutta. Ciò arguisco non solo dai termini della concessione, ma eziandio dalla durata di 10 anni assegnata al fitto delle case Peretti nell'istromento di d.a Camilla. Se l'opera della ripetuta ditta avesse avuto effetto, ce ne sarebbe al certo rimasto qualche ricordo non insignificante. La mancanza di notizie sopra uno stabilimento di gigantesche proporzioni, è un argomento grave per confermare la mia ipotesi. Anche l'altro del Corcione non fu più fortunato in fatto d'esistenza, quantunque per causa che non poteasi prevedere. Roma fu invasa dalla pestilenza, nell'anno 1591; ed il contagio si diffuse rapidamente fra i setaiuoli del Corcione, siccome apparisce dalla vita di S. Camillo, nella quale si legge: “Morendosi particolarmente la maggior parte di quei tessitori di ,, velluto che la sa. me. di Sisto aveva fatti venire in Roma per , introdurvi l'arte della seta, avendo assegnata loro tutta quella

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parte d'habitatione attaccata alla sua vigna e prossima alla

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chiesa di S. Maria degli Angeli alle Therme 3., Era dunque una

1 Cf. il documento, foglio 3-3', no 15.

2 Ivin° 20.

3 Vita del p. Camillo de Lellis. Roma 1625, p. 85. Anche un'altra vita di santo fa menzione di quella pestilenza, ed è la vita di s. Luigi Gonzaga, che contrasse nell'assistere i contagiosi il germe della sua ultima malattia (CEPARI, V. di S. Luigi G. 3. ed. p. 186).

vera fatalità che pesava sul setificio romano, la quale mandava a vuoto in meno di due anni gli sforzi di eccellenti artisti e le munifiche intenzioni del papa. Tutto peraltro ci induce ad affermare, che ove siffatti disastri avessero colpito il setificio romano, sotto il regno di Sisto V, non sarebbe venuto meno alla sua mente, assai superiore ad ostacoli materiali, un modo sicuro per farlo rifiorire.

Ora non mi resta che osservare qualche particolarità del documento, della quale non è caduta finora in acconcio la menzione. Il prestito gratuito dei 50,000 scudi per anni dodici, fu promesso dal papa in modo che ne toccasse la metà per uno. Inoltre v'è da notare la risolvibilità della società per mezzo della concorrenza proposta dal chirografo stesso. Imperocchè quello dei due socî, che avesse nel termine di un anno corrisposto meglio alle prescrizioni dello Stato, sarebbe rimasto solo possessore della privativa; la qual cosa equivaleva ad uno scioglimento della società. Non debbono trascurarsi altre condizioni, che rivelano le teorie economiche di quel tempo e le intenzioni speciali di Sisto V. La media del prodotto annuo dei 150 telaî doveva essere formata da 500 pezze di drappi diversi'. Entro un anno doveano i fondatori del setificio introdurre in Roma le maestre che insegnassero quell' arte alle monache. Secondo le idee di Sisto, i monisteri dovevano col tempo fornire un nucleo forte di operaî della seta, dei quali scarseggiava Roma per la pochezza della sua popolazione. Lo attirare al contrario un gran numero di lavoranti dagli altri Stati non sarebbe a que' tempi sembrata cosa lodevole; quindi si ricorreva volentieri a questo espediente, tanto più che l'operaio rappresentato dalle monache di Roma veniva a costar quasi nulla allo Stato, ricevendo l'alimento dal monistero, cioè da un patrimonio privato. Tuttavia Sisto prevedeva che dovessero passare circa 20 anni prima che la istruzione delle monache avesse prodotto un risultato, pel

1 V. documento, foglio 3', n° 25.

* Ivin 30.

quale la città di Roma bastasse a se medesima nell'industria della seta. E quindi riconosceva la necessità di concedere qualsiasi facilitazione a lavoranti forestieri, affinchè si recassero in Roma ad apprestarvi l'opera loro. Tra queste facilitazioni è rilevante quella del salvocondotto e privilegio di liberazione da ogni molestia per cose civili agli operaî d'altro paese 1. Si noti ancora come Sisto V limitasse siffatta concessione alle cose civili, siccome colui che sulle colpe criminali non ammetteva in genere favorevoli eccezioni; e come gelosamente vigilava sull'ordine publico nel suo Stato, non vi avrebbe mai introdotto uomini perniciosi; nè avrebbe mai favorito l'impunità dei facinorosi a danno degli altri Stati. Finalmente mi sembra degna di riguardo, sotto il punto di vista economico, la concessione della libera esportazione delle sete lavorate, colla esenzione dalle gabelle agl'impresarî, eccetto un tenuissimo dazio per la introduzione delle sete semplici; il qual peso sarebbe poi scomparso progressivamente in ragione dell'incremento che si sperava nella coltura dei bachi 2. Questa disposizione, che ridotta ai più semplici termini significa libera o quasi libera introduzione della materia prima, e libera esportazione della materia lavorata, ci somministra una evidente prova che Sisto V in fatto di economia fu precursore di Gian Battista Colbert, poichè nutriva le stesse idee, che questi propugnò più tardi, le quali, per quanto dalle cognizioni e dalla sperienza moderna combattute, meritarono un grado importante nella storia della publica economia.

1 V. f. 5, n° 20.

2 V. f. 4', n° 5.

G. TOMASSETTI.

LA CHIESA DI S. TOMASO A' CENCI

L'arciconfraternita di s. Maria del Pianto ha fatto ristaurare la chiesa di s. Tomaso a' Cenci; e l'ha restituita, nel corrente anno, al publico culto. In occasione dei lavori di ristauro in essa eseguiti, sono ritornate in buona condizione due lapidi, che si riferiscono alla storia della chiesa; le quali nello scorso secolo erano state ricoperte di color bianco. Si veggono al presente murate nella parete a sinistra di chi entra per la porta minore. Quella che sta più in alto si legge come appresso:

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ANNO DNI MILLESIMO CENTESIMO XHII IN
DIC VII HOC ALTARE RENOVATVM.EST PER
MANVS PETRI ARCHIPRESBITERI · ATQ
VE DICATVM PER MANVS CENCII · SABI
NENSIS · EPI · IN · FESTIVITATE · SCI · THO
ME APLI ET IN HOC MAGNO ALTARE SVNT
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SCE MARIE PINGVEDO SCI LAVRENTII
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NELII PP STEPHANI PP FELICIS. PP. FEL

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ICIS EPI GORDIANI EPI MAMILIANI · EPI

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