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et Neapolitanorum fuit quum magna pars in iis civitatibus foederis sui LIBERTATEM civitati anteferret1. E lo stesso Mommsen accortamente nota che forse i Napoletani non volean perdere la loro greca costituzione.

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40. Posta dunque per parte delle città italiche l'accettazione dello ius civile romano, le XII tavole in prima linea dovettero divenire il codice di tutta l'Italia. In queste stavano i principali tratti della costituzione romana, ben inteso come organizzazione comunale, non come legge costituzionale di un gran regno di cui i Decemviri non avevano neppure l'idea. E ciò si prova non solo da Livio che chiama le XII tavole " fons omnis PUBLICI privatique iuris "; ma ancor meglio da Dionigi che parlando dei membri del secondo. decemvirato scrive: Ὡς δὲ καὶ ὁ τῶν ἀρχαιρεσιῶν ἐπέστη χρόνος, πολλὰ χαίρειν φράσαντες τοῖς τε πατρίοις ἐθισμοῖς, καὶ ΤΟΙΣ ΝΕΟΣΤΙ ΣΥΓΓΡΑΦΕΙΣΙ ΝΟΜΟΙΣ, οὔτε βουλῆς ψήφισμα ποιησάσης, οὔτε δήμου, διέμειναν ἐπὶ τῆς αὐτῆς ¿py. Dunque era scritto nelle dodici tavole che il magistrato ἀρχῆς in carica dovesse tenere al finir dell'anno i comizi consolari. E se vi era scritto questo, vi dovevano essere pur quelle disposizioni che ne sono il necessario presupposto. E così spiegasi perchè Cicerone nei libri delle leggi dopo avere esposto il progetto del suo nuovo codice parodiando lo stile delle XII tavole, progetto nel quale parlava delle magistrature e loro attribuzioni, aggiunge: Quae res cum sapientissime moderatissimeque constituta esset a maioribus nostris, nihil habui sane, non modo multum, quod putarem norandum in legibus,. Se pertanto si ammette che dai popoli fundi facti e così accolti nella cittadinanza romana fu adottata anche questa parte dello ius civile romano, cioè le XII tavole e le leggi che le avean modificate (chè pei Romani era tutto gius civile, sì pubblico che privato), e questo giure fu applicato

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per quanto portavano le condizioni de' luoghi e dei tempi, osservando i temperamenti indotti ne' Comuni organizzati pei primi con leggi speciali, a niuno recherà sorpresa nè l'uniformità di ordinamento politico amministrativo dei Comuni italici, nè la somiglianza di esso con quello di Roma.

41. Io non mi lusingo che tutte le mie vedute incontreranno l'approvazione e il suffragio di tutti; ma avendo dovuto ragionare di un documento non ancora da altri dichiarato, nulla ho voluto tacere di quanto erami venuto a mente in proposito, affinchè altri di maggiori lumi fornito scelga, corregga ed aggiunga quello che conviene; il che d'ordinario tanto meglio può farsi quanto è più copiosa la materia adunata da coloro che prima occuparono il campo dinanzi ignoto ed intatto.

I. ALIBRANDI.

ESPOSIZIONE DELLA REGOLA DI DRITTO ROMANO

NEMO PRO PARTE TESTATUS

PRO PARTE INTESTATUS DECEDERE POTEST

(Continuazione e fine: vedi anno I, pag. 147)

Dicemmo, che all'epoca classica solo nel testamento militare si trova, quanto all'istituzione dell'erede, fatta eccezione diretta alla regola nemo potest decedere ex parte testatus ex parte intestatus. Ha ragione Huschke loc. cit. quando nega, che a questa eccezione si abbia ad aggiungere un' altra relativa al testamento che sulla sola metà del loro peculio possono fare i servi populi romani1, Ulp. XX. 16. In verità il testamento è di tutto un patrimonio: solo che nel punto di farlo, il patrimonio vien ridotto alla metà di quello che fu per lo innanzi, ed il resto è attribuito allo Stato. Esempi nelle 1. 6. § 6. de injusto rupto, l. 13. C. de test. milit., Collat. leg. Mosaic. et Roman. tit. 5. c. 2. § 2.

Una seconda eccezione alla regola nostra si presenta in tempo di decadenza, introdotta da Giustiniano nella Nov. 1. c. 1. § 1. Vedemmo, che per dritto delle pandette quando più eredi aveano adito le loro parti di eredità, ed uno in seguito venisse a perdere la porzione propria, all'altro era data elezione o di tutto prendere o di tutto abbandonare; precisamente in osservanza della regola che la causa non potesse ridursi a testata in parte ed in parte intestata. Ma in d. Nov. 1. c. 1. § 1. si stabilisce per converso, che se ad uno degli eredi, che avessero adito, dovesse

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1 Alcuni manoscritti de' frammenti d' Ulpiano hanno praetoris 0 praetoriani, Sagacemente osservarono Cuiacio e Schultingio essere equivoco, cagionato dalle due note p. r., adoperate in antico manoscritto, e male interpretate dall'amanuense.

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che non è cóllato, tella gede della 176. Realin er papilio salst.. acore Papiniano. In borza lella Merta, the dal suo privilegio deriva, pro il soldato nel testamento sostituire al proprio filio, istituito erede, pel caso che il medesimo sarà infatti ere le, anche oltre Tea pupillare di esso. Il soldato sostitui al frio, che la-ciava impabere, nel modo seguente: Si filius Pores erit, et i fer gelton et vicximum aunty actotis sine Pieris rita decesserit. Gojis heres esto. Dice Papiniano, che se il figlio morra prima di aver compito gli anni quattordici, Gajo prenderà, secondo il dritto comune, tutti i beni appartenenti al figlio medesimo. Che se detto figlio morrà pubere e minore, Gajo avrà bensì. pel privilegio del soldato, i beni provenuti dal padre ed i frutti de' medesimi, ma non gli altri beni del tutto propri del figlio me lesimo. Poichè il privilegio del militare non può essere prodotto tant'oltre da imporre un erede testamentario nel proprio avere al figlio, il quale può farsi testamento da se stesso o preferire gli eredi legittimi morendo senza testamentarie disposizioni. Pertanto, se il figlio muoia nella fattispecie senza testamento da se scritto, avrà due eredi di diversa causa; uno quanto ai beni paterni e relativi frutti secondo le testamentarie disposizioni del padre soldato, e l'altro quanto ai beni propri secondo le leggi sulle eredità ab intestato.

Per l'importanza necessaria di massime di ragione, e delle sanzioni del divo Pio sulle adrogazioni degl' impuberi, rinveniamo un'altra eccezione alla regola nel caso seguente. L'adrogatore d'un

pupillo lo istituì erede, e gli fece sostituzione pupillare nel suo testamento. L'erede scritto al medesimo non avrà che i beni pervenuti al defonto pupillo dal suo adrogatore; e dopo dispute fra giureconsulti fu ricevuto ancora, che egli avrà pure la quarta D. Pü e i beni che esso defonto ebbe da altre persone, ma che non avrebbe avuto senza l'occasione dell' adrogazione. Non prenderà gli altri beni tutti del pupillo morto; anzi neppur quelli che esso pupillo aveva al vivente adrogatore acquistati: mentre questi formano l'obietto della cauzione data dall' adrogatore, se restituturum ea, quae ex bonis ejus consequutus fuerit, illis ad quos res perventura esset, si adrogatus permansisset in suo statu. Tutto ciò è riferito da Ulpiano l. 22. § 1. de adopt. et emancip., l. 10. § 6. de vulg. et pupill. substit. Pertanto nel detto caso di morte del pupillo succederanno insieme l'erede testamentario per i beni pervenuti dall'adrogatore, per la quarta, e per le altre cose acquistate sull'occasione dell' adrogazione; e l'erede ab intestato per tutto il resto.

A questo articolo delle regole prevalenti appartiene ciò, che spesso si verifica nella querela d'inofficioso testamento, che risulti erede scritto ed erede intestato su parti diverse dell'eredità '. Questi eventi possono ridursi a due capi. Primieramente accade

1 A cotesto risultato non fa ostacolo l'altra riflessione, che il testamento inofficioso si creda fatto da uomo di mente non sana, l. 2, l. 5. § 2. de inoff. test. Questo non è che colore di ragione come lo chiama Marciano; altrimenti non rescindibile, ma nullo sarebbe il testamento. Colore adoperato per dare qualità giuridica a quella considerazione di convenienza, che fu fondamento all'introdotta querela. Questa ragione di convenienza consisteva in ciò, che fosse inconsentaneo il permettere ai testatori di trascurare liberamente persone, che per la loro intima unione coi medesimi avrebbero una prossima chiamata dalle leggi ab intestato, cf. 1. 6. pr. de inoff. testam., l. 15. pr. cod. tit. junct. l. 7. § 1. si tab. test. null. Per rendere giuridica questa ragione, la giurisprudenza cominciò a riflettere che il testatore il quale tali persone ingiustamente trascurasse quasi che fossero indegne e male merenti, recava alle medesime un' ingiuria, 1. 2. de inoff. test. Ma siccome da ciò non sarebbe giuridicamente potuto derivare che un dritto personale ad emenda, e non già quello di rescindere il testamento, fa a quell'ingiuria dato il colore suc cennato; quasi che fosse ingiuria da pazzo il trattare come indegno un prossimo innocente. Pertanto la riflessione sulla pazzia è soltanto un colore attribuito alla ingiuria per arrivare a poter introdurre la querela d'inofficioso, e non altro.

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