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libro XV (II de iudiciis) parlava ancor di questa, non che della possessoria hereditatis petitio. Della fideicommissaria hereditatis petitio, stando alle iscrizioni delle pandette fiorentine e della volgata, Ulpiano scrisse nel libro XVI. Ma, secondo quello che si disse di sopra, il posto acconcio per ispiegar l'azione concessa ai manumissori dei deditizî sarebbe stato precisamente dopo essersi parlato della possessoria hereditatis petitio; dunque con questi frammenti poteasi comodamente chiudere il libro XV di Ulpiano ad Edictum, ossia il secondo de iudiciis. Ed invero, se in questo libro XV Ulpiano era indotto a parlare dei deditizî, potrebbe capirsi come vi stesse il passo riferito nella L. 24 ff. de iniuriis (XLVII, 10) di cui nè il De Weyhe nè il Rudorff seppero render ragione nella ricostruzione dell'Editto. Che male aveano fatto quei fra i deditizî cui il padrone avea venduto ad un lanista, a un impresario di spettacoli? Il padrone, par che dica Ulpiano, potea venderli a chi gli pareva e piaceva: Si quis proprium servum distrahere prohibetur a quolibet, iniuriarum experiri potest,. Che ha a far questo colla civilis o possessoria hereditatis petitio? Dio solo poi sa se invece del distrahere vi fosse altro verbo che forse mutarono i compilatori.

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Questo ragionamento sull'ordine delle materie trattate nel libro II de iudiciis non potrebbe valere pei libri di Paolo. Sembra che esso nel libro XV ad Edictum cominciasse a scrivere de iudiciis, ma in genere, e che prima di spiegare le petizioni di eredità (di cui si occupò nel libro XX) vi premettesse, forse perchè lo credeva più logico, il trattato de interrogatoriis actionibus colle spiegazioni di altri capi edittali che erano in fine della parte seconda. In tal modo, per quanto può giudicarsi dai frammenti che rimangono nel Digesto, Paolo avendo cominciato a parlare nel libro XVI (che sarebbe stato il secondo de iudiciis) delle azioni interrogatorie, seguiva a svolgere lo stesso tema nel libro XVII (v. Rudorff Edict. perpet. § 80). Come dunque nel fine del libro XVI in mezzo alla materia delle azioni interrogatorie poteva entrare il discorso de bonis latinorum et eorum qui dediticiorum numero sunt?

Quanto ai libri di Gajo ad Edictum, è da rammentare che prendevano nome dai titoli e non dalle parti dell'Editto; per esempio, Lib. ad edictum Praetoris urbani tit. de damno infecto; tit. aquae pluviae arcendae; tit. de operis novi nunciatione; tit. de publicanis etc.

Pomponio avea scritto certamente più di 83 libri ad Edictum, come apprendiamo da Ulpiano (L. 1 §§ 14, 27 ff. siquid in fraudem patroni XXXVIII, 5; e L. 1 §§ 9, 11 ff. de collat. XXXVII, 6); ma non essendovi alcun estratto nel Digesto, è segno che non erano in quella immensa quantità di volumi (quasi 2000) che aveva adunato Triboniano (v. L. 2 C. § 1 de vet. iure enucl. I, 17). E saremmo noi sì felici di possedere un frammento di quei libri de' quali Triboniano non potè aver copia? Non lo credo. So bene che non da tutti gli antichi libri passati in rivista furono estratti frammenti per arricchir le pandette, giacchè i compilatori "nihil vel utile vel novum in eis invenientes..... optimo iure (ea volumina) respuerunt, (Leg. cit. 17); ma ciò non potea dirsi di Pomponio tanto apprezzato nelle altre opere dai compositori del Digesto, lodato da Giuliano e da Gajo, ed allegato da Ulpiano come illustre commentatore dell'Editto. Quindi, secondo le notizie che abbiamo, a me sembra che le maggiori probabilità stiano per aggiudicare i nostri frammenti ad Ulpiano.

Si lagnerà forse alcuno de' lettori, che in tutto questo articolo io abbia dato troppo largo campo a semplici congetture. Ma chi non sa che in molti rami dello scibile umano, nei punti ove non può conseguirsi certezza, convien tenersi paghi a probabilità? Io poi, se rinunziava a quelle congetture, non vedeva che due partiti da prendere o gittar via il codice dicendo che nulla se ne capisce eccetto un membro di periodo, o recar qualche cosa di più solido e concludente. Il primo era più spedito, ma poco mi lusingava; il secondo inaccettabile, non sapendo io produrre spiegazioni più accertate. Dichiaro però che son pronto a smettere le mie opinioni tostochè altri illustrerà, come io bramo, l'oscuro testo con osservazioni poggiate sopra fondamenti più saldi.

I. ALIBRANDI.

GLI STATUTI DEL COMUNE DI ANTICOLI IN CAMPAGNA

CON UN ATTO INEDITO DI STEFANO PORCARI

Recatomi nello scorso anno ad Anticoli di Campagna, per giovarmi delle notissime acque salutari del fonte di Fiugi, ne visitai l'archivio comunale; e vi trovai pochissime antiche carte, niuna anteriore alla metà del secolo XV. Una bolla di Martino V, confermante privilegi concessi a quel castello dal papa Gregorio XI, ci insegna che i documenti del suo archivio erano stati distrutti dal fuoco'. Conserva però il comune i vecchi statuti in due esemplari, che meritano d'essere descritti. E stimo opportuno chiamare sulla loro contenenza l'attenzione degli studiosi di questa classe di documenti, non essendone fino ad ora stata divulgata alcuna notizia e l'anno di loro compilazione e promulgazione essendo anteriore all' età del massimo numero dei simili statuti delle terre di nostra provincia. Ma ciò che più mi alletta a dare breve contezza dei due codici è il nuovo documento, che ci offrono, circa la persona di Stefano Porcari romano e la storia delle sue relazioni con Niccolò V prima della celebre congiura, che tristamente ne chiuse la vita.

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I.

Il più antico dei due codici è membranaceo in quarto piccolo di mano degli inizii in circa del secolo XVI: manca dei primi nove fogli; il decimo comincia dalla R(ubrica) I del libro secondo, de officio custodum. A carte 51 si legge: Confirmatio praesentium staJoannes de pierdebonis de monte poliçano utriusque iuris

tutorum

1 Theiner, Cod. diplom. dom. temp. s. Sedis T. III p. 271 n. 203.

2 V. L. Manzoni, Bibliografia degli statuti dei municipii italiani, Bologna 1876.

doctor provinciarum Campaniae et marittimae pro sancta Romana ecclesia Judex et Vicarius generalis ac locum tenens etc. (sic) risis cognitis et inspectis statutis praedictis... (segue la formola della confermazione) sub anno domini millesimo CCCC pontificatus praedictis in Xpo pris et dni nri dni Joannis divina providentia pp. XXIII anno eius pindictione tertia mensis Augusti die penultimo. L'indizione terza e e l'anno primo del pontificato di Giovanni XXIII chiamano il 1410; l'ommissione del X nelle cifre della data è indizio, che l'antico esemplare degli statuti era malconcio, quando ne fu ordinata la copia in pergamena circa un secolo dopo la loro promulgazione. A carte 51 e 52 dalla medesima mano è registrata l'aggiunta di tre nuovi statuti o capitoli con la confermazione dell'a. 1454: Supradicta tria statuta in omni eorum parte acceptamus et confirmamus nos Stephanus de Nardinis Protonotarius et Gubernator apostolicus etc. Cotesto atto ci rivela uno dei passi nel corso degli onori e delle dignità ecclesiastiche di Stefano de Nardinis, che fu poi cardinale e benemerito arcivescovo di Milano. Alla predetta confermazione fa seguito un' altra, che è documento notabilissimo, e dice: Stephanus Portius eques Romanus provinciarum Campaniae et maritimae rector et gubernator, cum fuerint coram nobis praesentati (sic) per notarium Silvestrum de Anticulo Ambassatorem Communis Castri Anticuli addiciones statutorum praedictorum et suprascriptorum positae et allatae in fine aliorum generalium statutorum dicti communis continentes in summa etc.: e dopo otto linee il testo è interrotto, le ultime pagine del codice essendo perite. La mutilazione cade propriamente nel luogo, che più avrei desiderato trovare intero: imperocchè Stephanus Portius eques romanus è senza dubbio il celebre Porcari dannato a morte nel 1453: la sua confermazione dei tre statuti fu necessariamente anteriore a quella del 1454. Egli voleva essere chiamato Portius, perchè disdegnando il vero nome di sua famiglia de Porcariis, affettava quello dei Porcii Catoni.

La perdita del principio e del fine del codice sopra descritto è compensata e supplita dal secondo più recente esemplare dei

medesimi statuti, che m'accingo a descrivere. È cartaceo in ottavo piccolo, carte 206, di mano del secolo XVII o della fine. del XVI. Confrontatolo coll' esemplare più antico in pergamena, l'ho riconosciuto copia scorretta di quello, quando era intero. Al primo libro però degli statuti è premesso il titolo: Incipit liber primus statutorum terrae Anticoli in Campanea apud Hernicos. Segue una Tabula mercedis confermata da Felice Colonna Orsini in Marino a 20 di Agosto 1564; cioè dalla moglie del famoso Marc'Antonio Colonna, il vincitore di Lepanto. Anticoli era stato concesso in feudo ai Colonna dal papa Leone X '. Se la Tabula mercedis del 1564 fu copiata, come il rimanente, dal codice in pergamena, dee essere stata quivi aggiunta da mano posteriore alla primitiva, che scrisse gli statuti; la quale è senza fallo degli inizii, non della fine, del secolo XVI.

Il libro primo degli statuti, perduto nell' esemplare più antico, comincia da una reformatio super electione officialium confermata da Pietro Comis di Bologna commissario in castro praedicto, postovi da Ascanio Maria Sforza Visconti cardinale e vicecancelliere della S. R. Chiesa domino et perpetuus (sic) commendatario castri Anticoli. L'atto manca di data; ma dee essere anteriore all'anno 1500, nel quale Alessandro VI, tolto Anticoli al cardinale Sforza, lo incorporò ai feudi assegnati al fanciullo Giovanni Borgia, duca di Nepi. In fatti all'approvazione dello Sforza è soggiunta immediatamente quella del tutore di Giovanni duca di Nepi: Nos Franciscus tt. S. Caeciliae Presbiter Cardinalis Cuscntinus ac Ill. D. Joannis Ducis Nipesinas (sic) Tutor etc. Il cardinale Francesco del titolo di s. Cecilia, appellato Cusentino, era anch'egli dei Borgia: e l'atto fu da lui sottoscritto Romae in Palatio apostolico die 26 Junii M.CCCCCIII.

Il libro primo comincia dalla rubrica intitolata De Juramento Vicarii; la quale però contiene altre ordinazioni e riforme senza

De Magistris, Istoria di Anagni p. 118.

V. Ratti, Della famiglia Sforza, T. I p. 382.

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