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XVIII

Con ciò sia cosa che per la vista mia' molte persone avessero compreso lo segreto del mio cuore, certe donne, le quali raunate s'erano, dilettandosi l'una ne la compagnia de l'altra, sapeano bene lo mio cuore', però che ciascuna di loro era stata a molte mie sconfitte. Ed io passando appresso di loro, sí come da la fortuna menato, fui chiamato da una di queste gentili donne; e quella, che m'avea chiamato, era di molto gentile parlare e leggiadro. Sí che quand'io fu' giunto dinanzi da loro, e vidi bene che la mia gentilissima donna non era con esse, rassicurandomi le salutai, e domandai che piacesse loro. Le donne eran molte, tra le quali n' avea certe che si rideano tra loro'. Altre v'erano, che mi guardavano aspettando che io dovessi dire. Altre v'erano simigliantemente che parlavano tra loro, de le quali una' volgendo li suoi occhi verso me, e chiamandomi per nome, disse queste

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XVIII. 1. per la vista mia, per il mio aspetto, per ciò che argomentavano dall'aspetto che assumevo innanzi a Beatrice.

2. lo segreto del mio cuore, il mio amore per Beatrice. Ognuno sente quanto è affettuosa quest'espressione: cfr. la n. 1, 6.

3. sapeano bene lo mio cuore, conoscevano bene la sensibilità e le commozioni del mio cuore.

4. a molte, per es. a quella narrata nel § XIV.

5. sconfitte, indica cosi il suo venir meno per la forza d'amore. Per analoga metafora ha usato già le voci battaglia e combattere; cfr. XIII, 3; XIV, 1; XVI, 7.

6. come da la fortuna menato, « non già in compagnia di un amico, come l'altra volta, o per mia volontà, ma a caso, senza che io avessi cercato quella radunanza » (Casini).

7. certe che si rideano tra loro, cfr. XIV, 33.

8. simigliantemente, parimenti.

9. una: Il D'ANCONA, nella Rass. bibl., 1899, p. 107, contrastando l'opnione del Rocca che la Matelda del Paradiso Terrestre sia la gran Contessa di Toscana, ripete che l'identificazione di quella rimane sempre oscura, ma tuttavia si sentirebbe inchinato alla ipotesi del Borgognoni che vi rav visa la donna, la quale nel presente paragrafo « colla sua dimanda a Dante circa il fine dell'amor suo, segna il momento della trasformazione ideale di Beatrice e del nuovo carattere dell'affetto e della poesia di Dante ». Cir. anche v, 13.

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parole: « A che fine ami tu questa tua donna, poi che tu non puoi sostenere la sua presenza? Dilloci, ché certo lo fine di cotale amore conviene che sia novissimo", ». E poi che m'ebbe dette queste parole, non solamente ella, ma tutte l'altre cominciarono ad attendere in vista12 la mia risponsione. Allora dissi loro queste parole: « Madonne, lo fine del mio amore fue già lo saluto di questa donna, forse di cui voi intendete"; ed in quello" dimorava la beatitudine, che era fine di tutti li miei desiderì. Ma poi che le piacque di negarlo a me, lo mio Signore Amore, la sua mercede, ha posta tutta la mia beatitudine in quello, che non mi puote venire meno"». Allora queste donne cominciaro a parlare tra loro" e sí come talora vedemo cadere l'acqua mischiata di bella neve, cosí mi pare udire le loro parole uscire mischiate di sospiri. E poi che alquanto ebbero parlato tra loro, anche mi disse questa donna, che m'avea prima parlato, queste parole: « Noi ti preghiamo che tu ci dichi dov'è

10. conviene che sia, è necessario che sia, deve essere.

11. novissimo, interamente diverso dal fine degli altri amori; cfr. xiv, 18. 12. cominciarono ad attendere in vista, cominciarono ad avere, assunsero l'aria di attendere; presero a dimostrare nel sembiante che aspettavano. In vista, al sembiante esterno, all'aspetto, come nel Purg. 1, 32, 79; XIII, 101. 13. forse di cui voi intendete, della quale voi forse intendete parlare. Dante sa che le dorne intendono parlare di Beatrice, tuttavia non vuol per bocca sua confermare loro che non sbagliano, che hanno bene compreso il suo segreto; e quindi si esprime con quel forse dubitativo.

14. in quello, cioè nel saluto; cfr. il § XI.

15. la beatitudine ecc., quella beatitudine, quella beatitudine particolare la quale era ecc. (cfr. la n. 19), non la beatitudine in genere, nel quale caso avrebbe dovuto scrivere è, perchè, anche mentre parla con le donne, aspira alla beatitudine, solo ponendola in altro oggetto. E spiegando la quale era il fine ecc., non credo faccia cadere Dante in contraddizione: egli viene a dire: io aspiravo a una beatitudine particolare, ma essa era nel saluto, dunque aspiravo al saluto. Il Casini invece legge: chè era, soggetto il saluto; ma, in vero, ci vorrebbe un po' di sforzo per ricavarlo dal precedente complemento in quello o dal preced. predicato della proposiz. « lo fine... fue... lo saluto»: e non bene si chiuderebbe il periodo. Il D'Ancona legge: che è.

16. in quello che ecc. Dante spiega poco dopo questa frase così: « in quelle parole che lodano la donna mia ».

17. tra loro, non vale, secondo me, in segreto o a bassa voce, si che Dante non potesse udire (ciò che sarebbe stato scortesia), ma indica semplicemente ch'essi sospendessero un po' di rivolgersi a Dante per far qualche considerazione su quello che già avevano sentito.

18. mi para ecc., mentre scrivo, dopo tanto tempo mi par di sentire ancora la dolcezza di quelle parole e di quei sospiri. Era desideroso di trovar pietà, la trovava finalmente in quelle donne sospiranti per lui, e ser

questa tua beatitudine" ». Ed io rispondendole dissi cotanto20: « In quelle parole che lodano la donna mia" ». Allora mi rispuose questa che mi parlava: «Se tu ne dicessi vero, quelle parole che tu n'hai dette, in notificando la tua condizione, avrestú operate con altro intendimento"». Ond'io pensando a queste parole", quasi vergognoso mi

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bava quindi vivo il ricordo della dolce impressione ricevuta. - udire, « Dante volle raffrontare l'acqua mischiata di neve alle parole accompagnate da sospiri, non già il cadere di quella all'uscita di queste, e però disse vedemo di un fenomeno che colpisce la vista, e udire nel senso più generale di sentire >> (Casini). Altri legge: vedere, e il Rajna nota: « se le parole si veggono, si vedranno all'uscire, sulla bocca di chi parla e sospira: ma se si odono. l'uscire, ossia l'atteggiamento della bocca, non ci avrà più che fare ». 19. questa tua beatitudine. Osserva che non dicono la tua beatitudine, ma questa tua beatitudine, questa particolare che hai oscuramente indicata poco fa.

20. cotanto, soltanto questo: Nov. Ant. 3, cit. dal Carducci: « Lo cavallo è di bella guisa; ma cotanto vi dico, che 'l cavallo è nutricato a latte d'asina ». Nel § XXII, 33 e nell'Inf. xv, 91 e nel Par. XVIII, 13 ricorre in tal senso il semplice tanto.

21. In quelle parole ecc. « Il poeta veramente non dimostra in che cosa la beatitudine della loda consistesse. È facile però immaginare com' essa gli dovesse derivar da estatica contemplazione della bellezza morale della donna sua, e quindi dall'intimo gaudio dell'artista a riprodurla nelle sue rime » (SCARANO, 45). E il PASCOLI, 185: «... La lauda di Beatrice somiglia alle laudi di Maria; e qual sorta di beatitudine sia nel recitare le laudi della Vergine, ognun sa ».

22. Se tu ne dicessi vero, ecc. « Se fosse vero quello che tu di', che la tua felicità stia nel lodare la donna tua, le parole che tu n'hai dette le avresti foggiate in altra guisa, le avresti volte ad esprimere altri concetti, altra sentenza (intendimento), e non le avresti ragionate in forma di querele e di lamenti, come hai fatto nei sonetti, ne' quali hai resa nota la tua condizione» (Todeschini); sonetti scritti dopo che la donna ti aveva ne gato il saluto, ossia dopo che, come vuoi far credere, avevi riposto la tua beatitudine nella lode di lei. Queste ultime parole esplicative da me ag giunte all'interpretazione del Todeschini fanno venir meno, credo, l'obbie zione mossale dal RENIER, che nel Gior. st. 11, 374 propose un'altra interpretazione. Il Bonghi vorrebbe levar la virgola dopo vero, scrivere operato e interpretare intendimento per intenzione. in notificando, cosi leggo, come suggerisce il BAREI (Bull. VIII, 31), cioè nel notificare. L'in col gerundio oggi si usa solo nella poesia, mentre, come è noto, in francese en attendant, en parlant e simili sono comunissimi anche in prosa. Altri legge: innotificando. con altro intendimento, con altri concetti, con altre sentenze; cfr. XIX, 61 e Purg. XXVIII, 59. Il BARBI (Bull. v, 171) par che prenda intendimento nel senso di proponimento, intenzione, poichè spiega così il presente luogo: « avresti rimato con altro intendimento, ti saresti proposta la lode di Beatrice invece di narrare il tuo stato ».

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23. pensando a queste parole, riflettendo a queste parole che mi aveva dette ora quella donna (Se tu ne dicessi vero ecc.). vergognoso, un po' d'essere apparso bugiardo, ma soprattutto della cosa che le parole di quelle donne gli avevano fatto rilevare, cioè d'aver mostrato i suoi affanni e i suoi turbamenti invece di far, come avrebbe voluto e dovuto, la lode di Beatrice; cosa che a sè stesso rimprovera, nell'andarsene, cosi: Poi ch'i' ebbi ecc.

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partio da loro; e venía dicendo fra me medesimo: «< Poi ch' i' ebbi tanta beatitudine in quelle parole che lodano la mia donna, perchè altro parlare è stato lo mio"? » E però propuosi di prendere per matera del mio parlare" sempre mai quello che fosse loda di questa gentilissima; e pensando molto a ciò, pareami avere impresa troppo alta matera quanto a me, si che non ardía di cominciare ; e cosí dimorai alquanti di con disiderio di dire e con paura di cominciare".

24. Poi ch'i'ebbi ecc. Dante qui, riconoscendo giusta l'osservazione fattagli da quella donna, « si duole di non aver dette cose diverse da quelle che disse nei precedenti sonetti, di non aver espresso un'altra sentenza, un altro concetto ». Il passato ebbi conferma quello che Dante ha detto poco avanti, che cioè la sua beatitudine stette nella lode di Beatrice sin da quando questa gli negò il saluto. Vero è, però, che il proposito di celebrare que sta lode diventa chiaro, forte, e vien messo da lui in pratica solo ora dopo che l'osservazione di quella donna lo ha scosso; e perciò nel paragrafo prec. fece intendere essere cagione di esso, ossia de la nova materia, il caso narrato nel presente paragrafo.

25. prendere per matera, ecc. « Non più desiderii, non più (querele, non più gioie straordinarie: ma continua e beata contemplazione della bellezza in ciò ch'ell'ha di più sovrasensibile, in quanto si manifesta operatrice di bene non pur su l'anima del poeta ma in tutto che l'appressa ». Così il Carducci esprime il passaggio dalla precedente materia alla nuova.

26. sempre mai, ha qui una forza speciale, vuol dire : senza cadere nemmeno per poco nell'errore o nella sconvenienza in cui caddi scrivendo i 4 son. dei §§ XIII-XVI.

27. troppo alta matera quanto a me ecc. Il dubbio di avere impresa troppo alta materia e la paura di cominciare si trovano in altri poeti. P. es., Elias Cairel (MAHN, Werke, III, 90-91) cantò:

Del sieu belh cors grail' e sotil,

blanc e gras, suau, len e dos

volgr' ieu retraire sas faissos;

mas gran paor ai de falhir

quan ieu remir

son gen cors cui dezir,

sa saura crin pus que aur esmeratz...

Jfr. lo SCARANO che negli Studi di filol. rom. VIII, 315 cita un altro esempio provenzale. Dei nostri vedi Loffo Bonaguidi (NANNUCCI, 1, 360):

Provato ho assai, Madonna, di ciausire
vostra biltate e lo piacer piacente,
ma allasso sol la mente,

ch'io non la posso propiamente dire.
Provato ho di laudar vostra biltate,
e lo saver, ch'è 'n voi oltra misura,
e non la posso dir com'è vertate:
però di voi laudar prendo paura;

Lapo Gianni, ball. Questa rosa novella, 5-10:

S'i' fossi soffi ciente

di raccontar sua maraviglia nova,
diria come natura l'ha adornata;
ma io non son possente

di saper allegar verace prova:

dil' tu, Amor, che serà me' laudata;

Sennuccio in Rime di Cino ecc., p. 239, canz. Amor tu sai, str. 2.a:

Ben cominciai, allor che pria m'avvenne,

che della neve nacque ardente foco

a dir di lei alquanto in rima e in prosa:
ma un pensier discreto mi ritenne
veggendo lei da molto e me da poco,
puosi silenzio alla mente amorosa;

e il Petrarca, son. Quando io movo, 5-8 e son. Vergognando, 5-14, su che cfr. la mia Difesa di F. Petr., 43.

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