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potrà dire che morendo questa [o, più genericamente, essendo lontano da questa], egli non perde nulla ». « E tutto andrebbe pel suo verso quando si potesse ammettere che Dio si preoccupasse tanto e soltanto... di chi?... di talúni che nella sua infinita preveggenza sapeva dannati all'inferno; quando si potesse ammettere che Dio procrastinasse a' beati il compimento della loro gioia solo perchè Beatrice rimanesse ancora in terra a ludibrio vano di taluni, vano, perchè già destinati all'inferno... E l'autore della canzone? Dante, che primo aveva compreso quella Grazia, « venuta Dal cielo in terra a miracol mostrare », Dante, che l'aveva sempre cantata?... Sparisce dalla scena! Dio non se ne occupa: Dio non s'interessa di lui, come degli angeli che vogliono Beatrice, ma di taluni che andranno all'inferno! » (GRASSO, 92, e cfr. anche CIUFFO G., La visione ultima della V. N., Palermo, 1899).

Ultimamente il BARBI nel Bull. x, 99 ha espresso in questa forma la sua interpretazione: <<< Diletti miei, tollerate in pace che Beatrice, vostra speranza, rimanga ancora quanto mi piace nel mondo ove c'è pure chi s'aspetta di averla a perdere per sempre, non potendosi salvare; e anche questi poveretti (e Dante doveva porre fra questi anche sè stesso, chè altrimenti non si spiegherebbe bene perchè, appena ricordato il mondo, il suo pensiero si fissi esclusivamente su chi è destinato a perder Beatrice) potranno almeno aver la consolazione d'aver veduto la speranza dei beati in terra ».

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Il PASCOLI 30-32, scrive: « Ne lo Inferno Dante fa che Dio medesimo pronunzi di lui dirà ai malnati quelle parole che suonano: « Spe salvus factus sum; per la speranza, che non occorrendo ai beati, Dio pietosamente lascia in terra, e che io vidi, si, vidi incarnata ». Noi corriamo subito col pensiero alla Comedia...: partendosi da un punto in cui an ch'esso aveva perduto la speranza, entra ed attraversa il luogo della disperazione; l'attraversa tutto, e sale per il monte in cui ultimi vede quelli che pur nel fuoco sperano; ed egli passa per quel fuoco, che aguzza gli occhi alla visione, e cosi vede, che cosa? La « speranza della eterna contemplazione », quella che l'ha mandata a togliere avanti la fiera che fa perder la speranza, quella che vide in questo mondo e che rivede nell'altro; quella per cui opera è salvo. Orbene: con quella stanza e con quella canzone Dante prometteva la Comedia? Chè tanto s'assomigliano e si riscontrano nel concetto fondamentale la canzone e la Comedia. Che promettesse la Comedia, non direi: dico che aveva già in mano le fila principali di quella mirabile testura, ma non in capo l'intenzione di far proprio quella tela. Un'altra tela, anzi..

XX

Appresso che questa canzone fue alquanto divolgata tra le genti', con ciò fosse cosa che alcuno amico l'udisse, volontà lo mosse a pregarmi ched io li dovessi dire che è Amore, avendo forse, per le parole udite', speranza di me oltre che degna. Ond'io pensando che appresso di cotale trattato, bello era trattare alquanto d'Amore,

XX.

1

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1. fue alquanto divolgata ecc.: cfr. xix, 11, dov'è qualche prova della pronta diffusione di questa canzone.

2. alcuno amico, non sappiamo chi fosse. Per alcuno cfr. XXIII, 2. 3. che è Amore. « Era antica la questione sulla natura, l'origine e l'efficacia di Amore; aveva già occupati i provenzali, e gl'italiani l'avevano trattata poi con una predilezione tutta speciale e molto spesso. Ma la soluzione era stata dappertutto la stessa, una di quelle trivialità che continuamente l'uno prendeva dall'altro. Amore, si diceva, deriva da vedere e piacere, la immagine della bellezza va per gli occhi nell'anima, prende stanza nel cuore ed occupa i pensieri; una superficialità adunque che descrive la cosa invece di esaminarla » (GASPARY, I, 89). Il DE LOLLIS (nel cui articolo sono molte considerazioni su tale argomento) a p. 7 non accoglie questo giudizio, e dice: la definizione d'Amore data dei Provenzali è quale la filosofia del tempo loro la consentiva ». Aimeric de Belenoi (Canz. Prov. A, n.o 310, 41-17 in Studi di filol. rom. III, 370):

que fin' amors, so sapchatz,
non es als mas voluntatz,
c'adutz inz [el] cor vezers
e jois e gaugz e plazers,
e viu de doutz pessamen

Jacopo da Lentino (nel NANNUCCI, 1, 293):

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Amor è un desio che vien dal core, per l'abbondanza di gran piacimento, e gli occhi in prima generan l'Amore, c lo core li dà nutricamento ecc.

Si dubita che sia di Dante il son. Molti, volendo dir che fosse Amore (cfr. ZINGARELLI, 361). Nota il Carducci che « dopo la metà del trecento tutto ciò venne in disuso; e le definizioni d'Amore furono messe in burla dall' Orgagna in quel sonetto realistico Molti poeti han già descritto Amore ecc. ».. 4. per le parole udite, credo si debba intendere della canzone; ma può intendersi anche delle rime precedentemente divulgate, in generale.

5. speranza di me ecc., aspettazione di me superiore ai miei meriti, stima esagerata. Per lo più, con simili espressioni di modestia gli scrittori velano la consapevolezza del proprio alto valore (cfr. anche XIX, 11, in princ.).

6. bello era, perchè, come quel trattato, cioè la canz., traeva fuori le sue nuove rime, questo, cioè il son., fosse quasi « introduzione teoretica alla nuova maniera di poetare ».

e pensando che l'amico era da servire', propuosi di dire parole, ne le quali io trattassi d' Amore; e allora dissi questo sonetto, lo qual comincia:

[SONETTO X]

Amore e 'l cor gentil sono una cosa,

sí come il saggio in su' dittare pone1o;

7. era da servire, meritava che io soddisfacessi alla sua preghiera. 8. questo sonetto. Vi si possono notare col GASPARY 1, 201 « la grazia della espressione, una certa vivacità dell'immagine, la quale rivela il poeta », ma non credo che l'argomento... astratto vi si trovi « come in un piccolo dramma »>. Il Casini : << Considerato di per sè non ha valore alcuno di poesia; ma raffrontato alle rime dottrinali dei poeti antichi mostra Dante assai più disinvolto nel trattar questa forma che i suoi predecessori non fossero : nelle quartine il sonetto dantesco procede per distinzioni che soffocano qualunque calore dell'inspirazione, ma nelle terzine si rialza assumendo una intonazione discorsiva e naturale ».

9. Amore e cor gentil ecc. In altri termini, amore e cuore nobile (su gentil cfr. 11, 2) sono inseparabili, cioè non può essere l'uno senza l'altro, come anima ragionevole non può essere senza ragione. Cfr. Inf. v, 100: Amor che a cor gentil ratto s'apprende. Col qual verso, nota il TORRACA (N. Antologia, 1.o luglio 1902, p. 48), Francesca da Rimini introduce nella teoria del Guinizelli « una non dirò novità, ma innovazione: ratto la quale la modifica profondamente. Alla teoria secondo cui l'amore coesiste col cuore ab initio; vi riposa dentro fino a quando beltà di donna, piacendo agli occhi, fa nascere nel cuore un desio della « cosa piacente », e il desio tanto dura che sveglia l'amore Francesca oppone fatto, di cui fu testimone e partecipe: l'amore, che ella conosce e rammenta, si apprese d'un tratto al cor gentile dell'amante di lei. Nel medesimo istante cadde la scintilla e divampò l'incend'o ».

10. si come ecc. Il saggio è Guido Guinizelli (n. 1240?). Saggi o savi chiama spesso (Conv. Iv, 13; Inf. I, 89; VII, 3; x, 128; Purg. XXIII, 8; XXVII, 96; XXXIII, 15) i poeti Dante, in quanto sono maestri di sapienza. Egli ricorda Guido Guinizelli nel Conv. Iv, 20, dove lo chiama nobile, nel De Vulg. Eloq. I, IX, 3; xv, 5, dove lo dice massimo; II, v, 1; vi, 5 e nel Purg. XXVI, 97, dove lo chiama il padre Mio e degli altri miei miglior, che mai Rime d'amore usar dolci e leggiadre. Il dittare (ossia il dettato, la poesia del Guinizelli è la canzone Al cor gentil, che Dante cita nel detto luogo del Conv. e nel primo e nel terzo dei detti luoghi del De Vulg. Elog., e di cui è necessario riferire almeno la prima strofe :

Al cor gentil ripara sempre Amore
come alla selva augello in la verdura:
nè fe' Amore avanti gentil core,
nè gentil core avanti Amor, Natura;
ch'adesso che fo' il Sole

si tosto lo splendore fo' lucente,

nè fo' avanti il Sole;

e prende Amore in gentilezza loco
cosi propiamente

come clarore in clarità di foco.

Dante dice dunque di prendere questa dottrina dal Guinizelli; che infatti è colui che meglio la espose, ne vide tutti i lati, tutte le conseguenze, e la

e cosí esser l'un senza l'altro osa",

4 com'alma razional sanza ragione12.

rese famosa; ma non si può dire propriamente che egli fosse l'inventore di essa, come non deve credersi che prima di Dante e dei poeti dello stil nuovo in generale non l'avessero ripresa, o da Guido stesso o da altre fonti, altri poeti di quel tempo. Cfr. Riccardo de Berbesin (Canz. Prov. A, n.o 473, 6-8 in Studi di filol. rom. 111, 512):

...

Amors,.. qand a tot cercat,

...

e non troba ren qel sia a son grat,
torna sen lai don moc primieiramen.

Peire Cardinal (MAHN, Werke, II, 214):

Quar fin'amors mov de gran leialeza
e de franc cor gentil e ben apres.

Lanfranco Cigala (MAHN, Gedichte III, 29, n.o 715):

Ja fo tals temps qu'eu avia crezensa c'om si poges d'amor ab sen cobrir; mas ar nol crei, anz sai, senes faillir, ques amors pren en lejal cor naissenza

Pier della Vigna (D'Anc. e Comp., 1, 117):

Amor da cui move tuttora e vene pregio e larghezza e tutta benenanza vene ne l'om valente ed insegnato.

Tommaso da Faenza (ivi, III, 246): come il bon marinaro,
se trova loco disioso e caro,

soggiorno a sua stagione prender sape;
così amor in cor polito adnasce
gentil e pien d'amoroso desire:
ponesi fermo e non vuole partire,

poi lo desira come tima l'ape.

Chiaro Davanzati (ivi, III, 101):

Audit' agio nomare

che in gentil core Amore

fa suo porto..

Monte Andrea (ivi, v, 115):

Qui son fermo che 'l gientil core e largo di sua potenza Amore è la porta.

Particolarmente notevole l'esempio di Lanfranco Cigala, perché mostra come, già prima del Guinizelli, oltre la relazione tra gentilezza e amore, era stato intraveduto in certi cuori amore in potenza; chè Lanfranco vuol dire (scrive il DE LOLLIS, 15-16) « può ragione adoperar quanto vuole; ma chi s'abbia in seno un cuor leale non isfugge ad amore; un cuor leale è amore in potenza ».

11. osa, può. Osare nel senso di potere è anche nella canz. di Dante La dispietate mente: Dar mi potete ciò ch'altri non osa; come non di rado presso gli antichi poeti nostri e come qualche volta ausar presso i provenzali; cfr. GASPARY, Sc. poet., 290, n. Il v. di Dante, in alcune parole, non nel concetto, ricorda un oscuro v. di Guittone, il 6.° del son. Iv: Che l'uno como l'autro essere osa, dove osa, scrive il PARODI nel Bull. IX, 289, « si gnifica, come spesso nell'antica lingua 'usa, 'è solito, o meglio non fa che modificare leggermente il verbo che regge ».

12. com'alma ecc. Il Witte cita Parad. VIII, 100-102. Cfr. anche il BARBI nel Bull. XI, 36, n. 1.

Falli natura, quand'è amorosa,

Amor per sire, e 'l cor per sua magione13,
dentro la qual dormendo1⁄4 si riposa

8 tal volta poca, e tal lunga stagione.

Bieltate appare in saggia donna15 pui1o,

che piace a gli occhi sí, che dentro al core

13. Falli ecc. La natura in un impeto d'amore (amorosa) li fa (fàlli) Amore per signore del cuore, il cuore per stanza di Amore. Falli equivale a li fa, fa loro, riferendosi il pronome li, loro ad Amore e 'l cor gentil soggetti della prima quartina. Così intendo col BONGHI (p. 82) e col MURARI (La Cultura, N. S. I, p. 1.a, p. 707). II FRACCAROLI (İVİ, 386) proponeva di intendere fagli per fa li, cioè la natura, quando è amorosa, in quella cosa che crea fa Amore per sire e il cuore per dimora d'amore ». Il Murari obbiettò che nel Purg. XIII, 152; Par. xxv, 124 e nei vv. 16 e 21 della canz. Al cor gentil il li avverbio si riferirebbe a un complemento di luogo espresso prima, e che nel pres. son. il complemento in quella cosa che crea non è facile a sottintendersi.

11. dormendo, fuori figura : « attendendo di passare dalla potenza all'atto » (D'Ancona).

15. Bieltate ecc. Poi appare bellezza in saggia donna, la quale piace agli occhi tanto che dentro al cuore (dell'uomo che la guarda) sorge un desiderio di quella cosa bella e talvolta questo desiderio dura tanto in lui che fa destare l'amore. Bieltade in saggia donna, in altri termini, una donna bella e saggia: « per tal modo, secondo Dante, nota il D'Ancona, l'amore del bello non deve essere mai disgiunto da quello del buono, anzi la bellezza ha da esser veste della bontà ».

16. pui, cioè dopo che la natura ha messo in potenza Amore nel cuore gentile.

17. piace, anche per Dante Amore nasce da vedere e piacere, e anche per G. Guinizelli, il quale, nota il TORRACA (Discussioni e ricerche letterarie, Livorno, 1888, p. 343, n.), « non è esatto che con la canzone Amore e cor gentil in cui, a dir del Gaspary, manifesto un nuovo giro di idee rinunziasse ai vecchi luoghi comuni di vedere e piacere, cioè alla teoria da lui stesso esposta nella canzone Con gran disio. Fermando la massima che Amore non può allignare se non in cor gentile, il Guinizelli non si occupava delle premesse, di cui quella massima è conseguenza; e le premesse erano pur sempre, e furono e sono e saranno, il vedere e il piacere ». Ecco i vv. 12-19 della canz. ora cit. dell'attribuzione della quale al Guinizelli ha dubitato recentemente il SALVADORI nel Fanfulla d. Domenica XXVI, 28):

E' par che da verace piacimento

lo fino amor discenda,

guardando quel ch' al cor torni piacente.
Che poi ch' uom guarda cosa di talento,

al cor pensiero abenda,

e cresce con disio immantinente;

e poi dirittamente

fiorisce e mena frutto.

L'AZZOLINA Sscrive a p. 71: « tutti d'accordo i nuovi poeti nell'ammettere necessariamente nell'uomo l'amore in potenza, prima d'esser tradotto in atto per l'azione della donna [cfr., però, xxI, 4 e 7]. In che, in fondo, consiste la essenziale novità [ma cfr. la fine della n. 10] portata nella teoria dell'innamoramento dei provenzaleggianti; poichè la successiva e spiccata distinzione tra cuore gentile e cuore non gentile, fatta dapprima [cfr. la n. 10]

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